CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2018, n. 5715
Pubblico impiego – Base di computo della pensione – Indennità di amministrazione – Omnicomprensività della retribuzione – Non sussiste
Rilevato
che la Corte d’appello di Genova con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda dei ricorrenti, dipendenti del Ministero della Giustizia, volta al riconoscimento del diritto al computo dell’indennità di amministrazione nella 13^ mensilità e nella base di computo della pensione e, in via subordinata, al riconoscimento del diritto a ripetere i contributi indebitamente versati; che la Corte territoriale, per quanto oggi rileva, in ordine al computo della indennità di amministrazione nella 13^ mensilità, richiamata la sentenza delle SSUU della Corte di Cassazione n. 14698/2005, ha escluso che l’art. 7 del D.L. C.P.S. del 25 ottobre 1946 n. 263, il quale per la prima volta aveva introdotto la 13^ mensilità, contenesse una previsione di onnicomprensività della retribuzione; ha ritenuto, inoltre, che i CCNL 1998/2001 e 2002/2003 e quello integrativo del 16.2.1999 (art. 25), che avevano previsto l’indennità di amministrazione non ne avevano stabilito l’inclusione nella 13A; quanto alla inclusione dell’indennità di amministrazione nella cosiddetta quota A al fine del trattamento pensionistico, ha rilevato che la indennità di amministrazione era entrata a far parte della base pensionabile dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in forza dell’art. 2 c. 9 della L. n. 335 del 1995 e che il c. 11 dello stesso art. 2 della legge n. 335 del 1995 prevede che la retribuzione definita dalle disposizioni di cui ai commi 9 e 10 concorre alla determinazione delle sole quote di pensione previste dall’art. 13 c. 1 lett. b) del D. Lgs. n. 503 del 1992, sicché l’indennità di amministrazione non poteva entrare nel computo della quota a); ha richiamato inoltre l’art. 13 del D. Lgs. n. 503 del 1992, l’art. 43 del TU n. 1092 del 1973 ed ha ritenuto che la natura retributiva dell’indennità non era sufficiente a farla rientrare nella base contributiva ai fini del computo dell’indennità di buonuscita; che avverso questa sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, al quale hanno resistito con controricorso il Ministero della Giustizia e l’Inps;
che con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 7 del D. Lgs.(“recte” D.L.T C.P.S. – Decreto Legislativo Del Capo Provvisorio Dello Stato) 25 ottobre 1946, n. 263 e dell’art. 1 della L. 22.6.1988 n. 263 ed omessa insufficiente e contraddittoria motivazione; sostengono che la Corte territoriale non avrebbe considerato le disposizioni contenute nel CCNL 16.5.2005 All. B. e che la 13^ mensilità era stata via via adeguata in termini economici rispetto a quella disciplinata dal D.L.T C.P.S. n. 263 del 1946;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 1 L. 22.6.1988 n. 221, dell’art. 43 del TU n. 1092 del 1973 e dell’art. 13 del D. Lgs. n. 503 del 1992, ed erronea motivazione su un elemento controverso e decisivo della causa; sostengono che l’indennità di amministrazione (già indennità giudiziaria) rientra nell’ambito della retribuzione pensionabile e affermano che l’interpretazione che ne esclude la pensionabilità sarebbe in contrasto con il principio di parità di trattamento tra dipendenti pubblici e dipendenti privati;
che, in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal Ministero sul rilievo della avvenuta riproposizione da parte dei ricorrenti delle argomentazioni spese nei giudizi di merito; i ricorrenti, infatti, non si sono limitati alla mera indicazione delle norme di legge che assumono violate, ma hanno svolto specifiche argomentazioni per dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, con le quali si sono confrontati in maniera critica e puntuale, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie (Cass. SSUU. 17931/2011; Cass. 24298/2016, 5337/2007);
che in via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’Inps con riguardo all’art. 360 – bis n. 1 c.p.c., perché le censure formulate, a prescindere dalla loro fondatezza, mettono in discussione la corretta applicazione dei principi di diritto già affermati da questa Corte in tema di 13^ mensilità e di indennità di amministrazione (Cass. SSUU 7155/2017); che il primo motivo del ricorso è infondato;
