CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 maggio 2018 n. 11451
Tributi – TARSU – Istituzione e attivazione del servizio – Mancata fruizione del servizio – Ragioni – Rilevanza – Esclusione – Esenzione dalla tassa – Esclusione – Riduzione della misura del tributo – Configurabilità
Ritenuto in fatto
Il Comune di Cinisello Balsamo ricorre con sei motivi, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza n. 77/7/2013, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in qualità di giudice di rinvio, decidendo sulle impugnazioni proposte dalla contribuente R. s.r.l., titolare di un ipermercato ubicato nel Centro Commerciale “La Fontana”, contro avvisi di accertamento e cartelle di pagamento riguardanti varie annualità di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), ricomprese tra il 1999 ed il 2005, che avevano originato distinti giudizi di merito, conclusisi peraltro con esiti contrastanti, ha disposto l’integrale annullamento degli atti impugnati e compensato tra le parti le spese dell’intero giudizio.
La decisione si fonda sulle seguenti affermazioni: 1) emerge dalla documentazione prodotta dalle parti che “pur avendo il Comune attivato su tutto il suo territorio il servizio di raccolta rifiuti speciali assimilati con affidamento, da una certa data in poi, alla (società) W. Italia dell’incarico di raccolta ed avvio al recupero, pur tuttavia di fatto la R. non ha mai usufruito del servizio pubblico avendo provveduto direttamente tramite trasportatori privati”; 2) il Comune ha contestato solo in sede giudiziale le modalità con cui la contribuente ha effettuato negli anni lo “smaltimento
O recupero dei rifiuti assimilati agli urbani affidato a privati”, mentre dichiarazioni e formulari delle incaricate imprese C. e F.lli P. dimostrano “l’effettivo e corretto avviamento al recupero dei rifiuti”; 3) la normativa comunale equiparava i rifiuti da imballaggio a quelli urbani e non consentiva differenziazioni tariffarie tra le diverse tipologie di rifiuti speciali “rendendo quindi inutile e superflua ogni comunicazione di superfici” tassabili; 4) la questione concernente l’estensione delle predette superfici, avuto riguardo alle aree destinate a parcheggio, esula dal perimetro delle statuizioni contenute nella sentenza n. 627/2012 della Cassazione ed in ogni caso non assume rilievo ai fini della determinazione della tariffa da applicare. La intimata R. s.r.l. resiste con controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente Comune deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli art. 10, 15, 21, comma 11, 22, 49, comma 14, D.Lgs. n. 22 del 1997, nonché 59, 62, 63, 67, 70, D.Lgs. n. 507 del 1993, 2697 c.c., giacché la CTR, alla quale era stato demandato di accertare l’attivazione, da parte del Comune, del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilati agli urbani, e lo svolgimento di esso nella zona di ubicazione dell’immobile della contribuente, circostanza quest’ultima rilevante, ai sensi dell’art. 59, commi 2 e 4, D.Lgs. n. 507 del 1993, per la debenza in misura ridotta del tributo, si è limitata a disporre l’annullamento degli atti impugnati in quanto l’ente impositore, “perfettamente consapevole della mancata fruizione del servizio”, aveva applicato il tributo nella misura ordinaria, senza considerare che la sentenza n. 627/2012 della Cassazione ha escluso, in linea di principio, la spettanza dell’esenzione dal tributo, e che per la fruizione delle agevolazioni, in caso di effettivo avvio al recupero di rifiuti da parte del produttore, sono previsti specifici obblighi di denuncia ed informativi a carico del contribuente, nel caso di specie non assolti, e che il processo tributario è diretto non alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una decisione di merito sostitutiva, in grado di incidere sul rapporto dedotto. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente, [§c§]contraddittoria motivazione, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, giacché la CTR, a fronte della pacifica istituzione, da parte del Comune di Cinisello Balsamo, del servizio de quo, si limita a dare atto che nessuna delle parti ha chiarito le ragioni del mancato svolgimento di esso nella zona di ubicazione dell’esercizio commerciale della contribuente, collocandovi appositi contenitori, ma non motiva il perché della imputazione all’ente impositore delle conseguenze negative di tale situazione, e dell’annullamento degli atti impositivi impugnati, con sostanziale assolvimento della società R. dal pagamento della tassa.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, giacché la CTR non ha esaminato la questione concernente la superficie tassabile, secondo il Comune superiore a quella dichiarata dalla contribuente, la quale esclude dal computo le aree destinate a parcheggio, erroneamente rilevando che la sentenza della Cassazione, poiché ha dichiarato inammissibile il motivo della società R. concernente l’assoggettabilità a tributo delle predette aree, non avrebbe fissato alcuna regula juris alla quale il giudice di rinvio avrebbe dovuto uniformarsi, senza neppure considerare il giudicato interno sulla debenza del tributo in relazione ad “alcune aree adiacenti all’ipermercato”, proprio in forza di quanto intagibilmente affermato sul punto dai giudici di appello.
