CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2018, n. 15363
Tributi – Cartella di pagamento – Dichiarazione di adeguamento allo studio di settore – Obbligo di versamento dell’IVA
Rilevato che
Con sentenza in data 27 giugno 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 9356/8/15 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso de L’A. snc di V.S. & C. contro la cartella di pagamento IVA 2008. La CTR osservava in particolare che ex actis risultava la fondatezza del recupero IVA in oggetto, in quanto basato sulle dichiarazioni della stessa società contribuente dalle quali emergeva la sua volontà di adeguarsi allo studio di settore, quindi sul correlativo obbligo di versamento dell’imposta appunto chiesta mediante la speciale procedura semplificata ex art. 54 bis, d.P.R. 633/1972.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 36 bis, d.P.R. 600/1973, 54 bis, d.P.R. 633/1972, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha affermato, contrariamente alle evidenze documentali di causa, che era chiara la sua volontà di adeguamento allo studio di settore e dunque ritenuta la fondatezza della correlativa pretesa creditoria erariale per l’IVA.
La censura è inammissibile.
Va ribadito che:
– «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01);
– «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).
Lo sviluppo della censura collide radicalmente con le indicazioni sui limiti del giudizio di cassazione rivenienti dai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.
Il giudice tributario di appello infatti ha compiutamente e puntualmente esaminato le prove documentali agli atti del processo, giungendo ad una valutazione delle stesse favorevole alla pretesa creditoria portata dall’atto impositivo impugnato.
Tale giudizio non può essere “revisionato” in questa sede ed il mezzo addotto mira a ciò, artatamente prospettando come erronea interpretazione/applicazione di norme di diritto appunto una censura che invece attinge direttamente le considerazioni in fatto della CTR laziale.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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