CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 marzo 2018, n. 5999
Tributi – Accertamento – Riscossione – Termine dilatorio – Contenzioso tributario
Fatti e motivi della decisione
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione (R.G.N. 16017/2016), affidato a due motivi, contro la DPM di D.C. & C. Snc, impugnando la sentenza resa dalla CTR Toscana, indicata in epigrafe, con la quale è stato confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso a carico della società in relazione alla ripresa a tassazione di IVA e IRAP per l’anno 2005 per mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12 c. 7 I. n. 212/2000.
La società intimata ha depositato controricorso e memoria. L’Agenzia delle entrate ha, altresì, proposto ricorso per cassazione (R.G.N. 16019/2016), affidato a quattro motivi, contro D.C., socio della DPM di D.C. & C. snc, impugnando la sentenza resa dalla CTR Toscana n. 2290/29/2015 con la quale è stato accolto l’appello del contribuente ed annullato l’avviso di accertamento emesso a carico del socio della società in relazione all’annullamento dell’atto emesso per violazione del termine dilatorio di cui all’art. 12 c. 7 l. n. 212/2000 a carico del sodalizio pronunziato con altra sentenza emessa in pari data.
La parte intimata ha depositato controricorso e memoria.
I due ricorsi vanno riuniti stante la connessione parzialmente soggettiva.
I procedimenti possono essere definiti con motivazione semplificata.
Esaminando il ricorso R.G.N. 16017/2016, con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione degli artt. 12 c.7 I. n. 212/2000 e 2697 c.c. Sostiene che il termine dilatorio di cui al ricordato art. 12 non si applicherebbe alle ipotesi di accesso breve presso il contribuente finalizzato all’acquisizione di documentazione.
La censura è manifestamente infondata.
Questa Corte ha di recente ritenuto che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva (…) Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. sez. unite 18184/2013); va, inoltre, considerato che le dette garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni dell’art. 52, comma 6, del decreto IVA ovvero dell’art. 33 del decreto sull’accertamento; siffatte garanzie si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione (come nel caso di specie, ove, come affermato dalla CTR, Inaccesso breve”, teso a reperire documentazione, è avvenuto in data 18-10-2010 e si è esaurito il giorno successivo), sia perché la citata disposizione non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, ed è, comunque, necessario, anche in caso di “accesso breve”, redigere un verbale di chiusura delle operazioni (in senso conf. Cass. 2593/14 e Cass. 15624/14), sia perché, “anche in caso di “accesso breve”, si verifica quella peculiarità che, secondo Cass. Sez. Unite 24823/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al cit. art. 12; peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutatiti a lui sfavorevoli” – cfr. Cass. n. 7988/2016.
L’impugnata sentenza, affermando l’illegittimità dell’avviso in questione (fondato su “accesso breve”) per violazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000, si è dunque uniformata ai superiori principi e non merita censura.
Il rigetto del primo motivo determina l’assorbimento del secondo.
Passando all’esame del ricorso per cassazione R.G.N. 16019/2016, lo stesso è infondato.
Ed infatti, l’esito del giudizio relativo all’impugnazione proposta dalla società ed il definitivo annullamento dell’accertamento emesso nei suoi confronti conseguente al rigetto del ricorso per cassazione r.g.n. 16019/2016 non può che determinare, in relazione al presupposto costituito dall’accertamento nei confronti della società, la caducazione della pretesa fiscale azionata nei confronti del socio (cfr. Cass. 31043/2017). Conseguentemente il ricorso dell’Agenzia va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi recanti nn. 16017/2016 e 16019/2016.
Rigetta i ricorsi r.g.n. 16017/2016 e r.g.n. 16019/2016. Condanna Agenzia delle entrate al pagamento delle spese
processuali che liquida in favore di ciascuno dei controricorrenti in euro 3500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % sui compensi.
Compensa tra le parti le spese del ricorso n. 16017/2016.
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