CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2020, n. 9027
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Credito per attività di consulenza e assistenza svolta in favore della società in bonis nel corso della procedura concordataria – Ammissione al passivo
Fatti di causa
1. Il Giudice delegato al fallimento di F.E. s.r.l. ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dal Dott. M.T. – in ragione dell’attività di consulenza e assistenza svolta in favore della società in bonis nel corso dell’intera procedura concordataria che aveva preceduto la dichiarazione di fallimento – per € 190.000, oltre accessori, con collocazione in privilegio ex art. 2751- bis n. 2 cod. civ. piuttosto che con la prededuzione richiesta.
Il diniego della prededuzione trovava giustificazione nella mancanza di utilità dell’opera professionale prestata per la massa dei creditori.
2. Il Tribunale di Pescara, a seguito dell’opposizione presentata dal Dott. T., osservava che la presunzione di funzionalità delle prestazioni professionali che avevano condotto all’ammissione della procedura concorsuale poteva essere superata, in caso di successivo fallimento, dalla dimostrazione di una manifesta inutilità, se non addirittura di una dannosità, del concordato per i creditori.
Nel caso di specie la procedura di concordato, inizialmente aperta, era stata poi revocata ai sensi dell’art. 173 legge fall, a seguito della scoperta di circostanze comportanti il venir meno della fattibilità anche giuridica del concordato (costituite dall’esistenza di un provvedimento di sequestro penale gravante sull’immobile aziendale per omesso versamento dell’I.V.A. e dall’escussione da parte del creditore BLS del pegno su titoli annoverati all’attivo della procedura).
Queste circostanze, benché note ai professionisti che avevano assistito la società già in epoca precedente alla predisposizione della versione emendata della proposta presentata nell’agosto 2012, non erano mai state evidenziate nelle modifiche ed integrazioni apportate all’originaria domanda concordataria e avevano compromesso la correttezza delle informazioni fornite al ceto creditorio in funzione del voto.
Il giudizio di adeguatezza funzionale dell’attività professionale non poteva quindi che essere negativo – a giudizio del collegio dell’opposizione – a motivo della sopraggiunta revoca ex art. 173 legge fall. “proprio in virtù della violazione da parte del professionista di quegli obblighi che se assolti diligentemente avrebbero al contrario portato all’omologa”.
In virtù di tali argomenti il Tribunale rigettava l’opposizione proposta dal Dott. M.T., con decreto del 16 aprile 2015.
3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso lo stesso Dott. T. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di F.E. s.r.l..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
4.1 II primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 legge fall., in quanto il Tribunale avrebbe aderito a un’interpretazione della norma secondo cui la prededuzione deve essere riconosciuta in tutti i casi in cui la prestazione professionale si presenti in un rapporto di strumentalità rispetto alle finalità perseguite dalla procedura e, dunque, a condizione che da essa sia derivato un vantaggio concreto per la massa dei creditori.
Una simile interpretazione tuttavia – in tesi di parte ricorrente – non sarebbe coerente con la più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui il credito del professionista derivante dall’attività di consulenza e assistenza prestata al debitore, ammesso al concordato preventivo, per la redazione e la presentazione della relativa domanda è prededucibile senza che sia necessario verificare il risultato delle prestazioni svolte oppure la loro utilità per la massa.
L’interpretazione attribuita dal Tribunale all’art. 111 Cost. sarebbe inoltre in contrasto con la ratio della norma, che intende prevedere un’agevolazione e incentivazione al ricorso a forme di soluzione concordata della crisi, riconoscendo la prededuzione ai crediti in rapporto di strumentalità rispetto alle finalità perseguite dalla procedura concorsuale.
4.2 II motivo è infondato, nei termini che si vanno a illustrare.
4.2.1 La giurisprudenza di questa Corte ha oramai da tempo intrapreso un percorso evolutivo volto ad affrancare la categoria dei crediti prededucibili in ragione del loro carattere funzionale dal presupposto di un controllo giudiziale sulla loro utilità.
In questa prospettiva interpretativa è stato dapprima sottolineato (Cass. 5098/2014) che anche ai crediti sorti anteriormente all’inizio della procedura di concordato preventivo, non occasionati dallo svolgimento della medesima procedura, può riconoscersi la prededucibilità ove sia applicabile il secondo criterio richiamato dall’art. 111, comma 2, legge fall., quello cioè della funzionalità, o strumentalità, delle attività professionali da cui i crediti hanno origine rispetto alla procedura concorsuale; ciò in ragione dell’evidente ratio della norma, individuabile nell’intento di favorire il ricorso al concordato preventivo, nel quadro della riforma di tale procedura, diretta a predisporre un possibile strumento di composizione della crisi idoneo a favorire la conservazione dei valori aziendali.
Atteso che la medesima ratio sta alla base del disposto dell’art. 67, lett. g), legge fall. (norma che sottrae alla revocatoria fallimentare i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili eseguiti dall’imprenditore per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura di concordato preventivo), si è di conseguenza ritenuto che il nesso funzionale che, in caso di mancato pagamento, giustifica la prededucibilità dei crediti derivanti dalle prestazioni stesse, pur se sorti prima dell’inizio della procedura, sia ravvisabile nella strumentalità di queste prestazioni rispetto all’accesso alla procedura concorsuale minore.