Con il quarto mòtivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.pc., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli art. 324, 383, 384 c.p.c., 59, 63, 70, 71, D.Lgs. n. 507 del 1993, 10, 22, 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, giacché la CTR ha omesso di considerare che, in relazione alla questione concernente la superficie tassabile, i giudici di appello avevano già escluso la rilevanza della servitù pubblica, peraltro, costituita solo nell’aprile 2005, su una parte dell’area adiacente l’ipermercato, “giacché essa non esclude l’utilizzo dell’area stessa (…) da parte dei clienti (…) con relativa produzione di rifiuti”.
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli art. 59, 62, comma 3, 67, 70, 71, D.Lgs. n. 507 del 1993, 10, 21, 22, 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, 112 c.p.c., giacché la CTR ha ritenuto priva di incidenza sulla legittimità degli atti impugnati la questione concernente i rifiuti speciali non assimilati agli urbani, avendo la normativa comunale equiparato, ancorché illegittimamente, i rifiuti da imballaggio ai rifiuti urbani, sicché alcuna “tempestiva comunicazione delle superfici interessate alla produzione di questo genere di rifiuti” era necessaria da parte della contribuente, senza tuttavia considerare che l’esonero dalla privativa comunale anche se non determina la riduzione della superficie tassabile, impone comunque una riduzione tariffaria, ma a precise condizioni, come precisato nella sentenza n. 627/2012 della Cassazione, ma di esse la sentenza non dà conto, finendo per mandare assolta la contribuente dal pagamento della TARSU.
Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.pc., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli art. 345, 383, 384 c.p.c., 23, 57, D.Lgs. n. 546 del 1992, 10, 15, 21, comma 7, 22, 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, 62, comma 3, 67, D.Lgs. n. 507 del 1993, giacché la CTR ha non ha considerato, nonostante la specifica contestazione dell’ente impositore, che la società R. doveva provare l’effettivo avviamento al recupero dei rifiuti speciali non assimilati, tramite soggetti autorizzati e rilascio dei prescritti formulari, non essendo all’uopo decisiva la circostanza che il Comune aveva applicato la tariffa ordinaria, nonostante la conoscenza del conferimento dei rifiuti a imprese private, e neppure ha valutato la ammissibilità della produzione dei documenti (attestazioni, formulari ed altro) nel giudizio di rinvio per assolvere all’onere probatorio gravante sulla contribuente.
Le prime due censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate e meritano accoglimento.
