Corte di Cassazione sentenza n. 25859 depositata il 2 settembre 2022
accertamenti standardizzati – studi di settore – requisito della “grave incongruenza” – le presunzioni legali sono costituzionalmente legittime in quanto si fondino sull’id quod plerumque accidit, ossia in ciò che, secondo le regole d’esperienza, avviene nella normalità o generalità dei casi
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, in esito alla mancata risposta al questionario notificato in data 27 maggio 2008 alla Millo Salvatore Sas, esercente attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di materiali di costruzione, al fine di accertare i costi di esercizio e i ricavi, emetteva, in base agli studi di settore, avviso di accertamento nei confronti della società e, per trasparenza, dei soci M.F. e M.S. per la quota di competenza per l’anno 2003 ai fini Iva, Irap e Irpef.
Con separato atto di contestazione irrogava le sanzioni conseguenti a M.F., autore della violazione quale legale rappresentante della società.
Le impugnazioni degli avvisi proposte dai contribuenti, rigettate dalla CTP di Messina, erano, previa riunione, accolte dalla CTR in epigrafe.
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso.
L’impugnazione avverso l’atto di contestazione delle sanzioni, invece, era rigettata sia dalla CTP di Messina che dalla CTR.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso M.F., in proprio e quale legale rappresentante della società, con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
All’udienza del 12 novembre 2020, previa riunione dei ricorsi per ragioni di connessione oggettiva e parzialmente sog1 ettiva, la causa era rinviata a nuovo ruolo per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci con riguardo al ricorso RNG 23886/2014, integrazione ritualmente effettuata e al cui esito i contribuenti si sono costituiti resistendo con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va esaminato preliminarmente il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, il cui primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione clegli artt. 32 e 38 d.P.R. n. 633 del 1972 (rectius: n. 600 del 1973) e 51, u. co., d.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CTR omesso di considerare che la ripresa aveva avuto origine dall’invio di questionario, rimasto senza risposta da parte della società contribuente, da cui, per l’espresso avvertimento in esso contenuto delle conseguenze derivanti da tale condotta, la inutilizzabilità dei documenti prodotti in giudizio.
1.1 Il motivo è inammissibile.
La CTR, invero, dà atto dell’avvenuta notificazione del suddetto questionario alla società e, sia pure implicitamente, della sua effettiva recezione, tant’è che si limita a rilevare, quanto alle opposte deduzioni, che la contribuente «sostiene di non averlo ricevuto».
E, del resto, che l’atto sia stato ricevuto può anche trarsi dal rilievo che i contribuenti non hanno sollevato alcuna obiezione in punto di contraddittorio endoprocedimentale quanto all’applicazione degli studi di settore, giustificandosi l’emissione de I successivo avviso ancorato ai soli standards proprio per l’inerte condotta della parte a fronte delle richieste dell’Ufficio.
La deduzione, peraltro, è inammissibilmente carente in punto di autosufficienza quanto all’informativa sulle conseguenze della mancata risposta che nel questionario sarebbe stata inclusa, la cui prova è in capo all’Ufficio, neppure soccorrendo sul punto alcun accertamento da parte della CTR.
2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d, d.P.R. n. 633 del 1972 (rectius: n. 600 del 1973), 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, conv. dalla l. n. 427 del 1993, 2727, 2729, 2697 e.e. e 53 Cost. per aver la CTR escluso la sussistenza di gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e ricavi accertati, che risultavano pari al 9,3°/o anziché al 6%, da commisurare al ricavo puntuale di riferimento e non a quello minimo ammissibile.
Rileva, inoltre, che il comportamento omissivo e non partecipe al contraddittorio del contribuente esentava l’Amministrazione dalla necessità di corroborare lo studio di settore con ulteriori elementi, sicché incombeva sulla parte l’onere cli fornire la prova contraria alla presunzione basata sui parametri stessi.
2.1 Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115e 116 c.p.c. per non aver tenuto conto delle prove addotte dall’Ufficio.
