Corte di Cassazione ordinanza n. 22678 depositata il 20 luglio 2022
opposizione agli atti esecutivi – omesso esame di una domanda –
Fatti di causa.
La CTP di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso della S. annullando il pignoramento mobiliare eseguito da Equitalia sud s.p.a. sulla base di una pluralità di cartelle, per tributi vari, per gli anni 1998-2009.
Il giudice di primo grado rigettava, invece, la domanda di annullamento delle cartelle, rilevando che l’asserita, omessa notifica delle stesse non ne determinava la perorata invalidità.
Equitalia Sud e la contribuente proponevano appello. I gravami venivano riuniti, quello di Equitalia Sud accolto, quello di S. rigettato.
L’appello dell’agente della riscossione veniva accolto sul presupposto dell’estraneità della statuizione assunta – di annullamento del pignoramento – dal perimetro della giurisdizione tributaria.
L’appeiio àeiia contribuente veniva respinto in quanto, sia pur neiia fase ài gravame, l’agente della riscossione documentava ritualmente, ad avviso del giudice, l’eseguita notifica delle cartelle.
Il ricorso per cassazione è affidato ad undici motivi. Resiste l’Agenzia delle Entrate – Riscossione con controricorso.
Ragioni della decisione.
Con il primo motivo, rubricato O., viene lamentata la violazione degli artt. 2, comma 1, e 19 d.lgs. n. 546 del 1992 e delll’art. 100 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, avendo il giudice del gravame erroneamente ritenuto l’atto di pignoramento esulante dalla giurisdizione delle commissioni tributarie.
Il motivo è infondato.
Benché la motivazione della sentenza d’appello esiga d’essere corretta ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., muovendo dall’erroneo presupposto dell’estraneità del pignoramento all’alveo della giurisdizione tributaria, essa di fatto contiene la riforma della decisione di primo 1 rado in punto di annullamento del pignoramento, quindi veicola una statuizione senz’altro suscettibile d’essere adottata proprio alla luce della giurisprudenza nomofilattica evocata dalla ricorrente. Invero, “In materia di esecuzione forzata tributaria, l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 617 c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario” (Cass., sez. un., n. 13913 del 2017; v. anche Cass., sez. un., n. 11481 del 2018).
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato sub 1., si lamenta la nullità della sentenza e del procedimento per contrasto con l’art. 99 e con l’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 23, comma 3, 18, comma 2, lett. d) ed e), d.lgs. n. 546 del 1992, nullità “per travisamento dello scritto difensivo e omessa pronuncia”, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4. Ad avviso della ricorrente sarebbe stata “totalmente omessa … la precisa richiesta di annullare l’atto esecutivo”.
Il motivo è infondato.
È la stessa parte ricorrente, nella parte narrativa del mezzo di ricorso, ad evidenziare come il giudice del gravame abbia testualmente ritenuto che “il contribuente nella memoria di costituzione … precisa che il libello introduttivo era volto a contrastare la pretesa tributaria, non l’atto esecutivo”. La CTR, all’evidenza, ha provveduto a interpretare e qualificare la domanda. Va allora ribadito il principio consolidato alla stregua del quale, nel giudizio di legittimità, deve tenersi distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri – come di fatto accaduto nella specie – l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, per converso, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. n. 7932 del 2012). In altri termini, solo nel primo dei due riassunti casi si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo; nella diversa e odierna evenienza in cui venga invece in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. 30684 del 2017; Cass. 15603 del 2006).
Con il terzo motivo, rubricato sub 2, si denuncia la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., in relazione agli artt. 23, comma 3, 18, comma 2, lett. d) ed e), d.lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si lamenta che la CTR avrebbe attribuito al contribuente l’intenzione di limitare la cognizione ai titoli tributari, escludendo l’atto di pignoramento, benché essa avesse interesse alla caducazione di quest’ultimo.
Il motivo va disatteso.
Nella specie, la parte ricorrente lamenta una restrizione lex latere judicis del sindacato giudiziale, che sarebbe stato limitato al titolo alla base della pretesa fiscale, anziché estendersi all’atto di pignoramento, come la ricorrente invocava.
La CTR si sofferma, in effetti, precipuamente sulla regolarità della notifica delle cartelle, quindi sulla fondatezza della pretesa fiscale; in secondo luogo, ritiene assorbita ogni altra questione, anche con riferimento, dunque, all’atto esecutivo, premettendo, inoltre, l’esclusione degli atti esecutivi dall’ambito giurisdizionale del giudice tributario.
Nella specie, la ratio decidendi afferente la regolarità del procedimento notificatorio relativo alle cartelle è all’evidenza del tutto autonoma rispetto alla regolarità e alla sindacabilità giurisdizionale del pignoramento da parte del giudice tributario. Nondimeno, detta ratio, benché autonoma, non è in alcun modo aggredita dal mezzo di ricorso.
Giova, allora, evidenziare che qualora la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione secondo l’iter logico-giuridico seguito sul punto in questione nella sentenza impugnata, l’omessa impugnazione di una soltanto di tali ragioni determina i:inammissibiiità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla “ratio decidendi” non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su di essa (Cass. n. 1658 del 2005; Cass. n. 16314 del 2019; Cass. n. 18641 del 2017).
Con il quarto, rubricato sub 3., si censura la violazione e falsa applicazione “con errato apprezzamento delle eccezioni proposte” degli artt. 25 e 26 d.P.R. n. 602 del 1973, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La contribuente assume d’aver svolto, in contrasto con quanto ritenuto dal giudice d’appello, una articolata doglianza in punto di irregiolarità della notifica delle cartelle.
Il motivo è inammissibile.
