CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2019, n. 12911
Imposte indirette – IVA – Immobili ad uso abitativo – Compravendita – Classificazione catastale del fabbricato – Strumentalità
Rilevato che
1. con sentenza n. 07/02/13 del 06/02/2013 la Commissione tributaria di secondo grado di Trento respingeva l’appello proposto dalla Hotel D. di G.W. & C. s.n.c. e dai singoli soci (d’ora in avanti, omnicomprensivamente, Hotel D.) avverso la sentenza n. 44/02/10 della Commissione tributaria di primo grado di Trento, che aveva respinto l’impugnazione proposta dai contribuenti avverso l’avviso di accertamento relativo a somme indebitamente detratte a titolo di IVA con riferimento all’anno 2004;
1.1. il giudice di appello premetteva che: a) l’avviso di accertamento conseguiva alla detrazione dell’IVA per l’acquisto di un immobile sito in Sardegna – Costa Smeralda ed avente destinazione catastale abitativa (A/2); b) la Commissione di primo grado respingeva il ricorso proposto da Hotel D.; c) detta sentenza era impugnata dai contribuenti;
1.2. su queste premesse, la CTR motivava il rigetto dell’appello, per quanto interessa in questa sede, evidenziando che: a) ai sensi dell’art. 19 bis.1, primo comma, lett. i), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 non era ammessa la detrazione dell’IVA per l’acquisto di immobili ad uso abitativo e l’immobile per cui era controversia era catastato A/2; b) la documentazione prodotta dagli appellanti (contratti di locazione per brevi periodi ed ulteriori documenti versati in appello) non era sufficiente a giustificare l’esercizio di attività alberghiera con riferimento all’immobile di cui trattasi;
2. Hotel D. impugnava la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso Hotel D. deduce la violazione dell’art. 19 bis.1, primo comma, lett. i), del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché motivazione omessa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che l’indetraibilità dell’IVA riconnessa all’acquisto di immobili ad uso abitativo non ha carattere oggettivo, ma soggettivo e dipende non già dalla classificazione catastale del fabbricato, ma dalla strumentalità di quest’ultimo all’attività di impresa svolta dalla contribuente;
2. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 19, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi la sussistenza, in capo ad Hotel D., delle condizioni previste dalla legge e che consentono la detraibilità dell’IVA;
3. con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 19 bis.1, primo comma, lett. i), del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che l’immobile per cui è controversia è di fatto utilizzato dalla società per l’esercizio dell’attività di impresa e tale utilizzazione prescinde dalla destinazione catastale;
4. con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 54, comma 2, e 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che l’appello incidentale dell’Ufficio, nel quale si fa riferimento all’esistenza di una causa di indetraibilità oggettiva dell’IVA, costituisce domanda nuova e comunque inammissibile per carenza di interesse all’impugnazione della parte integralmente vincitrice;
5. con il quinto motivo di ricorso (rubricato come sesto) Hotel D. contesta l’erronea interpretazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché l’erroneità o insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., evidenziando che la documentazione prodotta (fatture) rispondeva ai requisiti previsti dalla legge per la sua emissione e alle esigenze probatorie della ricorrente;
6. i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati essendo sostanzialmente unica la questione di diritto agli stessi sottesa, sono inammissibili o infondati;
6.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’art. 19 bis.1, comma 1, lett i), del d.P.R. n. 633 del 1972, esclude che l’imprenditore possa portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando l’operazione sia relativa a fabbricati a destinazione abitativa, salvo che per le imprese che hanno ad oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati, sicché, ove l’operazione non rientri nell’oggetto esclusivo o principale dell’attività, il compratore dovrà dimostrarne non solo l’inerenza e la strumentalità in base a elementi oggettivi e in concreto, secondo la generale previsione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, ma anche che il bene non rientra più nella categoria di beni a destinazione abitativa, per i quali in base ad un criterio legale oggettivo è prevista l’esclusione della detrazione» (Cass. n. 6883 del 08/04/2016; cfr., altresì, Cass. n. 10264 del 26/04/2017);
6.1.1. peraltro, una interpretazione eurounitariamente orientata impone che il diritto alla detrazione non possa essere negato in forza della astratta classificazione catastale dell’immobile, propria degli immobili ad uso abitativo, dovendo invece darsi prevalenza alla sua effettiva destinazione (cfr. Cass. n. 8628 del 29/04/2015 e Cass. n. 26748 del 22/12/2016, laddove ampi richiami alla giurisprudenza della CGUE);
6.2. nella specie la CTR si è adeguata ai principi di diritto sopra menzionati in quanto, con motivazione niente affatto illogica: a) ha ritenuto che la disposizione dell’art. 19 bis.1 del d.P.R. n. 633 del 1972 preveda un criterio legale oggettivo di esclusione della detraibilità dell’IVA; b) ha precisato che Hotel D. non abbia dato la prova della ritenuta diversa destinazione dell’immobile rispetto a quella abitativa risultante al catasto, sì da rientrare nell’ambito dell’attività di impresa della società contribuente;
6.3. tale essendo la pronuncia della CTR, deve ritenersi che: a) i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili, perché non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata, non essendo affatto vero che si sia esclusa la detraibilità dell’IVA per il semplice fatto della classificazione catastale dell’immobile, ma si è compiuta un’indagine più approfondita, volta ad evidenziare, in fatto, l’insussistenza della strumentalità del bene all’esercizio dell’attività commerciale facente capo ad Hotel D., accertamento di fatto non idoneamente censurato dalla ricorrente; b) il quarto motivo è infondato, in quanto l’attività di interpretazione della norma spetta al giudice, che vi provvede d’ufficio, indipendentemente da qualsiasi rilievo dell’Agenzia delle entrate, che, non avendo introdotto nuovi elementi di fatto, non può ritenersi avere proposto alcuna domanda in ordine alla qualificazione giuridica della previsione di detrazione; c) il quinto motivo, nella parte in cui si contesta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è infondato, in quanto la CTR ha correttamente ritenuto che, a fronte della classificazione catastale dell’immobile acquistato come abitativo, l’onere di provare la strumentalità del bene all’attività di impresa della società ricorrente grava su quest’ultima; d) il medesimo quinto motivo è, altresì, inammissibile nella parte in cui denuncia sostanzialmente un vizio di motivazione (e non già un error in procedendo), atteso che il ricorso ricade nell’ambito applicativo della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che esclude la possibilità di impugnare la sentenza di appello per semplice insufficienza della motivazione (si veda Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014, secondo la quale «è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»);
7. il ricorso va, dunque, rigettato e i ricorrenti vanno condannati al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto del fatto che il valore dichiarato della presente controversia rientra tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00;
7.1. poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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