CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14075
Rapporto di lavoro – Mancata inclusione nei turni di straordinario – Disabile – Principio di parità di trattamento
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di L’Aquila ha respinto l’appello proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva ritenuto la natura discriminatoria della mancata inclusione di L.M. nei turni di straordinario, disposti per la revisione dei veicoli e compensati direttamente dai privati, ed aveva condannato il Ministero al risarcimento del danno quantificato, in relazione al periodo novembre 2008/maggio 2011, in € 6.600,00, oltre interessi legali;
2. la Corte territoriale ha premesso che il M., affetto da disabilità e destinatario dei benefici previsti dalla legge n. 104/1992, sin dal 2001 era stato adibito, in via continuativa e non saltuaria, allo sportello e, pertanto, doveva essere incluso nella turnazione, che riguardava tutti i dipendenti ai quali erano assegnate dette mansioni;
3. l’esclusione era stata determinata dalla sola condizione di disabile senza che la stessa fosse giustificata, perché l’handicap fisico non influiva sulla possibilità di espletare il servizio né comportava una difficoltà nell’erogarlo, tanto che in precedenza il M. era stato incluso nei turni e si era assentato con la medesima frequenza degli altri addetti alle stesse mansioni;
4. infine il giudice d’appello ha ritenuto corretta anche la quantificazione del danno ed ha evidenziato che il Tribunale aveva sviluppato il conteggio sulla base delle presenze attestate nei tabulati, escludendo i mesi nei quali la presenza era risultata inferiore ad 1/3;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero sulla base di un’unica censura, alla quale L. M. ha opposto difese con controricorso.
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso il Ministero denuncia «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 15 e 16 della legge n. 300/1970 e dell’art. 2077 c.c.» e sostiene, in sintesi, che la decisione di escludere il M. dai turni del personale addetto all’attività di revisione per conto dei privati era stata assunta dal Direttore dell’ufficio per rispondere alle necessità dell’utenza e nell’ambito delle prerogative riconosciute dall’art. 5 del d.lgs. n. 165/2001;
1.1. sostiene che il M., assunto come centralista ipovedente, solo saltuariamente era stato addetto allo sportello, stante il miglioramento delle sue condizioni di salute, ma in seguito, a causa delle continue assenze, era stato assegnato a svolgere le sole mansioni di assunzione e, quindi, escluso dai turni, per garantire l’efficienza del servizio;
1.2. aggiunge che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore subordinato alla parità di trattamento e che pertanto nella vicenda non è configurabile alcun comportamento discriminatorio imputabile al datore di lavoro;
1.3. infine il Ministero contesta la quantificazione del risarcimento rilevando che i giudici di merito non hanno tenuto conto dell’inserimento nei turni del mese di dicembre 2008 e delle assenze verificatesi nei mesi di aprile e maggio 2009;
2. è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente perché il motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di norme di legge, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in un’inammissibile critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità;
2.1. è ius receptum il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo (fra le più recenti, tra le tante, Cass. n. 24298/2016; Cass. 17921/2016; Cass. 195/2016; Cass. n. 26110/2015);
2.2. è egualmente consolidato l’orientamento alla stregua del quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ. non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298/2016);
2.3. nel caso di specie la Corte territoriale, come evidenziato nello storico di lite, dopo avere accertato che sin dall’anno 2001 il M., affetto da disabilità, era stato adibito allo sportello in modo continuativo e non saltuario, ha ritenuto che la sua esclusione dai turni disposti per la revisione dei veicoli, compensati direttamente dai privati, fosse discriminatoria perché fondata, senza giustificazioni, sulla condizione di disabile e, quindi, seppure in assenza di un espresso richiamo, ha deciso la controversia conformemente al disposto dell’art. 2 della legge n. 67/2006, secondo cui «il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga.»;
2.4. il ricorso, nella parte in cui insiste nel sostenere che l’assegnazione allo sportello sarebbe stata solo saltuaria e che il Direttore dell’ufficio avrebbe legittimamente esercitato i poteri attribuiti al dirigente dall’art. 5 del d.lgs. n. 165/2001, oltre a contestare la ricostruzione dei fatti di causa, non coglie né censura adeguatamente l’effettiva ratio della decisione, tutta fondata sull’esclusione di ragioni idonee a giustificare il modello organizzativo adottato, dalla quale la Corte territoriale ha desunto la natura discriminatoria dell’atto adottato;
2.5. inconferente è, poi, il richiamo all’art. 2077 cod. civ. ed al principio affermato da questa Corte in tema di parità di trattamento nell’ambito del lavoro privato, innanzitutto perché per l’impiego pubblico contrattualizzato la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 ed inoltre per l’assorbente ragione che nella fattispecie viene in rilievo la tutela del disabile, assicurata dalla disposizione di legge richiamata al punto 2.3.;
2.6. infine è inammissibile anche la censura inerente la quantificazione del risarcimento, che attiene ad una valutazione di merito ed è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. perché fondata su documenti non trascritti nel ricorso ed in relazione ai quali non viene fornita alcuna indicazione quanto ai tempi ed alle modalità della produzione nei precedenti gradi di giudizio;
3. alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
4. non è applicabile l’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo ( Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.
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