3. Il secondo motivo, ammissibile quanto alla dedotta violazione di legge, va disatteso per tutti i profili sollevati.
3.1 Occorre premettere, in punto di fatto, che l’avviso impugnato è stato notificato nel 2008 e, dunque, nel regime di cui all’art. 10, comma 1, n. 146 del 1998 come modificato dall’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006.
Il testo della disposizione prima della modifica era il seguente: «Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all’articolo 62- sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d’imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo».
Per effetto della novella del 2006 il testo risultante era divenuto: «Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all’articolo 62- sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi».
Secondo l’orientamento più tradizionale di questa Corte (tra le varie v. Cass. n. 26481 del 17/12/2014; Cass. n. 22421 del 04/11/2016; Cass. n. 27847 del 31/10/2018), la nuova formulazione della norma, nel sopprimere il riferimento alle «gravi incongruenze>>, ha legittimato l’accertamento sulla base del mero divario tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore a prescindere dall’entità dello scostamento.
In tempi più recenti, peraltro, tale orientamento è stato messo in discussione da Cass. n. 8854 del 29/03/2019 (seguita, da ultimo, da Cass. n. 18249 del 24/06/2021), che ha ritenuto la persistenza del requisito delle «gravi incongruenze», esclusa l’abrogazione implicita del parametro normativo.
3.2 Giova evidenziare, in secondo luogo, che, nella vicenda in giudizio, la CTR, omettendo ogni considerazione sulla novella, qui applicabile, reputa necessario il requisito delle gravi incongruenze nello scostamento, di cui accerta, in fatto, l’insussistenza, derivandone che «non esistevano le condizioni di procedibilità dell’accertamento in base agli studi di settore».
4. Appare dunque necessario esaminare la questione su cui la giurisprudenza di questa Corte si è espressa in termini divaricati.
4.1 L’orientamento più risalente si fonda, principalmente, sulla natura dell’intervento operato dal legislatore sull’art. 10, comma 1, l. 146 del 1998 e sulla valenza innovativa della modifica stessa.
Da un lato, infatti, si è osservato (v.. in particolare Cass. n. 26481 del 17/12/2014) che l’art. 10 cit., per effetto della modifica apportata dalla successiva legge del 2006, a differenza del testo precedente, non si limitava più a richiamare l’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, in tal modo recependo in toto la disposizione con la tecnica del rinvio recettizio, ma – aggiungendo lo specifico inciso “qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi” – «ha fornito una autonoma regolamentazione e soppresso il precedente riferimento alle gravi incongruenze».
La modifica, inoltre, aveva carattere (non di interpretazione autentica ma) innovativo, che si evincerebbe «in maniera del tutto chiara, dal riferimento espresso alle “modificazioni” apportate dalla stessa alla disposizione di cui all’art. 10, co. 1, della legge cit., nonché dalla considerazione che il disposto di cui all’art. 1, co. 23 1. 296/2006 ha introdotto un presupposto diverso degli avvisi di accertamento, costituito dal mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra dichiarato e risultanze degli studi di settore».
Da tutto ciò, la legittima emissione, a far data dal 1° gennaio 2007, di avvisi di accertamento in base al «mero divario tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore, qualunque sia l’entità di tale difformità».
4.2 Il diverso orientamento (Cass. n. 8854 del 2019) trae spunto dalla sentenza della Corte di giustizia del 1° novembre 2018, in C- 648/16, Fontana, relativa all’Iva (che ha ritenuto legittima la ripresa sugli studi di settore in presenza di gravi divergenze purché «tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale.,. di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta»), e, sostanzialmente, si articola su due argomenti:
- da un lato la decisione della CGUE si fonda – anche – sul principio di proporzionalità, principio che, però, non riguarda solo l’Iva ma investe pure le imposte dirette, sicché la statuizione della Corte UE deve ritenersi applicabile anche a queste ultime, «dovendosi considerare prioritaria la tutela del principio di capacità, contributiva ex art. 53 Cast.»;
- la modifica dell’art. 10, comma 1, n. 146 del 1998 ad opera dell’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006 continua a richiamare l’intera formulazione dell’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 e, quindi, anche la necessità del requisito delle «gravi incongruenze>>, sicché non vi sarebbe stata alcuna abrogazione implicita del parametro normativo.