Questa Corte, con la sentenza n. 627/2012, accogliendo i contrapposti ricorsi del Comune di Cinisello Balsamo e della società R., che investivano l’accertamento compiuto dai giudici di merito, con esiti peraltro non sempre coincidenti, circa l’attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti, afferma, per un verso, che appariva del tutto inverosimile che in un comune di notevoli dimensioni tale servizio non fosse stato istituito e, per altro verso, che l’istituzione ed attivazione del servizio è cosa diversa dalla effettività dello stesso, cioè il suo concreto svolgimento nella zona di ubicazione dei locali e delle aree del contribuente, per cui aveva demandato al giudice di rinvio di effettuare tale accertamento in fatto, anche alla luce del principio secondo cui, se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non viene svolto nella zona ove è ubicato l’immobile (ovvero lo svolgimento è effettuato in modo irregolare, in grave violazione delle prescrizioni del regolamento comunale), ciò comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 2 e 4, la conseguenza che il tributo è dovuto nella misura ridotta stabilita dalla norma, sempre che l’utente abbia avuto la concreta possibilità di utilizzazione del servizio. Orbene, secondo quanto rilevato dal giudice di rinvio, pur avendo il Comune istituito ed attivato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti sul territorio di sua competenza, ciò non di meno la contribuente “di fatto” non ha mai usufruito del servizio stesso, avendo provveduto direttamente alla gestione dei rifiuti prodotti tramite soggetti privati, a prescindere dalle ragioni di siffatta situazione “colpevolmente non chiarite da entrambe le parti”.
La sentenza della CTR opera una sorta di equiparazione fra mancata istituzione e attivazione del servizio, che consentono di individuare i potenziali utenti, e mancata prestazione in concreto del servizio nell’area di residenza o operatività dell’utente, che per essere considerato soggetto al pagamento della tassa deve essere posto nelle condizioni di poter utilizzare in concreto il servizio, come a dire che poiché la società R. non “ha fruito del servizio di raccolta e smaltimento disposto dal Comune per i rifiuti speciali assimilati agli urbani”, neppure è tenuta al pagamento della tassa, ma questa Corte ha avuto occasione di chiarire che, in generale, la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti (Cass. n. 21508/2005).
Questa equiparazione, dunque, non appare rispondente alla normativa (art. 59, D.Lgs. n. 507 del 1993) applicabile ratione temporis, in quanto l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato – nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto in misura ridotta, il che consente di escludere “che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato in modo regolare così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente”, posto che, ancora una volta va qui ribadito, la tassa è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un sevizio nei confronti della collettività, che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui “sarebbe (…) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione.” (Cass. n. 21508/2005, n. 18022/2013).
Ed allora, essendo incontroverso che l’ipermercato della società controricorrente ricade nel territorio comunale di Cinisello Balsamo e che, per quanto previsto dal regolamento comunale di esecuzione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ed assimilati agli urbani, la gestione dei rifiuti, nelle sue varie fasi, è estesa a tutto il territorio comunale, il giudice di rinvio anziché limitarsi ad una pronuncia di annullamento degli atti impositivi, avrebbe dovuto comunque valutare, proprio in considerazione del fatto che il tributo era stato liquidato dall’ente locale sulla scorta dei dati forniti dalla contribuente, e di quelli successivamente accertati ufficiosamente, applicando la tariffa ordinaria, e non quella ridotta, quale fosse la esatta misura della TARSU dovuta, ai sensi dell’art. 59, commi 2 e 4, D.Lgs. n. 507 del 1993, rientrando ciò nei suoi poteri, quale giudice del merito, considerato che, come già detto, l’obbligo di pagamento del tributo sussiste indipendentemente dal fatto che si utilizzi il servizio esercitato in regime di privativa, essendo sufficiente che se ne abbia la possibilità.
Va ricordato, del resto, che “il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto calla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione: finanziaria, come nella specie. Ne consegue che il giudice, ove ricorrano i necessari presupposti processuali della sua rituale investitura, ha il potere-dovere di esaminare anche tutti i possibili aspetti persino del potere sanzionatorio esercitato dall’ente impositore, nonché quello di determinare l’entità delle sanzioni effettivamente dovute, ovviamente nell’ambito delle richieste delle parti (V. pure Cass. Sentenze n. 25376 17/10/2008, n. 17127 del 2007).” (Cass. n. 17519/2012).