che questa Corte ha reiteratamente affermato il principio in base al quale in tema di retribuzione del lavoratore subordinato nel pubblico impiego e con riferimento alla base di calcolo della tredicesima mensilità, va esclusa la spettanza della indennità di amministrazione, sia perché dall’art. 7 del decreto Del Capo Provvisorio Dello Stato dn. 263 del 1946, n. 263, secondo cui detta gratificazione, commisurata al trattamento economico complessivo spettante alla data suindicata per stipendio, paga o retribuzione e indennità di carovita, escluse le quote complementari, va corrisposta per intero al personale di servizio …, non si evince alcun principio di onnicomprensività della retribuzione, sia perché le disposizioni dei CCNL 1998/2001, 2002/2003 e quello integrativo stipulato il 16 febbraio 1999 (art. 25) escludono che la tredicesima si debba commisurare alla “retribuzione individuale mensile” e che sia quindi comprensiva – oltre che della retribuzione base – anche di tutti gli assegni a carattere fisso e continuativo; sia infine perché, secondo l’art. 33, terzo comma, del CCNL 1998/2001, come modificato dall’art. 17, undicesimo comma del contratto integrativo, la indennità di amministrazione viene corrisposta per dodici mensilità, ha carattere di generalità e natura fissa e ricorrente’‘(Cass. SSUU 14698/2005; Cass. 22612/2015, 9313/2011, 11814/2008, 5118/2008, 2355/2007, 19564/2006); che il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate perchè ne condivide le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., e perchè il ricorso e la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. non apportano argomenti decisivi che impongano la rimeditazione deirorientamento giurisprudenziale innanzi richiamato; che il secondo motivo del ricorso è infondato;
che questa Corte (Cass SSUU 5759/2012, 6326/2012) ha già affermato il principio di diritto secondo il quale “In materia di trattamento di quiescenza nel pubblico impiego, l’indennità di amministrazione, istituita quale componente accessoria della retribuzione dall’art. 34 del c.c.n.I. del comparto Ministeri per il quadriennio 1994/1997, va computata, ai fini del calcolo della pensione, nella cosiddetta “quota B”, parzialmente pensionabile ex art. 13, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 503 del 1992, e non nella cosiddetta “quota A”, interamente pensionabile ex art. 13, comma 1, lett. a), per quest’ultima vigendo il principio di tassatività legale delle componenti della base pensionabile, sancito dall’art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come sostituito dall’art. 15 della legge n. 177 del 1976, e non rilevando l’estensione della base pensionabile alle voci retributive accessorie ex art. 2 della legge n. 335 del 1995, poiché espressamente limitata alla “quota B”; attesa l’esistenza di un analogo principio di tassatività delle componenti retributive della base di calcolo dell’indennità di buonuscita, ai sensi degli artt. 3 e 38 del D.P.R. n. 1032 del 1973, l’indennità di amministrazione non concorre neppure alla determinazione di detta indennità”; che i principi sora richiamati sono stati ribaditi nella decisione n. 81 del 2016, pronunciata in fattispecie relativa a personale dipendente, come gli odierni ricorrenti, del Ministero della Giustizia nella quale è stato anche precisato che la contrattazione collettiva non ha modificato la natura dell’indennità di amministrazione e che tale normativa non avrebbe potuto incidere sulla normativa pensionistica;
che il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c. atteso che i ricorrenti nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c. non apportano argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato;
che l’evoluzione del quadro normativo che disciplina il sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati nel senso della progressiva omogeneizzazione del trattamento proprio delle due diverse categorie di dipendenti (D.Lgs. n. 503 del 1992, recante norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati, L. n. 335 del 1995 e succ. modd. contenente la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare allo scopo di armonizzare i diversi ordinamenti) esclude che l’opzione interpretativa che non riconosce il carattere pensionabile della indennità di amministrazione sia in contrasto con il principio di parità di cui all’art. 3 della Cost.; che entrambi i motivi sono inammissibili nella parte in cui addebitano alla sentenza vizi motivazionali perchè le censure, per essere correlate non a fatti storici ma a questioni giuridiche, esorbitano dal perimetro del vizio di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (Cass. 17761/2016, 21152/2014; Ord 2805/2011) nel testo applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 19.3.2012); che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in applicazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., e tanto anche con riguardo all’Inps, perchè, diversamente da quanto adombrato dai ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis. 1. c.p.c. l’Inps ha resistito con il controricorso a seguito della sua evocazione in giudizio da parte dei ricorrenti;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 6.000,00 oltre spese prenotate a debito, quanto al Ministero, e in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA, quanto all’Inps.
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