5. Ritiene il collegio di condividere questa seconda soluzione ma in base ad un diverso percorso motivazionale.
6. Non appare pertinente né decisivo, in primo luogo, il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia 1° novembre 2018, in C-648/16,
6.1 La sfera di competenza del diritto unionale, infatti, riguarda esclusivamente i tributi armonizzati e non anche i tributi non armonizzati (v. Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015)., sicché il diritto unionale e le sentenze della Corte di giustizia, che lo applicano, interpretandolo, non hanno alcuna efficacia vincolante nel diritto interno con riferimento alle imposte dirette e all’IRAP.
Inoltre, la Corte di giustizia risolve, con effetto erga omnes (v. Cass. n. 5381 del 03/03/2017; Cass.. n. 22577 del 11/12/2012), questioni interpretative attinenti all’applicazione del diritto unionale e non già questioni riconnesse all’applicazione del diritto interno, la cui interpretazione spetta al giudice nazionale (v. Cass. n. 20708 del 22/09/2006; Cass. n. 11125 del 15/05/2007).
Infine, la stessa portata della decisione in oggetto non sembra correttamente intesa: la Corte di giustizia, infatti, si limita ad affermare che una normativa interna che applichi gli studi di settore in presenza di gravi incongruenze non è in contrasto con il principio di proporzionalità, mentre non si preoccupa – il profilo resta estraneo – di valutare se sia o meno compatibile con il diritto UE anche la diversa ipotesi di una normativa che non contempli la sussistenza di gravi incongruenze (riconnessa, peraltro, ad una particolare procedura che implica il necessario contraddittorio con il contribuente).
6.2 Ne deriva che la richiamata decisione è applicabile solo all’Iva e non è idonea ad incidere sull’interpretazione del diritto interno.
Con la prospettazione evidenziata, del resto, si verrebbe a far dire alla Corte di giustizia più di quanto da essa affermato: quello che rileva – e in ciò si radica la portata del principio di proporzionalità – è che il contribuente possa esercitare con pienezza il suo diritto senza che il livello della prova debba essere particolarmente elevato.
L’intervento della Corte di giustizia pertanto, assume, in realtà, solo un valore di occasio, quale momento diretto a provocare (o rinnovare) una più ampia riflessione.
7. La questione, dunque, va apprezzata alla luce del diritto interno.
7.1 A tal fine appare opportuno partire dalla sentenza delle Sezioni Unite civili n. 26635 del 18/12/2009, con cui è stata fornita una lettura complessiva e articolata della disciplina degli studi di settore.
7.2 Le Sezioni Unite, oltre ad individuare il contraddittorio tra contribuente ed amministrazione quale <<indefettibile momento» poiché è esso «che dà sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri», nonché agli «accertamenti fondati sugli studi di settore», e dal quale «possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito», hanno preso in esplicita considerazione la disciplina via via modificata, fino a quel momento, degli studi di settore, ivi compreso, in particolare, l’intervento del legislatore di cui alla legge n. 296 del 2006.
Già il par. 8.1. della citata decisione, infatti, precisava che «di presunzione semplice parla espressamente l’art. 1, comma 14-bis, L. n. 296 del 2006 (introdotto con l’art. 15, comma 3-bis, D.L. n. 81 del 2007), a proposito degli indicatori di normalità economica (approvati con D.M. 20 marzo 2007, modificato con D.M. 4 luglio 2007), che gli uffici devono utilizzare per gli accertamenti da effettuare fino alla revisione degli studi di settore» che debbono esseire «idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta».
Di seguito, al par. 8.2., le Sezioni Unite, in termini espliciti, affermavano: «In buona sostanza, gli studi di settore … rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante.
Lo scostamento non deve essere “qualsiasi”, ma testimoniare una “grave incongruenza” (come espressamente prevede l’art. 62-sexies, comma 3, D.L. n. 331 del 1993, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, l’art. 10, comma 1, L. n. 146 del 1998, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera espressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere “corretti”, in contraddittorio con il contribuente, in modo da “fotografare” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato».
