CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 settembre 2018, n. 22166
Cassa di previdenza Dottori commercialisti – Prestazioni previdenziali – Deposito dell’atto notificato fuori termine
Rilevato
Che la Cassa Nazionale Previdenza e assistenza dottori commercialisti, con ricorso depositato il 30 maggio 2011, ha proposto appello avverso la sentenza con la quale era stato accolto il ricorso di M.G. e dichiarato il diritto dello stesso a prestazioni previdenziali nei confronti della Cassa;
che alla prima udienza del 14/12/2015 il procuratore di parte appellante era comparso e aveva depositato l’atto notificato fuori termine, chiedendo di essere autorizzato a rinnovare l’adempimento;
che la Corte d’appello, rilevato che la notifica del ricorso in appello era avvenuta tardivamente il 2 dicembre 2015, senza il rispetto del termine a comparire di 25 giorni antecedenti alla prima udienza fissata per il 24 dicembre, e rilevato, altresì, che parte appellante non aveva allegato l’esistenza di circostanze giustificative della tardività della notifica, stante la natura perentoria del termine, dichiarava l’improcedibilità dell’impugnazione;
che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Inps sulla base di quattro motivi;
che la controparte è rimasta intimata;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato
Che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 435 terzo comma, 152 secondo comma 153 e 421 c.p.c.
Osserva che l’art. 435 c.p.c. prevede termini pacificamente ritenuti dalla giurisprudenza come ordinatori, in mancanza di espressa previsione di perentorietà;
che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 433, 434, 435, 159 e 162 c.p.c. Rileva che il legislatore con le citate norme ha espressamente previsto che il gravame si propone mediante deposito in cancelleria, così rendendo palese che ai fini della tempestività della proposizione deve farsi esclusivo riferimento al momento dell’editio actionis e non anche a quello successivo della vocatio in ius;
che con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 291 c.p.c. Rileva che il disposto di tale ultima norma prevede in via generale la rinnovazione dell’attività di notificazione della citazione. La Corte d’appello, invece, aggiunge alla previsione un non condivisibile corollario, in contrasto con il dato normativo, condizionando la rinnovazione alla circostanza che la tardività della notifica non sia addebitabile esclusivamente alla negligenza o inerzia della parte;
che con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 111 Cost. e 24 Cost. Osserva che le norme predette, invocate dalla corte territoriale intendono in primo luogo tutelare il diritto delle parti alla difesa, al contraddittorio, a un giudizio, valori rispetto ai quali il diritto alla ragionevole durata è posto in posizione ancillare;
che i motivi, da esaminare congiuntamente in ragione dell’intima connessione, sono fondati. Si veda al riguardo, con ampia ed esaustiva motivazione in ordine ai consolidati arresti giurisprudenziali sul punto, Cass. n. 9404 del 17/04/2018: <<Nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell’art. 435, comma 3, c.p.c., deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, come nel caso di omessa o inesistente notificazione, bensì la nullità di quest’ultima, sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c.>>;
che, specificamente, a fronte di una disciplina espressa e completa che modula i tempi e i modi per ottenere la sanatoria delle invalidità diverse dall’inesistenza della vocatio in ius, non è ammissibile che l’interprete possa ricorrere in via autonoma ad una diversa conformazione dei principi costituzionali di ragionevole durata o giusto processo, richiedendo giustificazioni del ritardo o sindacandone le ragioni e facendo scaturire dall’invalidità effetti diversi e più gravi (quale l’improcedibilità dell’appello) di quelli delineati dal sistema proprio delle norme processuali esistenti;
che in base alle svolte argomentazioni va accolto il ricorso e la sentenza cassata, con rinvio al giudice del merito che si atterrà ai principi enunciati, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del procedimento;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
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