La decisione impugnata si pone dunque in palese contrasto con il principio di diritto al quale doveva dare concreta applicazione, in quanto la normativa indicata da questa Corte con la sentenza n. 627/2012 consentiva, a fronte dell’accertato mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati agli urbani, con riguardo alla utenza per cui è causa, non l’esonero dalla tassazione, ma solo un abbattimento del prelievo tributario, da rideterminarsi eventualmente in ragione della diversa somma dovuta dalla contribuente, ed a ben vedere neppure elimina quell’incertezza, evidenziata dal giudici di legittimità, sul “servizio” in tesi non svolto, se cioè esso riguardasse quello “disposto dal Comune per i rifiuti speciali assimilati agli urbani”, categoria che all’epoca ricomprendeva varie tipologie di rifiuti – taluni legittimamente assimilabili a quelli urbani e, per quanto si dirà appresso, talaltri no -, ovvero anche di quello afferente la raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, i quali pure venivano prodotti dall’ipermercato.
La terza e quarta censura, scrutinabili congiuntamente essendo strettamente connesse, sono fondate e meritevoli di accoglimento.
Sulla base di quanto riportato nella sentenza che ha originato il rinvio, si ricava che la contribuente, deducendo la violazione dell’art. 49, comma 3, D.Lgs. n. 22 del 1997, aveva chiesto la cassazione della decisione della CTR allora impugnata “nella parte in cui, almeno per il 2005, è stata negata l’esclusione della tassazione di alcune aree adiacenti all’ipermercato, nonostante le stesse, se pur di proprietà privata, siano state “asservite gratuitamente ed in modo perpetuo all’uso pubblico” (e “destinate a parcheggio”), laddove la norma citata prevede l’applicazione della tariffa per le sole aree scoperte “ad uso privato” non costituenti accessorio o pertinenza dei locali tassabili”.
Dalla intervenuta declaratoria di inammissibilità del suddetto motivo di ricorso (v. sentenza n. 627/2012, pag. 13) discende l’intangibilità della decisione di secondo grado, divenuta definitiva nella parte in cui stabilisce che la contribuente non è esentata dal pagamento del tributo, in relazione alle aree scoperte in oggetto, per il solo fatto che le stesse sono vincolate ad uso pubblico, in quanto si tratta di aree pur sempre frequentate da persone e, quindi, in via presuntiva produttive di rifiuti.
Quanto precede non esaurisce il thema decidendum del giudizio di rinvio, che comprendeva le questioni concernenti la quantificazione della complessiva superficie imponibile, avuto riguardo alle disposizioni regolamentari che avevano esteso – illegittimamente – la privativa comunale a talune tipologie di rifiuti speciali, in quanto le superfici interessate alla produzione di rifiuti di imballaggio erano tassate alla stregua di quelle che producono rifiuti urbani, con applicazione del medesimo trattamento tariffario.
Ebbene, in merito al regime speciale dei rifiuti di imballaggio, rispetto a quello dei rifiuti in genere, caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro “gestione” (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento), la sentenza n. 627/2012 di questa Corte contiene indicazioni sufficientemente chiare, avendo precisato, per un verso, che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché di quelli secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, sicché i regolamenti che tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario, e, per altro verso, che ciò non comporta che tali categorie di rifiuti siano di per sé esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo nell’ovvio presupposto che in un locale o area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari (come certamente nella fattispecie trattandosi di un centro commerciale comprendente locali di varia destinazione), l’esclusione della tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente rifiuti speciali.
La Corte ha altresì ribadito “che incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011).”.
Dalla lettura della sentenza impugnata si ricava che la contribuente, nel corso delle trattative con il Comune, aveva palesato la situazione dell’immobile assoggettato a tassazione, anche al fine di ottenere il riconoscimento della tariffa ridotta, e ciò non di meno l’ente impositore aveva continuato ad emettere cartelle o accertamenti con applicazione della tariffa intera, ma nulla si dice in merito all’assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere di fornire alla amministrazione comunale proprio i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per le ragioni sopra dette, vanno escluse dalla superficie tassabile.