7.3 L’art. 10, comma 1, n. 146 del 1998, per come modificato dall’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006, quindi, era già stato oggetto di diretta interpretazione da parte delle stesse Sezioni Unite, che si erano orientate per ritenere incluso anche nella nuova formulazione, in ragione «di una interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva», il requisito delle “gravi incongruenze”.
7.4 La sintetica ma chiara affermazione delle Sezioni Unite trova ampio riscontro nella stessa giurisprudenza costituzionale.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, le presunzioni legali sono costituzionalmente legittime in quanto si fondino sull’id quod plerumque accidit, ossia in ciò che, secondo le regole d’esperienza, avviene nella normalità o generalità dei casi (v., tra le tante, Corte cost. n. 228 del 2014 sull’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 con riguardo ai prelievi bancari dei lavoratori autonomi; Corte cast. n. 120 del 2020 in tema agevolazione tributaria sull’imposta di successione a favore dei soli figli e non del coniuge con riguardo al passaggio generazionale dell’azienda; Corte cost. n. 15 del 2021 in tema di presunzione a favore del più anziano dei figli nella successione nei masi chiusi).
Orbene, gli studi di settore, come pacificamente riconosciuto, non sono null’altro che una elaborazione statistica rispetto alla quale – come per qualsiasi parametro statistico ·- è fisiologico, proprio secondo le normali regole di esperienza, uno scostamento tra dati effettivi e coefficienti presuntivi.
Ne deriva che considerare, come elemento in grado di attivare un accertamento, un qualsiasi scostamento equivarrebbe imporre una regola in contrasto con le stesse regole d’esperienza e, in conclusione, come precisato dalle Sezioni Unite, trasformare gli studi di settore da «mezzi di accertamento in mezzo di determinazione del reddito».
8. Una attenta analisi dei complessivi interventi del legislatore, in ispecie del 2006, e dei dati normativi coinvolti, peraltro, dà pieno riscontro all’autorevole esegesi operata dalle Sezioni Unite.
8.1 Nell’ambito soggettivo originario di applicazione degli studi di settore – ossia, quello introdotto con il testo dell’art. 10 della legge 146 del 1998 – erano comprese:
– le imprese in regime di contabilità semplificata (art. 10, comma 1);
le imprese in regime di contabilità ordinaria per opzione e gli esercenti le arti e le professioni: per queste categorie., peraltro, erano previste modalità applicative differenti (ossia, solo se i risultati erano non congrui per due annualità su tre consecutive) (art:. 10, commi 2 e 3);
– le imprese in regime di contabilit,3 ordinaria per obbligo, infine, erano soggette all’applicazione degli studi di settori nel caso in cui la contabilità fosse risultata inattendibile (art. 10, commi 2 e 3).
8.2 L’art. 1, comma 409, legge n. 311 del 2004 (Finanziaria per l’anno 2005), peraltro, unificò (con decorrenza dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2004) il trattamento dei soggetti in contabilità per opzione e per obbligo, cui venne estesa l’applicazione generalizzata della ricostruzione reddituale sugli studi di settore secondo la regola, su evidenziata, del “due su tre”, salva la possibilità di farvi ugualmente ricorso, anche per la singola annualità, in relazione a situazioni di significativa incoerenza rispetto ad appositi indici di natura economica, finanziaria, patrimoniale, individuati con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, sentito il parere della Commissione di esperti (art. 10, comma 2).
8.3 Su questo assetto intervenne il legislatore del 2006.
In particolare, con l’art. 37, comma 2, lett. a), d.l. n. 223 del 2006, vennero abrogati i commi 2 e 3 dell’art. 10 della legge n. 146 del 1998, cui era espressamente collegata l’applicazione degli studi di settore per le imprese in contabilità ordinaria e che prevedevano, come rilevato, le specifiche modalità di impiego dello strumento.
