CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 maggio 2018, n. 11620
Tributi – Accertamento – Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Raddoppio dei termini – Notificazione
Rilevato
– che, in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno di imposta 2007, con cui l’amministrazione finanziaria contestava alla F. s.r.l. l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Campania accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza della CTP, sostenendo la non applicabilità alla fattispecie del raddoppio dei termini di accertamento per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis oltre la scadenza dei termini ordinari;
– che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con unico motivo l’Agenzia delle entrate, cui replica l’intimata società contribuente con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che è fondato e va accolto, benché nei limiti di cui appresso si dirà, il motivo di ricorso, con cui la difesa erariale, deducendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, 57 d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dall’art. 37 d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, e 11 preleggi, lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie il raddoppio dei termini di accertamento per essere stata effettuata la comunicazione della notitia criminis oltre la scadenza dei termini ordinari;
– che, invero, la statuizione d’appello si pone in insanabile contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);
– che nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare:
a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 23/05/2011 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;
– che, pertanto, con riferimento ad avviso di accertamento emesso e notificato nell’anno 2013, come nella fattispecie qui vagliata, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato e persino l’omissione di quella comunicazione, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti;
– che per tale ragione il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016, n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017);
– che, conclusivamente, il ricorso va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA e IRES e rigettato quanto alla ripresa a fini IRAP; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla competente CTR per l’esame delle questioni inerenti le predette imposte (IVA ed IRES), rimaste assorbite, e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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