La CTR, infatti, si è limitata all’affermazione, peraltro non corretta, della inutilità di qualsivoglia comunicazione al riguardo, mentre doveva considerare che il richiamo all’art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507 del 1993, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali (Cass. n. 5377/2011), vale per i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché per quelli degli imballaggi secondari, ove non sia attivata la raccolta differenziata, che – come già detto – non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani; invece per i rifiuti speciali assimilati (e assimilabili), che sono soggetti al pagamento della TARSU, il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui i predetti rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, vengono avviati al recupero direttamente dal produttore (purché il servizio sia istituito e sussista per il contribuente la possibilità dell’utilizzazione).
Ed avuto riguardo al regime transitorio per la soppressione della TARSU e l’operatività della TIA (il Comune non aveva introdotto la “tariffa” di cui al decreto Ronchi), questa Corte ha ribadito “che l’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di comprovato avviamento al recupero dall’art. 21, comma 7, del decreto Ronchi, determina sia la riduzione della superficie tassabile, prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, citato art. 62, comma 3, per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati, come i rifiuti tossici e gli imballaggi terziari), sia il diritto ad una riduzione tariffaria (per i rifiuti speciali assimilati agli urbani) determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2, e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2, il quale, nell’approvare il “metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani”, può, nella fase transitoria, essere applicato dai comuni anche ai fini della TARSU). Ma anche se non dovesse trovare applicazione alla fattispecie l’art. 49, comma 14, D.Lgs 22/99 che pur prevede una riduzione di tariffa in proporzione ai rifiuti speciali autonomamente smaltiti , riferendosi alla TIA e non alla Tarsu, il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7 prevede non già l’esenzione dall’imposta, ma soltanto una sua riduzione nel caso in cui i rifiuti speciali assimilati a quelli urbani (…) vengano avviati a recupero direttamente dal produttore, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità dell’utilizzazione (l’art. 7, comma 2. D.P.R. n. 158/1999, prevede testualmente che “per le utenze non domestiche, sulla parte variabile della tariffa è applicato un coefficiente di riduzione, da determinarsi dall’ente locale, proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi”). Nel caso di inadempienza del Comune tale coefficiente di riduzione, in presenza dei presupposti indicati dalla norma, può essere individuato dal giudice tributario, non potendosi far ricadere sul contribuente inadempienze ascrivibili al Comune.” (Cass. n. 6358/2016).
La quinta e la sesta censura vanno infine accolte in quanto il giudice di rinvio non si è conformato alla regola juris enunciata da questa Corte con sentenza n. 627/2012 e non appare affatto chiaro se la CTR ha effettivamente tenuto distinti per qualità e quantità i rifiuti prodotti dalla società R., che per stessa ammissione della contribuente erano riconducibili a diverse tipologie, attesa la differente disciplina applicabile, e neppure, quanto agli imballaggi, se si trattasse di imballaggi primari, secondari o terziari.
A ragione il ricorrente si duole del fatto che il giudice di rinvio non ha dato corretta risposta alle precise contestazioni svolte dall’ente impositore in merito all’effettivo avvio al recupero dei rifiuti speciali assimilati (e assimilabili), come consentito alla contribuente dal decreto Ronchi, avendo ritenuto pienamente probante la documentazione da quest’ultima prodotta.
Il vaglio della predetta documentazione non può prescindere da un accertamento, che dovrà essere compiuto in sede di giudizio di rinvio, che distingua, partendo dalle varie tipologie di rifiuti, l’attività di smaltimento, da quella di avvio al recupero dei rifiuti, altrimenti alcuna premiale riduzione tariffaria può essere applicata al contribuente, e che accerti l’intervenuto adempimento dell’onere di fornire all’amministrazione comunale, nelle forme e nei termini previsti dalle norme, dati ed informazioni necessari per l’esclusione dal pagamento, o per il pagamento in misura ridotta del tributo, dovendosi necessariamente risolvere, secondo le regole dell’onere della prova
che incombe su ciascuna delle parti in causa, le ravvisate “incertezze” che residuano all’esame delle risultanze probatorie, compito riservato al giudice di merito.
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla medesima CTR, in diversa composizione, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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