CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2019, n. 6952
Rapporto di lavoro – Mansioni dirigenziali – Configurabilità di un rapporto di lavoro in regime di subordinazione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4.6.2014, respingeva il gravame proposto da C.M. avverso la decisione del Tribunale capitolino, che aveva rigettato la domanda proposta dal predetto, intesa alla corresponsione delle differenze retributive per il periodo dal gennaio 1997 al 24 aprile 2007, nonché delle differenze per mensilità aggiuntive, ferie, trasferte, compensi per lavoro straordinario maturati dall’inizio del rapporto, pari ad euro 290.361,25, oltre euro 51.129,64 a titolo di t.f.r., con regolarizzazione contributiva ed indennità sostitutiva del preavviso, pari ad euro 103.070,52, stante la giusta causa di dimissioni, per avere svolto attività in regime di subordinazione con mansioni dirigenziali con l’ANICA e mansioni di segretario generale dell’UNIDIM fino al 23.11.2006, data di scioglimento dell’unione e, successivamente, mansioni di segretario generale della sezione distributori dell’Anica, fino alle dimissioni del 2007;
2. il ricorrente aveva addotto che dal giugno 2004 era stato stipulato con l’Anica un contratto a progetto fino al 31 dicembre 2004, avente ad oggetto attività di supporto e consulenza, mai espletata, avendo egli continuato sempre a svolgere le stesse mansioni e, successivamente, altro contratto a progetto sino al dicembre 2005, pur avendo continuato a svolgere mansioni di segretario dell’Unidim, che nel 2006 il rapporto non era stato in alcun modo formalizzato e, a decorrere dal gennaio 2007, non era stata corrisposta più alcuna retribuzione;
3. la Corte d’appello confermava la decisione di primo grado in ordine alla assenza di subordinazione per il periodo anteriore alla formalizzazione del rapporto con i contratti a progetto, deponendo la piena autonomia operativa e l’ampio potere decisionale per la natura autonoma del rapporto; per il periodo dei contratti a progetto riteneva che correttamente fosse stata esclusa la configurabilità di un rapporto di lavoro in regime di subordinazione per difetto di allegazione degli elementi essenziali della stessa;
4. di tale decisione ha domandato la cassazione il C., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui ha resistito l’ANICA, con controricorso; l’INPS ha rilasciato procura speciale in calce al ricorso notificato;
5. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
Considerato che
1. con il primo motivo, si denunziano violazione ed erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 437 c.p.c., assumendo il ricorrente di avere dedotto di avere svolto prestazioni di lavoro in regime di subordinazione con l’Anica, in quanto l’Unidim era un’associazione controllata dalla stessa, e che la Corte del merito abbia errato laddove non ha considerato la dissociazione, propria del distacco, tra datore di lavoro e beneficiario della prestazione e che detta circostanza era stata allegata e documentata, sicché doveva essere esclusa la titolarità del rapporto di lavoro in capo all’Unidim, essendo stato il C. assunto direttamente dall’ANICA e da questa destinato a svolgere attività con funzioni di Segretario generale presso l’Unidim;
1.2. il ricorrente sostiene che non poteva essere considerata domanda nuova quella riferita alla qualificazione della figura del distacco e che, in ogni caso, i fatti costitutivi erano rimasti immutati, con la conseguenza che spettava al giudice del merito il potere dovere di qualificare giuridicamente la domanda, indipendentemente dall’esattezza del nomen iuris attribuitole nell’atto introduttivo e che la configurazione del distacco per l’attività prestata su disposizione dell’Anica presso l’Unidim non era connotata da novità;
2. con il secondo motivo, si denunzia violazione degli artt. 115 – 209 c.p.c., dell’art. 2729 c.c., dell’art. 24 Cost., nonché omesso esame di atti e fatti decisivi, sulla base del rilievo che erroneamente la Corte abbia ritenuta come non prospettati dal C. gli elementi idonei a configurare un rapporto di lavoro subordinato con l’ANICA per il periodo anteriore alla formalizzazione del rapporto con i contratti a progetto;
3. omessa pronunzia, violazione degli artt. 112 c.p.c. – 115 c.p.c.e degli artt. 61 – 69 d. Igs. 276/2003, sono ascritte alla decisione impugnata nel terzo motivo, con il quale ci si duole del fatto che la Corte abbia omesso di statuire sulla dedotta mancanza di validi e definiti progetti siccome non inquadrabili nel relativo schema legislativo e si richiama il principio secondo cui in tale circostanza il rapporto di lavoro viene considerato di natura subordinata;
3.1. si assume, poi, che è stata esclusa la subordinazione non in relazione a prove acquisite al processo che deponessero per l’esclusione di questa, ma per difetto di prospettazione degli elementi essenziali del rapporto, sovvertendosi il principio dell’onere della prova, che grava sul committente e non sul lavoratore;
