CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2018, n. 8891
Tributi – Fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Società cartiera – Recupero imposte dirette ed IVA – Assoluzione penale del legale rappresentante pro tempore – Irrilevanza
Rilevato che
Con sentenza in data 18 maggio 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dalla M. srl avverso la sentenza n. 2574/53/15 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2007. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata doveva essere confermata, ben basandosi sulle risultanze del collegato processo penale relativo alla I. srl, società emittente delle fatture oggetto delle riprese fiscali de quibus, che confermavano l’ “inesistenza oggettiva” delle operazioni relative, argomentando peraltro anche relativamente alla intervenuta assoluzione del legale rappresentante pro tempore della M. nel processo penale parallelo alla presente lite tributaria amministrativa.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
La ricorrente successivamente ha depositato una memoria.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – la ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per vizio motivazionale totale (motivazione apparente).
La censura è infondata.
Va ribadito che:
– «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
– «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
La motivazione della sentenza impugnata è ben lontana dalle anomalie sostanziali individuate nei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, ponendosi senz’altro al di sopra del “minimo costituzionale”.
La CTR laziale infatti ha puntualmente individuato le fonti e le ragioni del proprio convincimento circa il fondamento essenziale delle pretese creditorie portate dall’atto impositivo impugnato, in particolare ravvisandole nell’accertata inesistenza della società I. srl, emittente delle fatture passive oggetto delle riprese fiscali, come confermata in un parallelo processo penale dalle dichiarazioni del legale rappresentante della I. medesima, che ne ha asseverato la natura di società “cartiera”.
Il giudice tributario di appello ha poi anche valutato il “peso” probatorio da attribuire alla assoluzione penale del legale rappresentante pro tempore della società contribuente, avvenuta a causa di una, autonoma, considerazione del giudice di quel processo circa la non sufficienza delle prove a carico, essendosi comunque avvalso in quel processo il legale rappresentante della “società cartiera” della facoltà di non rispondere.
Infine la CTR ha altresì considerato che l’accertata inesistenza della società emittente delle fatture de quibus comunque doveva considerarsi prova prevalente ed adeguata anche a fronte della apparente regolarità contabile/finanziaria delle operazioni correlative.
E’ quindi evidente la sussistenza effettiva e per nulla apparente della motivazione della sentenza impugnata, che peraltro con l’affermazione della libera valutazione della sentenza assolutoria penale e dell’inefficacia contro probatoria della mera regolarità contabile delle operazioni in oggetto, non ha fatto altro che adeguarsi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. rispettivamente, ex pluribus, Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 22/05/2015, Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015, Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 23/05/2012 e Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015).
In ogni caso il giudizio meritale espresso dal giudice tributario di appello non può certo essere oggetto di “revisione” in questo giudizio.
Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – la ricorrente denuncia di nullità la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo controverso con specifico riguardo alla valutazione delle dichiarazioni del legale rappresentante della l. srl.
La censura è inammissibile.
Trattandosi di “doppia conforme” il mezzo è precluso dall’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., non avendo comunque la ricorrente assolto all’onere mirante ad evitare tale preclusione secondo il principio di diritto che «Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016, Rv. 643244 – 03).
La memoria della ricorrente non induce a diverse considerazioni.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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