CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 ottobre 2022, n. 29400
Lavoro – Collaboratore – Rapporto di agenzia – Assenza di forma scritta – Contratto quale fatto storico invocato da un terzo – Sussistenza – Violazione degli obblighi contributivi
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Perugia confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato U. Gas srl a pagare alla Fondazione Enasarco i contributi omessi e dovuti in relazione a un collaboratore ritenuto agente dagli ispettori della Fondazione.
Riteneva la Corte che l’assenza di un contratto scritto di agenzia non fosse di ostacolo alla prova data da Enasarco per presunzioni, in quanto il contratto di agenzia veniva in rilievo come fatto storico invocato da un terzo, ovvero la stessa Enasarco. Secondo la Corte, gli elementi documentali raccolti in sede ispettiva confermavano la sussistenza di un rapporto d’agenzia in luogo di un contratto di procacciamento d’affari; del pari, in sede ispettiva era risultato che U. Gas fosse iscritta alle associazioni di categoria stipulanti l’AEC ed erano così dovuti a Enasarco anche gli accantonamenti per FIRR.
Contro la sentenza, U. Gas srl ricorre per quattro motivi.
Fondazione Enasarco resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Considerato in diritto
Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1742 c.c.: la Corte avrebbe errato nel non richiede la prova scritta del contratto di agenzia.
Con il secondo e terzo motivo di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente, si deduce omesso esame circa un fatto decisivo, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 35 I. n. 12/73. Secondo la Corte, la ricorrente non aveva fornito elementi probatori contrari all’esistenza di un contratto d’agenzia, in ciò non considerando che era Enasarco a dover provare la sussistenza del contratto. Al fine non potevano bastare le dichiarazioni stragiudiziali acquisite nei verbali ispettivi, in assenza di produzioni attestanti i contratti promossi e/o conclusi dal preteso agente.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Corte aveva affermato l’obbligo di pagare le somme a titolo di accantonamenti per FIRR con motivazione insufficiente, facendo mero richiamo ai verbali ispettivi.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, quando il contratto non è stato stipulato tra le parti in causa ma è invocato da una di esse rimasta terza quale fatto storico influente sulla decisione del processo e non come fatto costitutivo della pretesa, non operano i limiti legali di prova di quel contratto (tra le tante, v. Cass.5880/21, Cass. 3336/15). Tale orientamento si attaglia al caso di specie. Enasarco è infatti terza rispetto al contratto d’agenzia, e fa valere diritti nascenti non direttamente dal contratto d’agenzia, bensì dal distinto e autonomo rapporto previdenziale avente ad oggetto l’obbligo contributivo, così che il contratto non rappresenta la fonte della pretesa contributiva (sull’autonomia del rapporto previdenziale da quello contrattuale, v. tra le tante, Cass. 8662/19).
Il secondo e terzo motivo sono, per una parte, manifestamente infondati e, per altra parte, inammissibili.
A differenza di quanto allegato in ricorso, la sentenza non ha violato l’art. 2697 c.c., poiché non ha escluso che Enasarco dovesse dare la prova della presenza di un contratto di agenzia. La Corte ha invece ritenuto che tale prova fosse stata assolta, in base ai seguenti elementi: a) per vari anni, i modelli 770 presentati dalla società indicavano il reddito del collaboratore come reddito derivante da agenzia. La Corte ha escluso che si fosse trattato di un mero errore di compilazione del modello (come si sostiene ancora in ricorso), posto che la compilazione fu ripetuta per vari anni; b) i partitari contabili della società attestavano versamenti mensili al collaboratore per importi significativi, incompatibili con l’attività occasionale del procacciatore d’affari, secondo quanto invece sostenuto dalla ricorrente; c) il collaboratore, sentito dagli ispettori Enasarco, si era qualificato come agente di commercio; d) tutte le fatture da lui emesse alla società recavano la dicitura “a saldo provvigioni del mese di”. I due motivi sono poi inammissibili laddove deducono che la prova testimoniale acquisita in giudizio confuta la ricostruzione operata dalla Corte e laddove allegano che gli elementi addotti dalla Corte a sostegno del contratto di agenzia sono insufficienti a fondare la relativa prova. Per tali profili, i motivi vengono a sindacare il modo in cui il giudice di merito ha liberamente apprezzato, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., il quadro probatorio emergente dagli atti di causa. Una tale censura è ammissibile non più come violazione di legge, bensì come vizio di motivazione della sentenza, e dunque nei limiti dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. (Cass., sez. un., 20867/20). Tuttavia, i due motivi, al di là del richiamo formale all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. contenuto in rubrica, non individuano alcun fatto storico decisivo che la sentenza avrebbe omesso di considerare. Parimenti inammissibile è il quarto motivo di ricorso. Anche in questo caso, a dispetto della rubrica, il motivo non individua alcun fatto storico decisivo e omesso dalla sentenza. Il motivo deduce solo una insufficiente motivazione, che però, in sé sola, non basta a integrare la previsione dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
Le spese di lite seguono la soccombenza di parte ricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite a parte resistente, liquidate per il presente grado, in € 2500 per compensi, € 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
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