CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2021, n. 24158
Tributi – Imposta di registro – Sentenza civile di accertamento di diritto a contenuto patrimoniale – Imposta proporzionale
Rilevato che
1. – con sentenza n. 1424/21/16, depositata in data 11 aprile 2016, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, così pronunciando in integrale riforma della pronuncia di prime cure che, per suo conto, aveva accolto l’impugnazione di un avviso di liquidazione relativo alla registrazione di sentenza civile recante accertamento di diritto a contenuto patrimoniale;
1.1 – il giudice del gravame ha ritenuto che:
– in esito ad opposizione a decreto ingiuntivo proposto dall’Azienda sanitaria, il giudice civile ne aveva dichiarato l’improcedibilità, – in ragione del pagamento medio tempore eseguito, – ed aveva accertato quanto dalla stessa Azienda dovuto, a titolo di rateo di rimborso relativo all’agosto 2007, per prestazioni farmaceutiche rese in regime di convenzione;
– non v’era evidenza probatoria di una pregressa registrazione del decreto ingiuntivo, in quanto provvisoriamente esecutivo, né detta prova era stata offerta dall’Azienda sanitaria stessa;
– la sentenza civile era stata correttamente tassata in misura proporzionale (1% dell’imponibile), venendo in considerazione una pronuncia di accertamento che, diversamente da quanto previsto con riferimento a quelle di condanna, rimaneva al di fuori del campo di applicazione del principio di alternatività;
2. – l’Azienda Sanitaria provinciale di Enna ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi;
– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cod. civ. assumendo che, – come poteva desumersi dalla stessa sentenza oggetto di tassazione, – il decreto ingiuntivo opposto né era stato dichiarato esecutivo né poteva esserlo, atteso l’adempimento medio tempore eseguito da essa esponente (che ne aveva dato atto nel suo primo atto difensivo);
– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 37 e art. 8 della tariffa allegata, parte prima, sull’assunto che, in esito alla revoca del decreto ingiuntivo opposto, avrebbe dovuto tenersi conto di quanto dal contribuente corrisposto in relazione alla liquidazione dell’imposta di registro sul decreto ingiuntivo stesso;
– col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 40 e art. 8, nota II, della tariffa allegata, parte prima, deducendo, in sintesi, che, nella fattispecie, venivano in rilievo prestazioni soggette ad IVA e, così, l’applicazione del principio di alternatività tra Iva e imposta di registro qual rilevante ai fini della tassazione dell’atto in misura fissa;
– il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., sull’assunto che, – in ragione della fondatezza della proposta impugnazione e, quantomeno, di difformi orientamenti giurisprudenziali, – il giudice del gravame avrebbe dovuto compensare, tra le parti, le spese del giudizio;
2. – il ricorso è, nel suo complesso, destituito di fondamento e va senz’altro disatteso;
3. – i primi due motivi, – da esaminare congiuntamente perché logicamente connessi, – espongono, difatti, contenuti censori che si elidono reciprocamente e che, per di più, non colgono la ratio decidendi della gravata sentenza;
– il giudice del gravame, in effetti, nel rilevare che la pronuncia dispositiva del giudice civile recava (anche) un accertamento di diritti a contenuto patrimoniale (con riferimento ad un debito non ancora corrisposto dall’Azienda), oltrechè la revoca del decreto ingiuntivo opposto, ha ricondotto detto accertamento alla previsione tariffaria [art. 8, comma 1, lett. c)] che, come anticipato, forma oggetto di censura col terzo motivo;
– assumendo, ora, la stessa ricorrente (col primo motivo di ricorso) che il decreto ingiuntivo opposto, in difetto di esecutorietà, non era stato registrato, una siffatta deduzione, – logicamente incompatibile con l’esigenza di regolazione finale del tributo (esposta nel secondo motivo), – è del tutto estravagante rispetto all’accertamento che la gravata sentenza ha operato quanto al contenuto (di accertamento) ascritto alla sentenza di definizione del giudizio;
4. – quanto, ora, al terzo motivo, la Corte, – pur dopo la pronuncia di incostituzionalità resa dalla Corte Costituzionale (sentenza 13 luglio 2017, n. 177), – ha statuito che gli atti giudiziari di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale sono soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale con aliquota dell’1%, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, anche qualora essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA, non applicandosi il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 (v. Cass., 11 febbraio 2021, n. 3459; Cass., 19 aprile 2019, n. 11036);
– in dette pronunce, – cui va data continuità, – la Corte ha, in particolare, rimarcato il diverso rilievo della pronuncia di accertamento, rispetto a quella di condanna, ai fini della tassazione di registro dell’atto giudiziario, – e, dunque, della rilevanza fiscale dell’atto in relazione agli effetti dallo stesso prodotti, – richiamando le ragioni poste a fondamento della pronuncia di illegittimità costituzionale che è stata resa con riferimento a quell’ipotesi (l’opposizione allo stato passivo fallimentare) nella quale detta distinzione non è utilmente invocabile in quanto l’accertamento costituisce «presupposto necessario e sufficiente della partecipazione del creditore all’esecuzione collettiva, che è strumentale al pagamento del credito stesso, sia pure in “moneta fallimentare”.» (non essendo predicabile, dunque, esecuzione forzata);
– il che equivale a dire che la cennata distinzione, – rispondendo al criterio fondamentale di tassazione degli atti giudiziari (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 20) in relazione ai loro effetti giuridici (Cass., 19 giugno 2020, n. 12013; Cass., 18 aprile 2018, n. 9501; Cass., 20 luglio 2011, n. 15918; Cass., 7 novembre 2012, n. 19247; Cass., 27 ottobre 2006, n. 23243; Cass., 12 luglio 2005, n. 14649), – riprende il suo vigore al di fuori di detta specifica ipotesi, rispondendo la disposizione di cui alla nota II dell’art. 8, cit., – secondo il cui disposto «Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico», – ad un trattamento agevolato di stretta interpretazione che ne esclude l’interpretazione estensiva (v., ex plurimis, Cass., 27 settembre 2017, n. 22502; Cass., 5 luglio 2011, n. 14816);
5. – anche il motivo di ricorso incentrato sulla disciplina delle spese processuali è destituito di fondamento, risultando l’interpretazione delle evocate disposizioni normative operata in conformità al consolidato orientamento interpretativo della Corte e, così, la disciplina delle spese fondata sul principio di soccombenza;
6. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente, dovendosi, peraltro, escludere che ricorrano nella fattispecie i presupposti della responsabilità processuale (ex art. 96 cod. proc. civ.) evocata dall’Agenzia delle Entrate;
– nei confronti della ricorrente sussistono, però, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 500,00 oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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