4. quanto al primo motivo, è sufficiente richiamare i principi più volte espressi da questa Corte, secondo cui “nel rito del lavoro, la disciplina della fase introduttiva del giudizio – e a maggior ragione quella del giudizio d’appello – risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 437 cod. proc. civ., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al “petitum” che alla “causa petendi”, neppure nell’ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, e non è, pertanto, consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, anche quando il bene richiesto rimanga immutato, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una “emendatio libelli”, permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge. Costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio” (cfr. Cass. 29.7.2014 n. 17176, Cass. 11.4.2013 n. 8842);
5. in ogni caso, al di là di quanto affermato sulla novità della prospettazione di un’ipotesi di distacco, la decisione si fonda sulla mancata allegazione degli elementi dell’asserita subordinazione, negata dalla società, per non avere il ricorrente fornito elementi idonei ad individuare la sussistenza di un potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro;
6. quanto alle censure articolate con il secondo motivo, con le stesse non si contesta l’erronea applicazione, da parte del giudice del gravame, dei parametri normativi idonei all’identificazione dei caratteri della subordinazione della prestazione resa, ma ci si limita a descrivere le modalità della prestazione svolta, assumendosi anche che sia stato omesso ogni esame delle certificazioni dei compensi corrisposti al C. da ANICA; in ogni caso, a prescindere dal rilievo che il riferimento al rapporto svoltosi presso l’Unidim (e la relativa doglianza) deve ritenersi precluso dalla ritenuta nullità della prospettazione del distacco in appello, per l’attività successivamente svolta presso Anica si sostiene un’ errata ricostruzione dei fatti ed un omesso esame di documenti decisivi, di cui peraltro non si trascrive il contenuto, pretendendosi l’attribuzione di un diverso peso probatorio agli elementi di fatto valutati dal giudice del merito, ciò che deve ritenersi precluso nella presente sede di legittimità;
7. quanto alla censura relativa alla mancata ammissione di prova testimoniale, di cui non si riportano neanche i capitoli articolati, deve richiamarsi quanto affermato da questa Corte secondo cui: “La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile qualora con essa il ricorrente si duole della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, né adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione” (Cass. 4.4.2108 n. 8204, da ultimo, nonché Cass. 29.10.2018 n. 27415);
8. peraltro, la mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito; a ciò consegue che, in base al principio desumibile dagli artt. 132, n. 4, c.p.c.e 118, comma 1, disp. att. c.p.c. (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), la sentenza di rigetto della domanda per difetto di prova è congruamente motivata anche mediante richiamo all’ordinanza istruttoria che abbia respinto una richiesta inammissibile di prova, trattandosi di pronuncia comunque espressiva del giudizio che la parte avrebbe dovuto dare impulso alla detta prova con la richiesta di mezzi ammissibili e concludenti (cfr. Cass. 27415/2018 cit.);
9. con riguardo al terzo motivo, con lo stesso, pure assumendosi che è stata dedotta l’inesistenza di uno specifico progetto, ciò che comportava che la fattispecie dovesse valutarsi ai sensi dell’art. 69, co. 1 d. Igs 276/2003, non è stato specificato che tale questione fosse stata dedotta puntualmente nel ricorso introduttivo (il controricorrente lo nega); la questione era stata prospettata in appello, ma la Corte non si è pronunciata neanche per dichiarare inammissibile la censura per relativa novità, il che avrebbe comportato una diversa prospettazione della doglianza, che per le carenze riscontrate si rivela inammissibile;
10. costituisce, invero, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato la sentenza emessa ai sensi del comma 1 dell’art. 69 d. Igs. 276/2003, in caso di domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro proposta ex art. 69, comma 2, in quanto le ipotesi contemplate nei rispettivi commi poggiano su distinte “causae petendi” e introducono diversi temi di indagine (cfr. Cass. 10.5.2016 n. 9471, Cass. 12820/2016, Cass. 29640/2018);
11. il ricorso del C. va, per quanto detto, complessivamente respinto;
12. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dell’Anica; nulla va statuito in favore dell’INPS, che non ha svolto attività difensiva;
13. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore dell’ANICA, in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato o D.P.R.
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