CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2021, n. 24157

Tributi – IRPEF – Accertamenti bancari – Assenza di autorizzazione del Direttore generale delle Entrate – Illegittimità – Irrilevanza dei prelevamenti per i titolari di reddito di lavoro autonomo

Rilevato che

S.S. ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento n. RCH1102906 notificatogli rii dicembre 2001 in rettifica degli imponibili IRPEF ed ILOR dichiarati per l’anno 1995, con il quale gli era stata contestata la mancata denuncia di “redditi da capitale” (interessi per crediti fruttìferi in favore della s.r.l. I. e di altri soggetti), per complessive £ 1.088.804.000, e di “redditi da lavoro autonomo”, per complessive £ 14.062.655.0, con conseguente intimazione di pagamento delle maggiori imposte, IRPEF, di £ 7.719.975.000, ILOR, di £ 176.386.000 ed applicazione delle correlative sanzioni;

la Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto parzialmente il ricorso, riducendo l’entità degli imponibili accertati;

la Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza n. 199/1/95 in accoglimento all’appello principale del contribuente e rigettando l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate ha annullato l’intero accertamento rilevandone il difetto di motivazione, in quanto fondato su p.v.c. a carico di altro soggetto (I.), non allegato, ma semplicemente richiamato, ed assumendone l’infondatezza alla luce della documentazione depositata;

la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14041/2011, a seguito di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso detta sentenza di appello, ha cassato tale pronuncia nella parte in cui ha affermato che, nella specie, i prelevamenti bancari non possono essere considerati “ricavi”, poiché lo S. è professionista e non imprenditore, sicché la presunzione legale sussisterebbe solo per le operazioni dì accredito sui conti del professionista, che possono essere imputate come compensi relativi all’attività di lavoro autonomo, mentre non sarebbe accettabile un’assimilazione dei prelevamenti bancari al diverso concetto di ricavi, trattandosi di nozione riferibile solo ai redditi d’impresa, precisando che la relativa doglianza della ricorrente non è coinvolta nella definitiva affermazione della nullità della rettifica medesima (in conseguenza della declaratoria dell’inammissibilità del primo motivo) per i profili scaturiti dalle risultanze dell’accertamento a carico di I. ed affermando il principio di diritto, peraltro già affermato in precedenza da questa Corte, per cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione, di cui al d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito – ha portata generale ed è applicabile, non solo al reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e professionale;

a seguito di ricorso per riassunzione proposto da S.S., la medesima Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione con sentenza n. 9/10/13 ha accolto l’appello proposto dal medesimo S. avverso la sentenza di primo grado con la conseguente declaratoria di annullamento dell’avviso di accertamento impugnato con il ricorso di primo grado;

la Commissione tributaria regionale ha motivato tale pronuncia considerando che i dati sulla movimentazione bancaria posti a fondamento dell’accertamento impugnato erano stati assunti senza la previa autorizzazione del Direttore generale delle Entrate, e che il contribuente aveva dato prova che le somme versate sui conti correnti bancari a lui intestati si riferivano a restituzioni di somme da lui prestate a società di cui era socio e che tali finanziamenti non fruttavano interessi, per cui tali somme non potevano costituire reddito per il contribuente;

l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione anche avverso tale sentenza articolato su cinque motivi, ulteriormente illustrato da memoria;

S.S. resiste con controricorso;

Considerato che

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 cod. proc. civ., 63 d.lgs. 546 del 1992, 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. con riferimento alla dichiarazione di illegittimità dell’acquisizione dei dati bancari non riguardante la materia devoluta al giudice del rinvio e comunque non fondata;

2. con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ. con riferimento al rinvio operato alla sentenza oggetto del primo ricorso per cassazione riguardo agli elementi probatori concernenti le movimentazioni bancarie poste a fondamento del l’accertamento impugnato;

3. con il terzo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento alla legittimità della considerazione dei dati sulla movimentazione bancaria che non richiedeva alcuna autorizzazione essendo stata la documentazione offerta dallo stesso contribuente;

4. con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e segg. del d.P.R. 917 del 1986 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento all’affermazione per cui i finanziamenti risultanti dalle movimentazioni bancarie si riferivano alle società e non ai soci;

5. con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e ss. d.P.R. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento alle somme transitate sul conto corrente della Cassa di Risparmio di Rieti sulle quali il contribuente non aveva fornito giustificazione, per cui la decisione impugnata si baserebbe su presunzioni e non su elementi probatori;

6. preliminarmente va dato atto dell’irrilevanza della comunicazione, con nota di deposito del 9 settembre 2020, dell’intervenuto decesso, in pendenza del giudizio di legittimità, del controricorrente S., stante l’inoperatività della disciplina dell’interruzione nel giudizio di cassazione, trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio (cfr., ex multis, Cass. sez. lav. 22 maggio 2014, n. 11382; Cass. sez. lav. 6 giugno 1994, n. 5458);

7. ciò premesso, il quarto ed il quinto motivo, da trattare precedentemente per motivi di ordine logico, sono inammissibili in quanto riguardano il merito del giudizio con riferimento alla natura dei versamenti sui conti correnti bancari intestati al contribuente e sulla quale la Commissione tributaria regionale ha adeguatamente motivato. Riguardo ai prelevamenti va poi considerata la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/14 e lo ius superveniens da questa determinato, che ha inciso sul principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, come sopra riportato, nella succitata sentenza n. 14041/2011, nel senso che, per effetto dell’intervento del giudice delle leggi, come di seguito precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 16 novembre 2018, n. 29572; Cass. sez. 5, 20 gennaio 2017, n. 1519), le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già include nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti;

8. che il primo ed il terzo motivo sono conseguentemente inammissibili per difetto di interesse non avendo alcun rilevo pratico (cfr. Cass. sez. 6-1, ord. 25 giugno 2020, n. 12678; Cass. sez. 1, 13 ottobre 2016, n. 20689) la dedotta violazione del giudicato interno sull’irrilevanza del difetto di autorizzazione all’acquisizione dei dati;

9. che il secondo motivo è infondato. La sentenza ora impugnata non si limita ad un rinvio alla precedente sentenza della Commissione tributaria regionale, in quanto motiva in modo esauriente riguardo alla non fruttuosità dei prestiti o finanziamenti concessi dal contribuente a varie società facendo riferimento a precisi elementi probatori quali i libri contabili delle società stesse per cui è del tutto infondata la doglianza relativa alla nullità della sentenza per motivazione apparente;

10. che il ricorso, pertanto, è infondato e va quindi rigettato;

11. che le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

12. che non sussistono i presupposti per il versamento, a carico della soccombente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 -bis del medesimo art. 13, in quanto tale versamento non può aver luogo per quelle parti, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 7.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, € 200,00 per esborsi, ed accessori di legge.