CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 gennaio 2019, n. 521
Lavoro – Dirigente – Indennità sostitutiva del preavviso di recesso – Comunicazione per iscritto – Rggiungimento dell’età pensionabile
Rilevato che
1. con sentenza n. 395 depositata il 17.4.2014, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto da S.G. e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la S. – S.A.G.A. s.p.a. (d’ora in avanti, S. s.p.a.), al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso di recesso, oltre accessori di legge, confermando la sentenza del Tribunale quanto alla condanna di parte datoriale al pagamento della indennità sostitutiva di ferie non godute;
2. la Corte territoriale, preso atto del regime di libera recedibilità del rapporto di lavoro a seguito del raggiungimento dell’età pensionabile da parte del dipendente, con qualifica dirigenziale, ha escluso che le delibere del Consiglio di amministrazione del 29.10.07 e del 17.5.10 contenessero una manifestazione di volontà di recedere dal rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 10, D.Lgs. n. 368 del 2001, alle scadenze indicate nelle due rispettive proroghe; ha interpretato le stesse come tali da rinviare alle scadenze successive ogni decisione sulla prosecuzione del rapporto o sulla sua risoluzione;
3. la Corte territoriale ha ritenuto che la comunicazione per iscritto del recesso fosse necessaria, in base all’art. 22, comma 6, del c.c.n.l. di settore, anche nel caso in cui il dirigente avesse raggiunto l’età pensionabile, richiamando i principi espressi al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14628 del 2010) e che tale comunicazione mancasse nel caso in esame;
4. avverso tale sentenza la S. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso il lavoratore.
5. il sig. S. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Considerato che
6. con l’unico motivo di ricorso la S. s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., degli artt. 2 e 4, L. n. 108 del 1990, dell’art. 22 c.c.n.l. Dirigenti aziende industriali del 25.11.09;
7. ha sostenuto come, per effetto del raggiungimento dell’età pensionabile, il rapporto di lavoro in esame fosse transitato nell’area della libera recedibilità, restando fermo solo l’obbligo di rispetto della forma scritta di intimazione del recesso, adempiuto con la delibera del Consiglio di amministrazione del 29.10.07, sottoscritta dal dipendente, nel rispetto del termine di preavviso;
8. ha censurato l’interpretazione data dalla Corte d’appello in quanto contraria alle previsioni degli artt. 1362 e ss. c.c., argomentando come, in base alle delibere del C.d.A., la cessazione del rapporto fosse stata prorogata e come proprio l’uso del termine “proroga” presupponesse l’esistenza di un termine di scadenza;
9. il ricorso è infondato;
10. occorre premettere, in conformità al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, come in tema di interpretazione degli atti unilaterali – regolati, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ., alla stregua dei contratti – vale il principio secondo cui l’interpretazione della volontà negoziale delle parti, compiuta dal giudice del merito, non è soggetta al sindacato di legittimità, quando sia stata condotta secondo le regole di ermeneutica fissate dagli artt. 1362 e seguenti c.c., e congruamente motivata. Peraltro, la parte che voglia denunciare un errore di diritto od un vizio di ragionamento nella detta interpretazione non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui ai citati artt. 1362 e seguenti, ad essa incombendo, invece, l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto e il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, (Cass. n. 8713 del 2004; Cass. n. 4147 del 2001); non può la parte ricorrente limitarsi a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative o, comunque, diverse rispetto a quelle proposte dal giudice di merito, atteso che il controllo di logicità del giudizio di fatto non può risolversi in una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, (Cass. n. 19089 del 2018; Cass. n. 25270 del 2011; Cass. n. 18375 del 2006);
11. nel caso di specie, le censure mosse dalla società ricorrente risultano prive di elementi atti a far ritenere erronea l’interpretazione data dalla Corte di merito alle delibere del C.d.A., come non contenenti il preavviso di recesso;
12. neppure è ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 22 del c.c.n.l. che, se pure consente la risoluzione del rapporto col dirigente al raggiungimento dell’età pensionabile in assenza di motivazione, non esonera parte datoriale dall’obbligo di comunicazione per iscritto del recesso, con osservanza dei termini di preavviso; obbligo che la Corte d’appello, con accertamento non validamente censurato in questa sede, ha ritenuto non essere stato adempiuto;
13. peraltro, sulla questione dei termini e delle modalità di risoluzione del rapporto in coincidenza con il raggiungimento dell’età per il conseguimento della pensione di vecchiaia e dell’esistenza o meno del diritto del lavoratore ad un periodo di preavviso, nell’ambito del rapporto di lavoro privatistico, questa Corte (da ultimo, Cass. n. 6157 del 2018) ha più volte statuito che la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse (cfr. Cass. n. 14628 del 2010; Cass. n. 26377 del 2008);
14. dalla L. 1 maggio 1990, n. 108, art. 4 si desume che, nel lavoro privato, il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per la effettiva attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia (D.Lgs. n. 248 del 2007, art. 6, comma 2-bis) da parte del lavoratore determinano soltanto la recedibilità “ad nutum” dal rapporto di lavoro e, dunque, il venire meno del regime di stabilità, non già la automatica estinzione del rapporto stesso, sicché, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di età (Cass. n. 9312 del 2014; Cass. n. 3237 del 2003; Cass. n. 3907 del 1999);
15. ne consegue che, nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica, per la risoluzione del rapporto per limiti di età anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro è imposto comunque l’obbligo di preavviso (Cass. n. 2339 del 2004; Cass. n. 5576 del 2001; Cass. n. 12890 del 2000; Cass. n. 10782 del 2000; Cass. n. 6396 del 1995);
16. a tali principi di diritto si è attenuta la sentenza impugnata;
17. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;
18. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità avviene secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;
19. ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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