Avuto riguardo alla regolarità del procedimento notificatorio delle cartelle la CTR ha svolto, con ogni evidenza, un accertamento di fatto, come tale rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se non quale vizio di motivazione nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come modificato dall’art. 54 del d.L 22 giugno 2012 n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012 n. 134.
La censura, pertanto, sotto le mentite spogllie della violazione di legge, mira ad una rivisitazione più appagante del merito. Essaj’ sotto l’apparente deduzione del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., degrada in realtà verso la sostanziale richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici apprezzati dalla CTR. In breve, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile alle segnalate norme in quanto pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti sindacati.
La CTR ha, in effetti, puntualmente dato conto degli elementi suscettibili di giustificare il proprio convincimento.
Con il quinto motivo, rubricato sub 4., si censura la nulliti della sentenza per contrasto con l’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La contribuente ribadisce d’aver svolto, in contrasto con quanto ritenuto dal giudice d’appello, una articolata doglianza in punto di irregolarità della notifica delle cartelle.
Anche questa censura è inammissibile.
La ricorrente torna, infatti, sull’adombrata irregolarità delle notifiche delle cartelle, aggredendo un accertamento di fatto, che in quanto tale è riservato all’apprezzamento del giudice di merito.
Il mezzo tende, tuttavia, semplicemente a contrapporre una ricostruzione alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice d’appello nell’esercizio del proprio libero convincimento. La CTR ha, in effetti, esposto gli elementi suscettibili di corroborarne il convincimento e, in tal senso, la motivazione rende ben percepibile il fondamento della decisione, recando argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del predetto convincimento sulla ritualità delle notifiche. Nella sentenza si rinviene, in definitiva, l’espressione di un autonomo processo deliberativo del giudice, per quanto poco persuasivo per la parte ricorrente, che nel contrastarlo ne perora inammissibilmente un altro.
Con il sesto motivo, rubricato sub 5., si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, 6 l. n. 212 del 2000, 99 c.p.c., 23 d.lgs. n. 546 del 1992, 214 e 215 c.p.c., 221 c.p.c., in relazione all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, 2697 e.e., 2699 e.e., 2700 e.e. Ad essere stigmatizzato è ancora una volta il procedimento notificatorio riguardante le cartelle.
Il motivo è inammissibile.
La CTR ha appurato che “le notifiche … sono state tutte depositate dall’appellante” e che “le notifiche – come documenta/mente provato dall’appellante … – hanno avuto luogo”.
In buona sostanza, la ritualità nellla notifica ha formato oggetto dell’accertamento di fatto riservato al giudice di merito, perciò, non censurabile in cassazione, se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici e giuridici, in riferimento alle norme applicabili alla notifica stessa.
Il tentativo di ottenere, attraverso il paradigma della violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., una riedizione, in una sede eccentrica, di un accertamento di fatto già svolto, s’infrange in un’evidente inammissibilità.
Con il settimo motivo, rubricato sub 6., si censura la nullità di sentenza e procedimento per mancato apprezzamento delle fonti di prova ex art. 115 c.p.c. e “del chiesto art. 112 c.p.c.“, in relazione all’art. 360 n. 4. Il motivo è inammissibile.
La censura sulle fonti di prova è contrassegnata da U1n tratto vistoso di genericità.
Occorre rilevare che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le fonti e le circostanze oggetto della prova, al fine di consentire il controllo della decisività delle fonti pretermesse in rapporto ai fatti ella provare, e, quindi, delle prove stesse. Il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere il predetto controllo di decisività sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, senza dover procedere ad indagini integrative (v. in linea di principio Cass. n. 19985 del 2017; Cass. n. 17915 del 2010).
È d’altronde noto che al giudice di merito spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 19147 del 2017).
Con l’ottavo motivo, rubricato sub 7., si denuncia nullità di sentenza e procedimento per contrasto con l’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4. Ad avviso di parte ricorrente avrebbe una portata salienti la circostanza che la CTR fa riferimento ad “accertamenti” che giudica “oramai definitivi”, in quanto il ricorso non avrebbe impugnato alcun “accertamento”.
Il motivo va respinto in quanto il giudice, a dispetto del riferimento testuale all’accertamento, si sofferma sulle cartelle e sul pignoramento.
Con il nono motivo, rubricato sub 8., si denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 99 e all’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Sì contesta l’omessa motivazione in ordine all’eccezione di “prescrizione dell’azione”.
Il motivo è infondato.
La statuizione non è affatto omessa sol che si consideri che la CTR in realtà evidenzia che non possono essere attinti profili correlati, alle pretese sottese alle cartelle, in quanto ascrivibili all’attività dell’ente impositore. Quindi fornisce una specifica risposta alla doglianza rivoltale.
Con il decimo motivo, rubricato sub 9., si denuncia la “nullità per contrasto con l’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 39 del d.lgs. 1J2/99 e all’art. 103 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c. co.1 n. 4)'”, per non essersi pronunciata la CTR sulle eccezioni di merito dedotte dalla contribuente, tra cui quella dì prescrizione.
Con l’undicesimo ed ultimo motivo, rubricato sub 10, si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 39 d.lgs. n.
112 del 1999, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avuto riguardo ai profili del litisconsorzio e del contraddittorio.
Il decimo e l’undicesimo motivo sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione.
Innanzitutto, la statuizione invocata non è affatto omessa, posto che la CTR in realtà ha evidenziato che non possono essere investiti aspetti riferibili alle pretese sottese alle cartelle, in quanto riconducibili all’attività dell’ente impositore e alla pretesa fiscale conseguentemente espressa.
Per identica ratio non consta nemmeno la denunciata violazione di legge,
essendo chiara la perimetrazione, che il giudice a quo si sforza di compiere, tra l’attività ascrivibile all’ente impositore e quella di pertinenza dell’agente della riscossione.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, nella misura espressa in dispositivo.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 dell 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.