Per effetto di questo intervento l’accertamento mediante studi di settore venne generalizzato ad ogni ipotesi di impresa in contabilità ordinaria e, anzi, ad ogni tipo di contabilità adottato, anche a prescindere dal riscontro di una pluralità di periodi d’imposta (secondo la regola del “2 su 3”) restando sufficiente lo scostamento anche per un singolo periodo d’imposta.
Le originarie previsioni di cui ai commi 2 e 3 – nella formulazione anteriore abrogata – disponevano:
«2. Nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, e degli esercenti arti e professioni, la disposizione del comma 1 trova applicazione quando in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l’ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all’ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi di imposta. La disposizione del comma 1 trova applicazione in ogni caso nei confronti degli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, quando emergono significative situazioni di incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, sentito il parere della commissione di esperti di cui al comma 7»
«3. Indipendentemente da quanto previsto al comma 2, nei confronti dei contribuenti in regime di contabilità ordinaria, anche per effetto di opzione, l’ufficio procede ai sensi del comma 1 quando dal verbale di ispezione, redatto ai sensi dell’articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, risulta motivata l’inattendibilità della contabilità ordinaria in presenza di gravi contraddizioni o l’irregolarità delle scritture obbligatorie ovvero tra esse e i dati e gli elementi direttamente rilevati in base ai criteri stabiliti con il decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 570»
A fronte della soppressione di queste norme, tuttavia, era rimasto immutato il comma 1 dell’art. 10, che continuava a far generico riferimento ai «contribuenti con periodo d’imposta pari a dodici mesi» (e, dunque, apparentemente ai soli soggetti determinati in relazione all’art. 18 d.P.R. n. 600 del 1973), formulazione non più coerente con il nuovo assetto.
Va sottolineato, sul punto, che le lett. b) e e) del medesimo art. 37, comma 2, d.l. n. 223 del 2006, avevano altresì rettificato i commi 3 bis e 4 dell’art. 10 – univocamente riferibili alle ipotesi di imprese in contabilità ordinaria e agli altri soggetti ivi considerati – eliminando i riferimenti ai commi 2 e 3 (abrogati) e sostituendoli con il rinvio al comma 1 della stessa norma.
8.4 La discrasia, o comunque il carente coordinamento del testo normativo in dipendenza delle abrogazioni operate, trovava di lì a breve la necessaria composizione con l’art. 1, comma 23, della legge n. 296 del 2006, che, infatti, eliminava la locuzione «con periodo d’imposta pari a dodici mesi» e riproduceva il riferimento, generale, allo scostamento in relazione agli studi di settore già presente nelle norme abrogate, sicché la locuzione contenuta nella norma diveniva quella, nota, «sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi».
8.5 In altri termini, la diversità di formulazione dell’art. 10, comma 1, cit. derivante dalla modifica di cui alla legge n. 296 del 2006, non individuava un diverso tessuto normativo, né evocava una autonoma determinazione dei presupposti per l’applicazione degli studi di settore ma assolveva solo ad esigenze di coordinamento, di semplificazione e di sintesi in dipendenza del nuovo contesto di riferimento, immutata la regolamentazione sostanziale di cui all’art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993.
8.6 Non a caso, del resto, la stessa Agenzia delle entrate, nella immediatezza delle novelle del 2006, con la circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007 aveva affermato che la modifica dell’art. 10, comma 1, l. n. 146 del 1998, operata dall’art. 1, comma 23, lett. b), della l. n. 296 del 2006 non aveva in nulla mutato la portata della disciplina e la valenza probatoria degli studi di settore, assumendo valore l’intervento in funzione di coordinamento normativo (“La modifica normativa relativa all’articolo 10, comma 1, della legge n. 146 del 1998, prevista dall’art. 1, comma 23, lett. b), della legge finanziaria 2007 è correlata alla abrogazione, effettuata ad opera del decreto legge n. 223 del 2006, del comma 2 del citato articolo 10 e ribadisce, ancora una volta, la valenza probatoria degli studi di settore quale presunzione relativa, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”).
9. Le conclusioni raggiunte trovano ulteriore riscontro in una prospettiva di sistema nel quadro delle metodologie di accertamento esperibili dall’Ufficio.
