CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 18709 depositata il 3 luglio 2023
Lavoro – Licenziamento collettivo – Accordo sindacale – Deroga ai criteri legali in ordine all’individuazione dei lavoratori da licenziare – Criterio della mobilità volontaria – Irrilevanza – Violazione dei criteri di scelta – Tutela reintegratoria – Rigetto
Rilevato che
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 20 dicembre 2019, ha confermato la decisione di primo grado, emessa all’esito di giudizio di opposizione ex art. 1, comma 51, l. n. 92/2012 con cui il locale Tribunale, condividendo quanto disposto dall’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, ha respinto il reclamo proposto da M.A. s.r.l. avverso la decisione del Tribunale, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a M.A., A.P., F.M.L. e G.S., in seno alla procedura di licenziamento collettivo avviata con lettera del 20 dicembre 2017, ordinando la reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno in favore degli stessi.
In particolare, la Corte, nel condividere l’ter decisorio del primo giudice, ha attribuito rilievo determinante, nel licenziamento collettivo considerato, all’accordo sindacale intervenuto a regolamentarlo, in deroga ai criteri legali in ordine all’individuazione dei lavoratori da licenziare e, in merito, ha reputato nodale la riduzione della platea dei licenziandi ai piloti di Boeing 737, con esclusione della possibilità di introdurre diversi criteri nell’individuazione dei medesimi, quale quello della mobilità volontaria, nonché l’altro, utilizzato dalla Società , della distinzione fra Comandanti e primi ufficiali.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso P.A.C. s.r.l., affidandolo a quattro motivi.
Resistono, con controricorso, i lavoratori indicati in epigrafe.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione al motivo denominato “irrilevanza dei riscontrati vizi di illegittimità sui licenziamenti impugnati”, violazione e/o falsa applicazione, dell’art. 100 cod. proc. civ. e dell’art. 5, L. n. 223 del 1991 in considerazione della asserita irrilevanza del criterio di scelta della mobilità volontaria, applicato in via prioritaria dalla società, non avendo lo stesso inciso sulla irrogazione dei licenziamenti impugnati.
Con il secondo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ., nonché dell’art. 4, comma 9, L. n. 223 del 1991 e 5, commi 1 e 2, in ordine al capo di sentenza che ha dichiarato la illegittimità dei licenziamenti per mancata previsione, all’interno dell’accordo sindacale, del criterio di scelta della mobilità volontaria applicato dalla società.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 commi 3 e 9 e 5, commi 1 e 2, della legge n. 223 del 1991 per aver la Corte ritenuto illegittimo il licenziamento comminato, in considerazione della predisposizione di due diverse graduatorie, una per i comandanti e l’altra per i primi ufficiali, nonostante tale modalità non fosse prevista.
Con il quarto motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 comma 3, L. n. 223 del 1991 con riferimento all’art. 18, commi 4, 5, 6 e 7, L. n. 300 del 1970 in ordine al capo della sentenza in cui la Corte ha disposto la tutela reintegratoria prevista per la violazione sostanziale dei criteri di scelta, anziché quella risarcitoria prevista per il vizio di esplicitazione dei motivi.
1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, da valutarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, non possono trovare accoglimento.
Giova premettere al riguardo, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 112, che, nel giudizio di legittimità, deve essere tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia offerto il giudice di merito: nel primo caso, infatti, si verte in tema di violazione dell’art. 112 cpc e si pone un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, l’interpretazione della domanda e la individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento dei fatti riservato, come tale, al giudice di merito e, in sede di legittimità va solo effettuato, nei limiti di quanto legislativamente consentito, il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (fra le altre, Cass. 7.7.2006 n. 15603; Cass. 18.5.2012 n. 7932; Cass. 21.12.2017 n. 30684).
Va poi evidenziato che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 10/05/2018);
deve, inoltre sottolinearsi che il richiamo alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici quando il senso letterale è oscuro o incerto ovvero là dove risulti incoerente con indici esterni che rivelano una diversa volontà dei contraenti (Cass. 12568 del 2021) e tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
Giova, quindi, rilevare, quanto alla situazione fattuale, l’insussistenza di qualsivoglia contrapposizione fra le parti, risultando pacifica la ricostruzione della stessa.
