CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7285
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Riscossione – Importazioni – Dazi doganali
Rilevato che
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello della contribuente società, o confermando quindi la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per IVA all’importazione e dazi doganali riferiti a operazioni di importazione perfezionate nel corso del 2007;
– avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il contribuente con atto affidato a nove motivi; resiste l’Amministrazione Finanziaria con controricorso;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., per omessa valutazione di prove decisive proposte dalle parti, ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente la CTR omesso di prendere in considerazione alcune prove decisive dedotte dalla contribuente, con riferimento alla numerazione dei certificati EUR 1 indicati dal Ministero estero come errati e quindi annullati;
– con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR omesso di prendere in esame l’acclarata origine tunisina delle merci, fatto decisivo per il giudizio, come dapprima attestata nei certificati EUR 1, e poi accertata dalle autorità di quel paese a seguito di richiesta di altri Stati tra i quali l’Italia;
– i motivi possono trattarsi congiuntamente, stante la stretta connessione tra di loro, e sono fondati;
– invero, sul punto la CTR è del tutto silente, non dedicando neppure una parola alla questione postagli con riferimento all’origine della merce; in concreto non risulta quindi che il secondo giudice si sia confrontato con le produzioni cui si fa riferimento in ricorso alle pag. 14 e 15; ciò non si evince, neppure per implicito, dal complessivo testo della motivazione della gravata sentenza;
– invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il certificato di origine delle merci (FORM-A, o EUR-1), emesso dalle autorità del Paese di esportazione, previsto dall’art. 26 del Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913 e dagli artt. 80 e ss. del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454, costituisce titolo di legittimazione esclusivo per esercitare il diritto di fruizione dello specifico regime doganale previsto in relazione all’origine del prodotto (“condicio sine qua non”), ma non ha efficacia di “prova legale assoluta” (“iuris et de iure”) della effettiva origine della merce importata dal Paese terzo che ha emesso il certificato, attesa, da un lato, l’assenza di obblighi di controllo in capo al Paese terzo e, dall’altro, la possibilità, per il Paese importatore, in presenza di ragionevoli dubbi, di contestare l’effettiva origine del prodotto importato e rifiutare, indipendentemente dalla regolarità formale del certificato, l’applicazione dello specifico regime doganale» (Cass. n. 24439 del 30/10/2013; si veda, altresì, Cass. n. 6637 del 15/03/2013);
– ne consegue che è quindi l’invalidazione dei certificati di origine da parte del Paese esportatore, condicio sine qua non per beneficiare del regime di esenzione daziaria, determina – indipendentemente dalle motivazioni che hanno condotto a tale invalidazione, con riferimento alle quali si sarebbe dovuto eventualmente proporre impugnazione davanti all’autorità competente di quel Paese – il venir meno del beneficio previsto in relazione all’origine del prodotto. Del resto, «in un sistema di cooperazione quale è quello del regime preferenziale basato sulla ripartizione di competenze tra Stato d’esportazione e Stato d’importazione, la prova della inesattezza dei certificati di imputazione può ritenersi raggiunta nel caso in cui, all’esito di indagine condotta in cooperazione con lo Stato esportatore i certificati EUR-1 vengano invalidati (o meglio destituiti di efficacia probatoria) dalle autorità doganali del Paese beneficiario, e dunque non soltanto nel caso in cui sia positivamente accertato che le merci ivi indicate non soddisfano al requisito essenziale della origine, ma anche nel caso in cui all’esito della indagine non sia °possibile disporre di elementi sufficienti per confermare l’origine della merce indicata nel certificato, dovendo anche in quest’ultimo caso ritenersi privi di efficacia probatoria i certificati emessi dallo Stato esportatore, avendo in conseguenza indebitamente beneficiato della esenzione doganale i prodotti di “origine ignota” (Corte giustizia 7.12.1993 causa C-12/92 Huygen)» (Cass. n. 14036 del 03/08/2012);
– nel caso di specie, non risulta che la CTR abbia affrontato la questione, nei termini in cui andava trattata e risolta, non risultando sufficiente il mero richiamo alla documentazione OLAF specie in presenza di documentazione, proveniente sempre dallo stato a quo, attestante il contrario;
