CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2018, n. 8934
Redditometro – Avvisi di accertamento – Recupero a tassazione di maggiore imposta Irpef
Ritenuto in fatto
Con separati ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale P.G. impugnava tre distinti avvisi di accertamento emessi ai fini del recupero a tassazione di maggiore imposta Irpef per gli anni 2002, 2004 e 2005 a seguito di accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 600/73.
Nel ricorso il contribuente precisava di essere socio, unitamente alla moglie, D.E., di due società, la G. s.n.c. di P.G. e D.E. e della L. e R.P. s.n.c. di P. G. & C., e che la Agenzia aveva inviato un questionario solo al coniuge D.E., limitatandosi a prendere atto della quota di reddito inerente la residenza principale e della proprietà di una autovettura; contestava il metodo utilizzato dall’Ufficio per la determinazione della superficie dell’immobile ed evidenziava che l’Ufficio non aveva tenuto conto dei disinvestimenti patrimoniali confluiti nell’ambito del nucleo familiare, pari al 50% con il coniuge, relativi alla vendita di un immobile sito in Trieste ed allo smobilizzo di vari fondi e al rimborso di BTP, oltre che al conseguimento di redditi da partecipazione inerenti le quote della società L. e R.P. compensati con le perdite della società G. s.n.c.
La Commissione Tributaria provinciale, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva, sottolineando che le risposte al questionario rese dal coniuge non avrebbero potuto essere utilizzate nei confronti del ricorrente.
Avverso detta sentenza proponeva appello l’Ufficio e la Commissione Tributaria regionale confermava la sentenza impugnata, motivando che il contribuente non era stato posto in grado di difendersi, considerato che il questionario era stato inviato solo alla moglie, e che non erano condivisibili le argomentazioni dell’Ufficio in ordine al fatto che «gli indici del redditometro costituissero di per sé situazioni legittimanti dell’avviso di accertamento».
La Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi.
Il contribuente resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. 600/73 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. civ.”, evidenziando che la Commissione Tributaria regionale, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, nega che gli indici del redditometro siano idonei a fondare l’accertamento sintetico del reddito.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. La Commissione tributaria regionale, al fine di respingere l’appello, afferma che «non sono condivisibili le certezze dell’Ufficio in ordine al fatto che gli indici del redditometro sarebbero già di per sé legittimanti dell’avviso di accertamento>>.
1.3. Gli indici utilizzati dall’Ufficio nell’accertamento impugnato (disponibilità di un alloggio e di una autovettura) costituiscono elementi indicativi di capacità contributiva e determinano una presunzione di capacità contributiva da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 cod. civ., atteso che è la stessa legge che consente di ritenere conseguente al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva.
Ne consegue che, una volta accertata la effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, il giudice tributario non può non riconoscere a tali elementi la capacità presuntiva che è ricollegata alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria offerta dal contribuente in ordine alla provenienza delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (Cass. n. 16284 del 23/7/2007; n. 17487 del 1/9/16).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. 600/73 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”, assumendo che, secondo la Commissione Tributaria regionale, gli avvisi di accertamento impugnati sarebbero illegittimi ed invalidi perché non preceduti dalla comunicazione e dalla notificazione del questionario al contribuente.
2.1. Il motivo è fondato.
2.2. La C.T.R., affermando che l’Ufficio ha irritualmente utilizzato le risposte fornite al questionario dal coniuge del contribuente e che è stato omesso un adempimento fondamentale per il corretto avvio dell’accertamento, si pone in contrasto con la disposizione di cui all’art. 38, quarto e sesto comma, del d.P.R. 600/73, vigente ratione temporis, che non prevedeva alcun obbligo di notificare o comunicare il questionario al contribuente, ossia di attivare una procedura di contraddittorio prima di procedere all’accertamento, sicchè deve ritenersi la piena legittimità e validità degli avvisi pur in assenza di tale adempimento.
Come è stato chiarito da questa Corte, “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in I. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, si impone l’obbligo della instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (Cass., Sez. Unite del 9/12/2015, n. 24823; n. 11283 del 31/05/2016).
Nel caso di specie è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento sintetico relativo agli anni di imposta 2002, 2004 e 2005, in relazione ai quali non opera la modifica normativa di cui al d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122 del 2010. Infatti, il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto, con specifica norma di diritto transitorio (art. 22, comma 1), che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (Cass. n. 21041 del 6/10/2014; n. 22746 del 2015).
3. Con il terzo motivo la Agenzia delle Entrate censura la sentenza per “omessa ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.”, facendo rilevare che, pur costituendo fatto in contestazione tra le parti e decisivo per la controversia se i disinvestimenti patrimoniali che il contribuente aveva indicato fossero o meno idonei a giustificare il maggior reddito accertato a suo carico ed in quale misura, il giudice di appello non ha assolutamente affrontato tale questione.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. La Commissione Tributaria regionale si è limitata ad affermare che «l’inserimento delle somme recuperate attraverso gli smobilizzi patrimoniali nel patrimonio familiare, la loro divisione in capo ai due coniugi, e l’effetto su più anni dei loro effetti fiscali rappresentano un altro “buco nero” dell’accertamento, poiché in assenza di chiare indicazioni da parte degli interessati ben poco avrebbe potuto orientarsi l’Ufficio, anche per disattenderle, mancando i dati di riferimento».
La motivazione resa risulta insufficiente in quanto non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dal giudice per addivenire alla decisione.
La Commissione Tributaria regionale non ha infatti spiegato se la esistenza di disinvestimenti o comunque di redditi esenti implicava anche la prova della effettiva disponibilità di tali importi negli anni oggetto di accertamento e, quindi, se la disponibilità di tali somme fosse idonea a dimostrare il maggior reddito accertato.
4. Con il quarto motivo si denuncia “omessa od insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.”, per non avere la Commissione Tributaria regionale valutato se il maggior reddito accertato dovesse ridursi in ragione delle contestazioni sollevate dal contribuente in merito alla reale superficie della residenza principale (mq. 166 anziché mq 181).
4.1. Il motivo è fondato, in quanto anche in relazione alla superficie dell’immobile il giudice di appello ha reso una motivazione del tutto carente, di per sé inidonea ad esprimere il procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass. Sez. Unite n. 24148 del 25/10/13), avendo sul punto affermato «anche l’utilizzo di un criterio di calcolo del valore dell’immobile in aperto contrasto con la normativa vigente è indice di superficialità da parte di chi ha operato, né possono invocarsi eccezioni procedurali in ordine alla produzione della perizia di parte, poiché la questione non va ricercata nel calcolo esatto della superficie dell’abitazione, bensì nella scelta del criterio da seguire per il suo calcolo, dove invece l’Ufficio ha commesso un evidente errore, giustamente anch’esso- fatto rilevare dalla C.T.P.».
5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza va cassata con conseguente rinvio della causa alla Commissione Tributaria del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, per il riesame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione.
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