9.1 Come è noto, il legislatore ha introdotto, nel tempo, una molteplicità di procedure di accertamento, che vanno, tra l’altro, dalle procedure di accertamento formale automatizzate (artt. 36 bis e 36 ter d.P.R. n. 600 del 1973; artt. 54 bis e ss d.P.R. n. 633 del 1972), all’accertamento sintetico, all’accertamento analitico (contabile, analitico-induttivo e induttivo puro o extracontabile), all’accertamento mediante gli studi di settore.
Ogni metodologia si fonda su presupposti specifici individuati dalla legge in relazione alla variabilità delle situazioni e la cui sussistenza assicura la legittimità dell’accertamento.
L’accertamento analitico (contabile per le imprese) investe, in termini appunto analitici, la generalità delle voci attive e passive dichiarate dal contribuente e, quindi, rinviene nelle stesse modalità di esperimento la sua legittimazione formale.
Negli altri casi, invece, la ricorrenza di particolari condizioni (es. l’omessa presentazione della dichiarazione per l’accertamento induttivo cd. puro) giustifica e legittima l’avvio della procedura di accertamento.
9.2 Alcune tipologie di accertamento traggono i loro presupposti di attivazione da una base statistica e presuntiva.
L’accertamento sintetico per le persone fisiche (art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973), in particolare, può anche essere fondato «sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza» sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali (di volta in volta vigenti) (cd. redditometro).
Tuttavia, la determinazione sintetica del reddito è consentita purché il reddito complessivo accertabile ecceda rispetto a quello dichiarato – ai sensi dell’art. 38, sesto comma, d.P.R. 11. 600 del 1973 come riformulato dall’art. 22, comma 1, d.l. n. 78 del 2010 – di almeno un quinto (anteriormente era previsto il limite di un quarto).
Tale scelta si fonda sull’evidente ragione che, proprio in relazione alla genesi probabilistica della ripresa (e salva, successivamente al 2010, l’attivazione del contraddittorio ex art. 38, settimo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dall’art. 22, comma 1, d.l. n. 78 del 2010), è necessario che lo scostamento si ponga al di sopra di una determinata soglia.
In mancanza di questo divario, dunque, resta esclusa la possibilità di un accertamento sintetico, ferma la possibilità per l’Amministrazione di operare con altri strumenti.
L’accertamento in base agli studi di settore costituisce, a sua volta, come evidenziato, un metodo di accertamento extracontabile che si fonda sul calcolo dei ricavi presunti dall’impresa in base alla probabilità statistica in relazione ad una pluralità di parametri qualitativi, quantitativi e territoriali, ossia su un metodo statistico e informatizzato.
Il presupposto del “grave scostamento”, previsto dall’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, assolve, allora, alla stessa funzione poiché individua l’originario presupposto impositivo, al di sotto del quale, il metodo non è applicabile e l’avviso è invalidamente emesso, ferma, anche qui, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria del ricorso, in tali situazioni, ad ulteriori strumenti di accertamento.
Ne deriva, allora, che ritenere che un qualsiasi scostamento sia idoneo a legittimare l’avvio e l’emissione di un accertamento su studi di settore significa introdurre una criticità strutturale di sistema, sì da far ritenere una simile opzione interpretativa – anche sotto questo versante – irragionevole.
9.3 È opportuno precisare, per completezza, che l’accostamento tra le due ipotesi ora considerate non deve far trascurare le rilevanti differenze esistenti tra di esse, di impatto significativo rispetto alla fattispecie normativa qui in esame.
Nel primo caso (accertamento sintetico), infatti, il legislatore ha cristallizzato, in termini rigidi, l’entità dello scostamento che consente il ricorso alla procedura.
Nel secondo (accertamento su studi di settore), il legislatore ha invece introdotto una clausola generale, caratterizzata da margini di variabilità, sicché la locuzione “gravi incongruenze”, il cui apprezzamento in fatto è riservato al giudice di merito, ancorché ancorata ad un divario necessariamente di carattere quantitativo tra dichiarato e accertato, non si traduce, in via automatica, nella determinazione di una percentuale di scostamento fissa e predeterminata, neppure all’interno di un qualche ran Je, non previsto dalla disciplina.
10. Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
«in tema di accertamento su studi di settore, il requisito della “grave incongruenza” di cui all’art. 62-sexies, comma 3, d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, costituisce presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento su di essi fondati, senza che assuma rilievo, per gli avvisi notificati successivamente al 1 ° gennaio 2007, la modifica dell’art. 10, comma 1, l. n. 146 del 1998 operata con l’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006, in quanto priva di portata innovativa e diretta ad assicurare, secondo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, una funzione di mera semplificazione e coordinamento normativo attesa l’abrogazione dei commi 2 e 3 del medesimo art. 10, ad opera dell’art. 37, comma 2, lett. b, d.l. n. 226 del 2006, e l’estensione dell’applicabilità della tipologia di accertamento a prescindere dalla contabilità adottata»
11. Alla luce dei principi esposti, dunque, è infondata la denunziata violazione di legge.
11.1 La CTR, con una articolata analisi sui diversi indici di coerenza (uno solo dei quali risultava fuori dal range di confidenza), ha infatti ritenuto esiguo lo scostamento «tra i ricavi dichiarati e quelli accertati, in rapporto al volume di affari, che nel caso in esame è pari al 6% circa se riferito al “minimo ammissibile” previsto dallo studio di settore ed al 4% se riferito al ricavo “minimo ammissibile”», da cui la conseguenza che detti elementi «non erano utili a dimostrare l’antieconomicità di gestione aziendale e non potevano costituire il presupposto per l’individuazione dei maggiori ricavi accertati».
Il giudice d’appello, dunque, ha escluso la sussistenza delle gravi incongruenze e, quindi, dei presupposti per il legittimo ricorso alla procedura fondata sugli studi di settore.
11.2 È invece inammissibile la doglianza sull’entità dello scostamento e sulla sua specifica considerazione, che attinge l’accertamento in fatto operato dalla CTR sul dato percentuale alla luce del complesso degli elementi fattuali relativi all’attività d’impresa.
11.3 Da quanto sopra, infine, deriva l’inammissibilità per carenza d’interesse del profilo relativo all’affermazione della CTR per cui l’Agenzia avrebbe dovuto fornire ulteriori elementi indiziari.
12. Il terzo motivo, infine, è parimenti inammissibile sia in relazione al rigetto del secondo motivo, sia per difetto di specificità per l’omessa riproduzione e indicazione degli atti e documenti, la cui considerazione sarebbe stata omessa dalla CTR.
13. Passando al ricorso NRG 2435/2016, avente ad oggetto gli atti di contestazione e irrogazione delle sanzioni relative alla medesima ripresa per il 2003, i contribuenti lamentano, con tre motivi, la violazione degli 174 e 435, primo comma, c.p.c. per essere stato il relatore della decisione della CTR sostituito dal Presidente del collegio dopo la discussione (primo motivo), la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 sulla mancata riunione al parallelo giudizio relativo all’atto di accertamento (secondo motivo), nonché la violazione degli artt. 2, 7, 11 d.lgs. n. 472 del 1997 (terzo motivo).
13.1 Il definitivo annullamento dell’atto impositivo, tuttavia, determina il conseguenziale venir meno anche delle sanzioni (irrogate in relazione alla pretesa sostanziale), sicché, decidendo sul ricorso, assorbite le doglianze, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, va accolto l’originario ricorso dei
14. L’esistenza di un contrasto negli orientamenti della Corte giustifica l’integrale compensazione delle spese di legittimità per entrambi i giudizi, nonché di quelle relative alle fasi di merito quanto al ricorso NRG 2435/2016.
P.Q.M.
La Corte, previa riunione del ricorso NRG 2435/2016 al ricorso NRG 23886/2014, rigetta il ricorso NRG 23886/2014; decidendo sul ricorso NRG 2435/2016, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti con riguardo agli atti di contestazione.
Compensa integralmente le spese di legittimità per entrambi i ricorsi e, quanto al ricorso NRG 24;5/2016, compensa altresì le spese relative alle fasi di merito.
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