– se infatti il Giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dalle risultanze probatorie che ritenga più attendibili ed idonee, essendo sufficiente, ai fini della congruità della relativa motivazione, che risulti che l’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o la confutazione di tutte le deduzioni difensive (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 5235 del 09/04/2001; id. Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 5229 del 04/03/2011), occorre in ogni modo che la prova od il documento pretermesso sia tale da inficiare la ricostruzione dei fatti compiuti dal Giudice di merito determinando un quadro probatorio idoneo, da un lato, a demolire le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata e dall’altro a sovvertire con grado certezza l’esito del giudizio in senso favorevole alla ricorrente; nel caso che ci occupa la contraddizione tra i documenti prodotti dalle parti rendeva necessario in primo luogo il loro complessivo esame, quindi un approfondimento del thema probandum che non vi è stato;
– sul punto, quindi, la pronuncia gravata va cassata;
– il terzo motivo di ricorso si appunta sulla violazione del prot. 4 dell’accordo che istituisce una associazione tra le comunità europee e i loro stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, “Accordo euromediterrraneo”, ratificato con legge n. 35 del 1997, e successive modificazioni ed integrazioni nella parte in cui stabilisce i criteri per la determinazione dell’origine delle merci, per non aver la CTR correttamente applicato il cap. 85 di detto accordo, in forza del quale hanno origine tunisina i beni per la produzione dei quali è utilizzato materiale originale in misura non superiore al 40% del prezzo franco fabbrica dei prodotti (che nella presente fattispecie – è incontroverso – contengono materiali non originali nella misura del 30%);
– il quarto motivo di ricorso si appunta sulla violazione del prot. 4 dell’accordo che istituisce una associazione tra le comunità europee e i loro stati membri, da una parte, e la Repubblica tunisina, dall’altra, “Accordo euromediterrraneo”, ratificato con legge n. 35 del 1997, e successive modificazioni ed integrazioni nella parte in cui stabilisce le regole di cooperazione in materia amministrativa da applicarsi in caso di dubbio sui certificati EUR 1 emessi dalle autorità del paese di esportazione, non avendo l’Amministrazione doganale rispettato i termini e le modalità ivi previste per l’acquisizione delle informazioni dall’autorità tunisina;
– entrambi i motivi sono assorbiti nel giudizio dei motivi primo e secondo che li precedono;
– con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente la CTR escluso l’applicabilità della previsione dell’art. 220 CDC in tema di diritto della contribuente alla non contabilizzazione del maggior dazio doganale, in sostanza per difetto di colpevolezza;
– alla luce della decisione di accoglimento dei motivi primo e secondo il mezzo risulta assorbito;
– il sesto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 11 d. Lgs. n. 374 del 1990 e per difetto di prova delle inesattezze, degli errori ed omissioni negli elementi posti a base dell’accertamento doganale, per non avere la Dogana provato la sussistenza di tali elementi atti a legittimare la ripresa a tassazione;
– sostiene qui la società ricorrente che la norma in questione richiede, per procedere alla revisione dell’accertamento doganale divenuto definitivo, la esistenza di “inesattezze, omissioni ed errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento” e dunque non può trovare applicazione nel caso in cui la pretesa del maggior dazio venga ad essere fondata sul diverso presupposto della violazione delle disposizioni comunitarie relative alla partecipazione alle procedure di assegnazione dei contingenti tariffari sulla importazione di carni bovine congelate, e comunque il potere accertativo dell’Ufficio doganale sarebbe condizionato alla previa revoca delle quote assegnate da parte del Ministero delle Attività Produttive;
– il motivo è infondato;
– orbene, l’interpretazione della norma di diritto indicata in rubrica, fornita dalla parte ricorrente, intesa a circoscrivere a taluni tassativi vizi della dichiarazione/bolletta doganale l’esercizio del potere di accertamento degli Uffici finanziari, non tiene conto del complesso delle norme che regolano la materia; il motivo è quindi infondato;
