CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18451
Tributi – Accertamento – Raddoppio dei termini ex art. 43, co. 3, DPR n. 600 del 1973 – Configurabilità astratta del reato di dichiarazione infedele – Socio di società a ristretta base sociale
Rilevato che
l’Agenzia delle Entrate ricorre con tre motivi avverso E.C. per la cassazione della sentenza n. 3845/1/14 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, pronunciata il 24 marzo 2014, depositata il 14 aprile 2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiore Irpef relativa all’anno di imposta 2004, emesso nei confronti della sig. E.C. in qualità di socia, azionista al 90%, della F. S.p.A. , società di capitali a ristretta base azionaria;
per quanto ancora di interesse, con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che alla fattispecie in esame non fosse applicabile il raddoppio dei termini di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600/1973, previsto in caso di sussistenza di un reato per il quale vi era l’obbligo di denuncia, in quanto di tale denuncia bisognava evitare un uso strumentale;
il giudice di appello richiamava pronunce dei giudici di merito che avevano escluso il raddoppio dei termini in caso di prescrizione del reato, oppure di infondatezza della notitia criminis, oppure ancora nel caso in cui in l’Agenzia delle entrate non aveva adempiuto all’onere di produrre la denuncia penale;
inoltre, la C.t.r. affermava di concordare con quelle pronunce di merito che escludevano il raddoppio dei termini nei confronti dei soci in caso di denuncia del rappresentante legale della società;
a seguito del ricorso, E.C. è rimasta intimata;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 aprile 2021, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n:197;
il P.G. S.V. ha fatto pervenire requisitoria scritta, con cui ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
Considerato che
con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 37 d.l. 4 luglio 2006 n.223, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.;
secondo la ricorrente, alla fattispecie in esame, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, sarebbe applicabile il raddoppio dei termini di cui all’art. 43, comma 3, d.P.R. n.600/1973;
con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;
secondo la ricorrente, l’avviso di accertamento deve ritenersi sotto altro profilo legittimo, poiché ricorrono tutti i presupposti individuati dalla Corte di Cassazione per il legittimo accertamento a carico dei soci di società di capitali a ristretta base sociale;
alla luce della costante e prevalente giurisprudenza di questa Suprema Corte, la ristretta base azionaria consentirebbe una presunzione di percezione da parte dei soci degli utili non contabilizzati;
con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
la ricorrente deduce con tale motivo l’inammissibilità dell’eccezione della contribuente, avanzata per la prima volta con le memorie illustrative depositate in appello, relativa alla nullità dell’accertamento per la violazione del diritto di difesa, in quanto l’Ufficio non aveva notificato alla socia l’accertamento emesso nei confronti della società partecipata, limitandosi ad allegarlo, quando era ormai definitivo, all’avviso di accertamento oggetto della presente impugnazione;
il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del secondo e del terzo;
ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n.74/2000, vigente ratione temporis, «1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a lire quattro miliardi»; l’art.43, terzo comma, vigente ratione temporis (eguale disposizione è contenuta per l’Iva nell’art.57 d.P.R. n. 633/1972), a sua volta prevede:«In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’ articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione>>;
pertanto, dalla lettura combinata delle norme si evince che il raddoppio dei termini scatta in presenza di una violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, il quale a sua volta, all’art.4, prevede, tra i requisiti per la configurabilità astratta del reato di dichiarazione infedele, che “taluna” delle singole imposte evase sia superiore all’ammontare indicato; come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011 con riferimento ai primi due commi dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, i termini “brevi” ordinari operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, mentre i termini raddoppiati operano in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia;
il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e alla l. 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen.;
la dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto;
tale conclusione è in linea con il consolidato orientamento di legittimità, conforme secondo cui, anche sulla scorta dei princìpi enunciati da Corte cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass., Sez. VI, 28/06/2019, n. 17586, Cass., Sez. V, 13/09/2018, n. 22337; Cass., Sez. VI, 30/05/2016, n. 11171);
in particolare, è stato precisato che «in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011» .(Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019);
anche in caso di eventuale prescrizione del reato, questa Corte ha già chiarito che « ai fini del raddoppio dei termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9322 del 11/04/2017);
pertanto, appaiono superati i numerosi richiami del giudice di appello alla giurisprudenza di merito, in contrasto con l’orientamento di legittimità formatosi successivamente ed ormai consolidatosi;
si è anche detto che «in tema di accertamento tributario, il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di “riapertura” o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie “ah origine” diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23628 del 09/10/2017);
per espressa disposizione normativa (art.37 d.l. n. 223/2006), «26. le disposizioni di cui ai commi 24 e 25 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633»;
dunque, ove sia contestato il raddoppio dei termini, rientra nei compiti del giudice tributario l’accertamento dell’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331;
nella fattispecie in esame, al di là dei riferimenti giurisprudenziali di merito (infondati, per quanto si è già detto), che vengono citati dalla C.t.r. senza alcun riferimento al caso specifico, la ratio della sentenza impugnata sembra doversi individuare nell’affermazione conclusiva, con cui i giudici di appello dichiarano di condividere la tesi secondo cui il raddoppio sarebbe consentito solo nei confronti del legale rappresentante della società e non dei soci;
bisogna, però, rilevare che tale assunto non è corretto, in quanto, nel caso in oggetto, l’amministrazione finanziaria con l’atto impositivo ha accertato le maggiori imposte dovute a titolo di Irpef, addizionali, interessi e sanzioni, dalla contribuente, in quanto socia di maggioranza (azionista al 90%) della F. S.p.A., società a ristretta base;
questa Corte è ormai ferma nel ritenere che, in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili;
pertanto, l’accertamento tributario nei confronti della società di capitali a base ristretta, riferibile alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano;
deve quindi concludersi nel senso che, nel caso di raddoppio dei termini per l’accertamento nei confronti di una società di capitali a ristretta base sociale (nella specie una S.p.A.), deve necessariamente conseguire il raddoppio dei termini per l’accertamento nei confronti dei soci, per i quali l’accertamento consegue automaticamente in base alla presunzione di percezione degli utili extracontabili conseguiti dalla società;
inoltre, come rilevato dalla difesa erariale, la responsabilità penale è distinta rispetto al presupposto che dà luogo, in materia di accertamento tributario, al raddoppio dei termini, che è consentito in caso di violazione di norme che comportano l’obbligo della denuncia;
una volta che ricorra tale evenienza, l’accertamento tributario segue un percorso autonomo rispetto all’accertamento del fatto e della responsabilità in sede penale, verificandosi l’estensione (non la proroga) dei termini dell’accertamento tributario anche nei confronti del socio della società a ristretta base partecipativa, il quale non può essere escluso, in base ai principi generali che regolano la materia dell’accertamento ai soci di società a ristretta base sociale;
non può non convenirsi con la ricorrente sul fatto che la finalità della disposizione sul raddoppio dei termini sarebbe vanificata, se la fattispecie fosse limitata solo all’accertamento nei confronti del socio legale rappresentante della società, realizzando, al contempo, un’ingiustificata disparità di trattamento tra socio, che sia anche legale rappresentante, e gli altri soci, pur partecipi alla compagine sociale ristretta;
infine, deve anche rilevarsi che, nel caso di specie, la socia E. C. deteneva una partecipazione del 90% del capitale sociale ed era stata denunciata personalmente in sede penale per il reato di dichiarazione infedele;
per quanto fin qui esposto, il primo motivo di ricorso va accolto, con conseguente assorbimento dei rimanenti, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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