CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 ottobre 2018, n. 24785
Esposizione all’amianto – Rivalutazione contributiva – Presentazione della domanda amministrativa – Diniego dei benefici previdenziali – Ricorso
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 25.1.2017, la Corte d’appello di Cagliari-sez. distaccata di Sassari ha confermato, in parte con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di U. A. volta alla rivalutazione contributiva ex art. 13, l. n. 257/1992, dei periodi di lavoro in cui era stato esposto ad amianto;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura;
che U. A. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che l’INPS ha depositato memoria;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, l’INPS lamenta violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. e 2909 c.c. per avere la Corte di merito affermato, nonostante non vi fosse stato alcun motivo di gravame dell’assicurato volto a censurare in parte qua l’accertamento compiuto in primo grado, che non vi fosse prova dell’avvenuta presentazione della domanda amministrativa in relazione alla quale il primo giudice aveva ritenuto la tardività dell’azione giudiziale, ancorché poi avesse limitato l’efficacia di codesta tardività all’estinzione dei ratei di pensione anteriori al triennio dalla proposizione dell’azione medesima;
che, con il secondo motivo, l’INPS denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto, con motivazione meramente apparente, che dall’intervenuta decisione del Comitato provinciale INPS sul ricorso amministrativo proposto dall’assicurato avverso il diniego dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, l. n. 257/1992, non potesse trarsi la prova della sussistenza di una domanda amministrativa anteriore alla decisione di tale ricorso;
che, con il terzo motivo, l’INPS si duole di violazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, per non avere la Corte di merito ritenuto che il termine di decadenza potesse decorrere anche dalla scadenza del termine di 90 giorni previsto per la decisione del ricorso in sede amministrativa, presentato nella specie il 14.11.2005;
che, con il quarto motivo, l’INPS deduce violazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto – come già il primo giudice – che la decadenza concernesse il diritto ai ratei di pensione pregressi e non il beneficio della rivalutazione contributiva in quanto tale;
che, con riguardo al primo motivo, è ormai consolidato il principio secondo cui, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno se non censurate e quindi devolute in appello, occorre aver riguardo all’unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato siccome individuata dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico, di talché l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli aspetti di tale sequenza riapre la cognizione sull’intera statuizione che abbia affermato l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. in tal senso tra le più recenti Cass. nn. 2217 del 2016, 12202 del 2017 e 16853 del 2018, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998); che, nella specie, reputa il Collegio che l’impugnazione proposta dall’INPS in ordine agli effetti che il primo giudice aveva ricollegato all’accertamento compiuto circa l’avvenuta presentazione della domanda amministrativa in data anteriore a quella indicata nel ricorso introduttivo abbia riaperto ex se la cognizione sull’intera questione della decadenza, così espandendo nuovamente il potere del giudice d’appello di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti di fatto che, sebbene ad essa coessenziali, non erano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame;
che, conseguentemente, il primo motivo è da reputarsi manifestamente infondato;
che, con riguardo al secondo motivo, costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui, affinché sia integrato il vizio di mancanza o apparenza della motivazione agli effetti di cui all’art. 132, n. 4, c.p.c., occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione, vuoi nel senso che, pur formalmente esistendo quest’ultima, il suo svolgimento sia talmente contraddittorio da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisimi (Cass. n. 20112 del 2009);
che, a chiarimento dell’anzidetto principio, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che il vizio in questione, attenendo alla motivazione in sé, deve emergere dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che, nella specie, l’accertamento circa la mancata prova dell’avvenuta presentazione di una domanda amministrativa in data anteriore al 2.2.2012 è stato motivato sulla scorta delle risultanze documentali (cfr. sentenza impugnata, pag. 4), di talché è evidente che, dolendosi della plausibilità del ragionamento inferenziale effettuato dalla Corte, parte ricorrente intende inammissibilmente lamentare vizi dell’anzidetto accertamento in fatto (cfr. da ult. Cass. n. 8758 del 2017);
che l’inammissibilità del secondo motivo, unitamente alla manifesta infondatezza del primo, determina l’assorbimento del terzo motivo di censura, che logicamente presuppone che il Comitato provinciale dell’INPS abbia provveduto su un ricorso che faceva seguito ad una domanda amministrativa che, viceversa, la Corte di merito ha escluso che sia mai stata presentata dall’assicurato; che parimenti assorbito va dichiarato il quarto motivo, risultando dalla sentenza impugnata che la statuizione concernente l’efficacia della decadenza è stata resa soltanto «per completezza» (cfr. sentenza impugnata, loc. cit.) e dovendosi dare continuità al principio secondo cui, se è vero che quando una decisione di merito si fondi su distinte ed autonome rationes decidendì, ognuna delle quali da sola sufficiente a sorreggerla, il ricorrente in sede di legittimità ha l’onere, a pena d’inammissibilità del ricorso, di impugnarle (fondatamente) tutte, non potendo altrimenti pervenirsi alla cassazione della sentenza, non è meno vero che, una volta rigettato o dichiarato inammissibile il motivo che investe una delle argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, diventano inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che, quand’anche essi dovessero risultare fondati, non potrebbe comunque giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass. n. 12372 del 2006);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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