– in proposito è sufficiente rilevare come la onnicomprensiva formulazione dell’art. 11 co 5 D.lgs. n. 374/1990 (sostanzialmente riprodotta nell’art. 78, paragr. 3, CDC), prevede che “quando dalla revisione.., risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti od incompleti…”) si estenda a qualsiasi ipotesi di mancata od inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo ritenersi in essa unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe” che quelle concernenti “l’erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”, originariamente tenute distinte – quanto allo svolgimento del procedimento amministrativo- dall’art. 84 comma 1 e 4 del TULD (Dpr n. 43/1973), conclusione che trova dirimente conferma nella disposizione dell’art. 220 paragr. 1 CDC secondo cui si procede al recupero del dazio risultante da una obbligazione doganale tutte le volte che il relativo importo “non sia stato contabilizzato …o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto”, indipendentemente quindi se ciò sia o meno dipeso da un errore od una inesattezza della Amministrazione doganale inerente al calcolo ovvero inerente alla individuazione e classificazione della merce;
– nella specie la società importatrice ha corrisposto il dazio alla importazione in misura inferiore all’importo legalmente dovuto (non potendo fruire della agevolazione daziaria); e tanto basta ad integrare il presupposto che legittima l’accertamento in revisione della dichiarazione doganale a posteriori;
– il settimo motivo di ricorso censura la gravata sentenza per falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto inapplicabile alla presente fattispecie l’art. 12 del d. Igs. n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), non garantendosi al contribuente il diritto di esprimere il proprio punto di vista nel corso della formazione del provvedimento impugnato;
– il motivo è infondato;
– questa Corte ha chiarito che «In materia di accertamento di tributi doganali, non costituisce violazione dello Statuto dei diritti del contribuente l’emissione dell’avviso di accertamento suppletivo prima della scadenza del termine di sessanta giorni previsto dalla L. 27 luglio 2002, n. 212, art. 12, comma 7, per la presentazione di osservazioni e richieste dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte dell’organo impositore. Ed infatti, da un lato, la normativa sul riordino degli istituti doganali di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374 prevede, nell’ambito del procedimento di revisione dell’accertamento, la possibilità di procedere a verifiche fiscali richiamando i poteri di accesso, ispezione e verifica in tema di IVA (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52), per cui, qualora l’Amministrazione si avvalga di tale strumento istruttorio, può scattare, a favore del contribuente, sottoposto a dette indagini il meccanismo delle garanzie previste dalla citata norma. Dall’altro lato, qualora (come nel caso di specie), l’Amministrazione non si avvalga di tale mezzo istruttorio, già il sistema doganale appresta una serie di garanzie peculiari per il contribuente, prevedendo la contestazione amministrativa, e la compilazione di un apposito verbale per raccogliere le osservazioni ed i motivi di reclamo del contribuente ai fini dell’eventuale controversia doganale, quali la possibilità di presentare osservazioni, di talché il sistema complessivo previsto dal d.lgs. n. 374 del 1990 è pienamente rispettoso dei criteri dettati dallo Statuto del contribuente in virtù del principio di leale collaborazione tra Amministrazione e contribuente» (Cass. n. 14955 del 2013; Cass. n. 13890 del 2008); in merito, ha infatti ritenuto che, in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, ferma l’inapplicabilità dell’art. 12, comma 7, della legge 20 luglio 2000, n. 212, operi lo jus speciale di cui all’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del detto avviso (Cass. n. 23669 del 2018; Cass. 15032 del 2014). In particolare, da ultimo nella sentenza n. 23669 del 2018, questa Corte ha precisato come la disciplina di cui all’art. 11 cit. – nella versione ante novella del d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012 – sia stata promossa dalla Corte di giustizia, con la sentenza del 20 dicembre 2017, causa C-276/16, Preqù-Italia, secondo cui “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’articolo 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’articolo 244, secondo comma, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato” e “la violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”;
– l’ottavo motivo di ricorso denuncia falsa applicazione dell’art. 11 comma 5 bis d. Igs. n. 374 del 2000 per avere erroneamente la CTR ritenuto sufficientemente motivati i provvedimenti impugnati;
– il motivo è infondato;
