CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6830
Tributi – Accertamento – Mancata tenuta della contabilità di magazzino e delle scritture ausiliarie – Rinvenimento di contabilità parallela – Accertamento induttivo – Legittimità
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 54/111/11 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, depositata il 28 marzo 2011 e non notificata che, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento n. RAA030100422 in materia di Ires, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2005, ha accolto l’appello della società contribuente, riformando la sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Teramo e compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio;
con la sentenza impugnata, la C.T.R. dell’Abruzzo, premesso che il convincimento del giudice tributario poteva basarsi anche sulla perizia prodotta nel processo penale (nel caso di specie assunta a base della decisione del giudice penale per violazioni fiscali relative agli anni di imposta 2003 e 2004), ha ritenuto l’inidoneità del metodo di accertamento adottato ai fini della determinazione dell’utile di esercizio dell’anno 2005, per non avere la G.d.F. verificato l’ammontare delle rimanenze, applicando una percentuale di ricarico eccessiva rispetto a quella derivante dagli studi di settore e parificando le proposte di commissione alle vendite, senza prova sul punto, anzi contro le emergenze documentali ed in assenza di accertamenti presso il pubblico registro automobilistico;
secondo il giudice di appello, quindi, l’entità dell’evasione fiscale non era determinabile, alla luce degli elementi presentati, perché incompleti, oltre che incerti;
a seguito del ricorso, la società contribuente è rimasta intimata;
il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 18 dicembre 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
1.1. con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. c) e d) e dell’art. 32, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod.proc.civ.;
secondo la ricorrente i Giudici di appello non tenevano in considerazione l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità sugli effetti della mancata tenuta della contabilità di magazzino e delle scritture ausiliarie;
i giudici di secondo grado avevano rilevato la mancata determinazione da parte dell’ufficio delle rimanenze di magazzino, senza considerare le omissioni presenti nella contabilità della società (in particolare, nell’inventario), ampiamente contestate dall’Ufficio e non giustificate dalla contribuente, nonostante espresso invito, che da sole avevano legittimato il ricorso all’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, secondo comma, lett. c) e d) del D.P.R. n. 600/1973;
inoltre, l’Agenzia delle entrate deduce che la decisione impugnata non aveva tenuto in alcun conto la circostanza relativa al rinvenimento di una contabilità parallela ed informale, che, insieme con le omissioni nell’inventario, costituivano indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un imponibile non registrato nella contabilità ufficiale, legittimando l’accertamento induttivo da parte dell’Ufficio;
con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate censura l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) cod.proc.civ.;
secondo la ricorrente, infatti, la C.T.R. si limitava a recepire in modo acritico le risultanze della perizia commissionata dal Tribunale in sede penale, per altro relativa a diverse annualità d’imposta, senza considerare la specificità del giudizio tributario e senza fornire una motivazione sufficiente in merito alla rilevanza di tale materiale probatorio;
con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) cod.proc.civ.;
secondo l’Agenzia delle entrate il Giudice di appello non teneva conto del ritrovamento presso il contribuente di una contabilità parallela, da sola sufficiente, secondo l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione, a legittimare l’accertamento induttivo;
con il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) cod.proc.civ.;
secondo la ricorrente, la C.T.R. non motivava adeguatamente in relazione alla natura delle “proposte di commissione” e riteneva contraddittoriamente che le stesse non potessero costituire prova dell’occultamento di reddito da parte della contribuente;
l’Ufficio rileva come nelle “proposte di commissione” fossero presenti tutti gli elementi negoziali ritenuti essenziali, secondo la teoria del contratto, per qualificare il documento in oggetto come un vero e proprio negozio di compravendita;
invero, la società contribuente, nel provvedere alla stesura delle “proposte di commissione” indicava puntualmente: i dati del cliente, la data di compilazione, la numerazione progressiva, la descrizione dell’oggetto della vendita, il prezzo concordato, le modalità di pagamento, l’eventuale acconto versato e i tempi di consegna;
pertanto, gli elementi sopra indicati, che erano pressoché presenti in ciascuno dei documenti redatti dalla V. S.r.l., consentivano di qualificare questi ultimi veri e propri contratti di vendita e non mere “proposte di commissioni”;
1.2. i primi tre motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti;
1.3. in particolare, come è stato detto «in tema di imposte sui redditi, l’omissione delle cd. scritture ausiliarie di magazzino, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario e, di conseguenza, alla possibilità di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio, determina l’inattendibilità complessiva delle scritture contabili che costituisce presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento» (Sez. 5, Sentenza n. 24015 del 24/11/2016);
costituiscono irregolarità della contabilità, idonee a legittimare l’accertamento induttivo, quelle relative all’Indicazione in bilancio e nel libro degli inventari delle rimanenze non distinte per categorie omogenee, senza la conservazione delle distinte di cui all’art. 15 del d.p.r. n. 600 del 1973;
l’art. 15, secondo comma, del citato d.p.r. n. 600 del 1973, prescrive che «l’inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall’inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell’ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario»;
dunque, in caso di inosservanza della norma suddetta, l’ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo, attraverso una determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisito, in quanto l’omissione delle scritture ausiliarie di magazzino, generando un impedimento alla corretta analisi dei contenuti dell’inventario, rifluisce indubbiamente sulla possibilità per gli accertatori di ricostruire analiticamente i ricavi di esercizio e determina, perciò, quella “inattendibilità complessiva delle scritture contabili” che è presupposto normativamente previsto ai fini del ricorso alla modalità induttiva dell’accertamento (cfr. sez. 6-5, n. 14501 del 2015, sez. 5 n. 7653 del 2012, n. 16499 del 2006, n. 13816 del 2003);
inoltre, ulteriore elemento indiziante dell’inattendibilità complessiva delle scritture contabili è il rinvenimento di una contabilità informale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, sia ai fini dell’Iva che delle imposte sui redditi (ex multis, Cass. sentenze nn. 6949/2012; 20094/2014; n. 27622/2018);
la sentenza impugnata, trascurando di valutare nella motivazione in fatto la sussistenza degli elementi legittimanti il ricorso all’accertamento induttivo, non ha fatto corretta applicazione del principi di diritto sopra riportati e deve essere cassata;
1.4. il quarto motivo di ricorso è, invece, inammissibile, perché la doglianza non ha ad oggetto l’insufficiente motivazione su di un fatto, ma investe esclusivamente una pretesa errata valutazione della prova, risolvendosi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di appello, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul merito, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148);
in conclusione, quindi, vanno accolti i primi tre motivi di ricorso, dichiarato inammissibile il quarto;
la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.t.r. dell’Abruzzo, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiarato inammissibile il quarto;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r. dell’Abruzzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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