CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10340

INAIL – Riclassificazione dell’attività d’impresa in voci di tariffa più onerose – Pagamento di premi omessi e sanzioni

Rilevato che

con sentenza n. 141 del 2013, la Corte d’appello di Bologna, h a rigettato l’impugnazione proposta da M.M. s.n.c. di C. W. & c. nei riguardi dell’Inail avverso la sentenza del Tribunale Giudice del lavoro di Forlì di rigetto delle opposizioni a cartella, riunite in corso di causa, aventi ad oggetto il pagamento di premi omessi e sanzioni derivanti da riclassificazione dell’attività d’impresa in voci di tariffa più onerose; ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice aveva rigettato l’opposizione alla cartella n. 004520070005103880 e dichiarata cessata la materia del contendere relativamente alle altre due nel frattempo sgravate dall’Inail;

in particolare, era infondato il motivo d’appello teso alla declaratoria di nullità della cartella predetta per assoluta carenza di motivazione perché a prescindere dalla fondatezza della eccezione, tale motivo, da inquadrare all’interno della previsione dell’art. 29 d.lgs. n. 46 del 1999, era stato sollevato tardivamente oltre il termine di cui all’art. 617 cod.proc.civ.;

inoltre, l’attività di montaggio di parti meccaniche era stata correttamente inquadrata nella voce di tariffa n. 6340;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione M.M. s.n.c. di C. W. & c. sulla base di un unico articolato motivo ribadito in memoria:

resiste con controricorso l’INAIL;

Considerato che

con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e o falsa applicazione dell’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del 1999 e dell’art. 3 I. n. 241 del 1990 in relazione all’art. 360, comma 1 n.3, cod.proc.civ. in ragione dell’erronea previsione del termine di cui all’art. 617 cod.proc.civ. e non di quello previsto dall’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del 1999, nonché di omessa declaratoria di nullità della cartella n. 004520070005103880 per omessa motivazione;

il motivo è infondato;

si sostiene che la mancanza degli elementi essenziali dell’atto amministrativo, tali da impedire l’individuazione della pretesa e l’esercizio del diritto di difesa, sono vizi sostanziali dell’atto e non vizi formali del titolo esecutivo;

il motivo va rigettato in base al principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte e puntualmente applicato dal giudice del merito, secondo il quale, in tema di opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali iscritti a ruolo, ove sia dedotta l’irregolarità formale della cartella -anche sotto il profilo della carenza di motivazione -, cartella che, essendo un estratto del ruolo, costituisce titolo esecutivo ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, l’opposizione deve essere qualificata come opposizione agli atti esecutivi, per la quale è applicabile il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 29, comma 2, (che rinvia, per la relativa regolamentazione, alle forme ordinarie), e non il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24 (che prevede il diverso termine di quaranta giorni e riguarda l’opposizione, nel merito della pretesa azionata);

ne consegue che l’opposizione prima dell’inizio dell’esecuzione deve proporsi entro venti giorni dalla notifica della cartella, e che è irrilevante la mancata indicazione, nella cartella, del termine predetto, in quanto l’obbligo di indicazione dei termini e delle modalità di impugnazione della cartella, di cui al D.M. 28 giugno 1999, art. 1, comma 2, deve intendersi riferito solo alle impugnazioni sul merito della pretesa azionata (Cassazione civile sez. lav. n. 15116 del 2015; n. 27824 del 2009; n. 25757 del 2008; n. 18691 del 2008; n. 21863 del 2004);

il richiamato orientamento, quindi, ritiene che, versandosi fuori dall’area propria dei provvedimenti amministrativi ed in quella del titolo esecutivo stragiudiziale, la mancanza di motivazione si risolve in carenza dei requisiti formali minimi di validità del titolo esecutivo, cioè delle indicazioni necessarie per identificare il credito e per rendere possibile la difesa di merito, carenza che si può far valere soltanto con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.;

in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1- quater, del DPR 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2001, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi; spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.