– come si evince dagli atti e dalla sentenza impugnata, il contribuente si è ampiamente e valorosamente difeso nei gradi del merito, ed ha articolato l’ampio ricorso su undici mezzi di impugnazione; con ciò si è fornita in rebus dimostrazione del fatto che questi ha ben compreso le ragioni poste dall’Erario alla base della propria pretesa di maggiori dazi; conseguentemente la motivazione dei provvedimenti impugnati ha in concreto assolto alla propria funzione, che è esattamente quella di rendere comprensibili con chiarezza le ragioni della pretesa tributaria al contribuente, perché questi possa valutarne la fondatezza ed esser quindi in grado di articolarne l’impugnazione di fronte al giudice, cosa che è puntualmente accaduta, con conseguente deduzione e illustrazione di eccezioni, difese e mezzi di prova da parte dell’impugnante;
– va esaminato poi, unitamente ai motivi precedenti, il nono motivo di ricorso con il quale in realtà sono dedotte due censure;
– la prima censura investe il profilo relativo alla circostanza secondo la quale l’origine delle merci è stata fedelmente dichiarata dalla contribuente;
– alla luce della decisione di accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, questa parte del motivo è assorbita;
– la seconda censura insita nel motivo in esame riguarda il profilo secondo il quale l’art. 303 CDC non sanziona le differenze di origine e/o di provenienza delle merci, di guisa che la sanzione irrogata non è applicabile alla violazione che si assume commessa, dovendosi applicare solo a dichiarazioni recanti differenze relative a qualità, quantità e valore delle merci;
– questa seconda parte del motivo è invece priva di fondamento;
– invero, questa Corte in diritto ha chiarito come (Cass, Sez. 5, Sentenza n. 3467 del 14/02/2014) in tema di sanzioni per violazioni delle disposizioni in materia doganale, l’art. 303 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, applicabile “ratione temporis”, contempla un’unica fattispecie sanzionatoria, non prevedendo, invero, al terzo comma, una fattispecie legale diversa rispetto a quella di cui al primo comma, ma configurandone una mera circostanza aggravante, che comporta una maggiorazione dell’entità della stessa sanzione, comminata per “le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci” non corrispondenti all’accertamento degli Uffici finanziari, fermo restando che ricadono nel suo ambito applicativo – poiché nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura ed a distinguerla da altre simili – anche le dichiarazioni sull’origine (o la provenienza) della merce stessa, in quanto sintomatiche della specificità del prodotto; sul punto sono anche conformi ulteriori pronunce (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15872 del 29/07/2016; Sez. 5, Sentenza n. 32956 del 20/12/2018);
– conseguentemente la sentenza gravata deve quindi esser cassata limitatamente ai motivi accolti; per il resto il ricorso va invece rigettato;
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il quinto, e il primo profilo del nono motivo; rigetta il sesto, il settimo, l’ottavo e il secondo profilo del nono motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Liguria in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 luglio 2021, n. 19157 - Il contribuente ha diritto di effettuare «osservazioni e richieste» entro sessanta giorni dal ricevimento del verbale di chiusura delle operazioni ispettive e l'amministrazione ha l'obbligo di non…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13630 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 luglio 2021, n. 21163 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, settimo comma, della legge n. 212 del 2000 va interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 novembre 2020, n. 24396 - In tema di imposte sui prodotti alcolici, qualora il contribuente proponga osservazioni ai sensi dell'art. 12 della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente) avverso il processo verbale di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 febbraio 2021, n. 4762 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine…
- Corte di Cassazione sentenza n. 31748 depositata il 27 ottobre 2022 - In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, 212 l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo tributario: onere della prova e responsab
La riforma del processo tributario ad opera della legge n. 130 del 2022 ha intro…
- E’ obbligo del collegio sindacale comunicare
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25336 del 28 agosto 2023, interv…
- Dimissioni del lavoratore efficace solo se effettu
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27331 depositata il 26 settembre…
- La restituzione ai soci dei versamenti in conto au
La Corte di cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 39139 depositata il 2…
- I versamento eseguiti in conto futuro aumento di c
I versamento eseguiti in conto futuro aumento di capitale ma non «accompagnati d…