Con particolare riguardo alla asserita irrilevanza relativamente ai licenziamenti considerati del criterio di scelta della mobilità volontaria va evidenziato come correttamente la Corte abbia chiarito che il complessivo contenuto degli accordi sindacali in ordine ai criteri di scelta avesse limitato l’ambito delle esigenze tecnico – organizzative alla individuazione, tra gli esuberi, dei dipendenti aventi la qualifica di piloti di Boeing 737, parzialmente dismessi dalla società datrice, affermando, nell’ambito di tale categoria, l’applicabilità, una volta data priorità ai criteri della non opposizione e della maturazione del requisito pensionistico durante il periodo di CIG, esclusivamente dei criteri indicati alla tabella a) e ai punteggi ivi previsti.
Tali criteri, ad ogni evidenza, escludono la possibilità di introdurre ulteriori elementi di individuazione della platea dei licenziandi e ciò rileva, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, con riferimento, in primo luogo, al criterio della mobilità volontaria ed a prescindere dalla circostanza, irrilevante, che non abbia direttamente inciso sui licenziamenti considerati.
A conclusioni non dissimili si previene, d’altro canto, con riguardo alle distinzioni introdotte con riferimento alla diversa qualifica professionale, che non consentono la predisposizione di una graduatoria autonoma e distinta per ufficiali e comandanti.
La differenziazione in questione, infatti, sulla base degli accordi stipulati, avrebbe potuto assumere rilievo esclusivamente ai fini dell’attribuzione dell’ulteriore punteggio – previsto esclusivamente per i comandanti e non per i primi ufficiali – stabilito per il possesso di certificazioni “non cumulabili”.
Come osservato congruamente dalla Corte territoriale, soltanto “per quanto non in contrasto con il presente accordo e con la legislazione vigente”, le parti avrebbero potuto applicare i meccanismi e le modalità concordate e condivise con accordo a latere redatto in pari data. Invero, una volta attivata la procedura amministrativa, il verbale di accordo redatto in sede ministeriale costituisce il fondamento unico e nodale dei successivi licenziamenti ed in esso devono essere previsti il limite numerico ed i criteri di scelta, nonché le modalità attuative ed applicative della selezione del personale da licenziare.
La formula linguistica utilizzata conferma il carattere residuale e secondario dei profili regolabili mediante l’accordo a latere.
Né la possibilità di stilare una graduatoria separata può dirsi menzionata nella comunicazione finale ex art. 4, comma 9, L. n. 223 del 1991, datata 27/12/2017 ove si fa riferimento, esclusivamente, quanto ai criteri di individuazione dei lavoratori da licenziare, alle “risultanze dell’applicazione dei criteri previsti nell’allegato A dell’accordo sindacale del 19 dicembre 2017, in comparazione con le risorse rimaste in servizio”.
Risulta di palmare evidenza l’assenza di rilievo rispetto a tale approdo, di quanto affermato da parte ricorrente in ordine alla circostanza che la diversa categoria di comandante e di primo ufficiale sarebbe stata oggetto di discussione con le organizzazioni sindacali e sarebbe stata posta in risalto nella comunicazione di avvio della procedura; quanto discusso in tali sede, infatti, non assume alcun rilievo in assenza di puntuale riferimento negli accordi finali del 19/12/2017, gli unici rilevanti nella sede che qui ne occupa, ove non compare alcun riferimento alla necessità di differenziare il personale da licenziare sulla base delle diverse categorie professionali.
Tale differenziazione, quindi, rappresenta un criterio non previsto dagli accordi e, pertanto irrilevante ai fini della individuazione dei lavoratori da licenziare, secondo quanto ritenuto dalla Corte d’appello, conformatasi, sul punto, alla giurisprudenza di legittimità (Cfr., fra le altre, Cass. n. 10119 del 2022; Cass. n. 1938 del 2011).
2.Giova, quindi, rilevare, in relazione al quarto motivo di doglianza, che pure non può trovare accoglimento, ed alla luce di tutto quanto anzidetto, che non si verteva in ipotesi di generica, imperfetta od incompleta esplicitazione dei criteri di scelta, intesa quale vizio formale suscettibile di applicazione della sola tutela di cui al comma 5 dell’art. 18 L. n. 300 del 1970 ma di vera e propria violazione dei criteri cui consegue la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 L. n. 300/70 come richiamata, in materia di licenziamenti collettivi, dall’art. 5, comma 3, L. n. 223/1991 (ex plurimis, Cass. n. 14254 del 2019).
Va evidenziata, al riguardo, la correttezza dell’iter decisorio della Corte nella parte in cui ha fatto congrua applicazione dell’art. 18 comma 4 L. n. 300 del 1970 che prevede la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione effettiva, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché di quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione, con il tetto massimo delle 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in favore del procuratore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 –bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 –bis dello stesso articolo 13), se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte costituita, che liquida in euro 7.000.00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 –bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 –bis dello stesso articolo 13), se dovuto.