È stato in seguito precisato (Cass. 6031/2014) che il disposto dell’art. 111, comma 2, legge fall, deve essere inteso, tenuto conto della ratio della riforma volta a incentivare gli strumenti di composizione della crisi e a favorire la conservazione dei valori aziendali, nel senso che il credito sorto in funzione di una procedura concorsuale è senza dubbio anche quello sorto “per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” ex art. 67, lett. g), legge fall., quale l’attività prestata in favore dell’imprenditore poi dichiarato fallito in funzione dell’ammissione del medesimo alla procedura di concordato preventivo, non rilevando la natura concorsuale del credito stesso, per essere sorto in periodo anteriore al fallimento; prova ne sia che l’art. 182-quater, comma 2, legge fall, individua come crediti prededucibili anche i crediti sorti prima dell’apertura della procedura “in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo”, rimanendo così confermato il significato dell’enunciato “in funzione”, che richiama il concetto di “servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” utilizzato dall’art. 67, lett. g), legge fall., e della possibilità di intendere l’enunciato “strumentale a” come sinonimo di “funzionale” (valutazione condivisa da Cass. 19013/2014).
Dunque secondo l’orientamento sopra riassunto i crediti sorti a seguito delle prestazioni rese in favore dell’imprenditore per la redazione della domanda di concordato preventivo e per la relativa assistenza rientrano fra quelli da soddisfarsi in prededuzione ai sensi dell’art. 111, comma 2, legge fall, poiché questa norma individua un precetto di carattere generale, privo di restrizioni, che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, introduce un’eccezione al principio della par condicio creditorum, estendendo in caso di fallimento la prededucibilità a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali (Cass. 1765/2015).
In altri termini la verifica del nesso di funzionalità/strumentalità deve essere compiuta controllando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante, non potendo l’evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell’obiettivo della norma, escludere il ricorso all’istituto.
Nessuna verifica deve invece essere compiuta, ove alla procedura minore consegua il fallimento, in ordine al conseguimento di un’utilità in concreto per la massa dei creditori, concetto che non può essere confuso o sovrapposto a quello di funzionalità.
La collocazione in prededuzione prevista dall’art. 111, comma 2, legge fall, costituisce infatti, come detto, un’eccezione al principio della par condicio che intende favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa e rimane soggetta alla verifica delle sole condizioni previste dalla norma in parola.
L’utilità concreta per la massa dei creditori – a prescindere dal fatto che l’accesso alla procedura di concordato preventivo costituisce di per sé un vantaggio per i creditori ove si tenga conto degli effetti della consecuzione delle procedure, tra cui la cristallizzazione della massa e la retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell’esperimento della revocatoria fallimentare, come ha ricordato Cass. 6031/2014 – non rientra invece nei requisiti richiesti e nelle finalità perseguite dalla norma in questione e non deve perciò essere in alcun modo indagata (Cass. 1182/2018).
Non vi è dubbio quindi in linea generale che il credito del professionista che abbia funto da advisor nella predisposizione della domanda di concordato rientri tra i crediti sorti “in funzione” di quest’ultima procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, legge fall., vada soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti.
4.2.2 Occorre tuttavia considerare come nel caso di specie il Tribunale abbia accertato che la procedura concordataria, nonostante il voto favorevole espresso dai creditori, fosse stata revocata ai sensi dell’art. 173 legge fall., su segnalazione dei commissari giudiziali, a causa della scoperta di atti di frode imputabili anche al professionista, consistiti nell’omessa indicazione all’interno della versione modificata della proposta di circostanze emerse dopo l’avvio della procedura ed idonee a trarre in inganno i creditori sulle loro effettive prospettive di soddisfacimento.
Un simile accertamento è ostativo all’applicazione dei principi appena richiamati.
A questo proposito questa Corte ha già ritenuto che il credito del professionista che abbia predisposto la documentazione necessaria per l’ammissione al concordato preventivo non è prededucibile nel successivo fallimento ove l’ammissione alla procedura minore sia stata revocata per atti di frode dei quali il professionista stesso fosse a conoscenza (Cass. 3218/2017).
Ciò non solo e non tanto perché la prestazione professionale svolta non è stata di alcuna utilità per la procedura, ma piuttosto perché un’attività che si caratterizzi per la condivisione da parte del professionista dell’atto di frode commesso dall’imprenditore rimane estranea alle forme di soluzione concordata della crisi di impresa che l’art. 111, comma 2, legge fall, intende favorire, poiché una simile agevolazione deve intendersi riservata alle prestazioni che si propongano di perseguire un disegno di risanamento secondo lecite modalità di sviluppo della procedura e nel rispetto dell’interesse del ceto creditorio.
In altri termini è evidente che una prestazione che si caratterizzi per il fatto che il professionista fosse a conoscenza dell’incompleta disclosure compiuta dall’imprenditore a discapito dell’interesse dei creditori non può essere in alcun modo ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità risanatorie dalla stessa perseguite, dato che la procedura concordataria è capace di perseguire la composizione della crisi unicamente se e in quanto il suo svolgimento sia rispettoso delle indicazioni del legislatore.
L’atto funzionale alla procedura concordataria non può quindi che essere quello ispirato a criteri legali.
5.1 II secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1176 e 2236 cod. civ. e, nel contempo, si duole dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio: il provvedimento impugnato avrebbe rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via privilegiata, con un’evidente incongruenza e illogicità della motivazione nel nesso tra la motivazione e il decisum, in quanto – a dire del ricorrente – apparirebbe fuor di luogo ogni argomento in merito al preteso, mai dimostrato, inadempimento del professionista in presenza di un’ammissione del credito al passivo, la quale faceva sì che non potesse esservi alcuna discussione sui contenuti dell’operato professionale.
Peraltro il Tribunale, nel l’affermare la responsabilità del professionista per inadempimento, avrebbe trascurato di considerare che questi invece aveva provveduto a informare compiutamente gli organi della procedura in merito alle vicende che avevano interessato l’immobile della società proponente e l’escussione dei titoli da parte di BLS, le quali erano state poi portate all’attenzione dei creditori in data antecedente all’adunanza per l’esercizio del diritto di voto.
Infine il collegio dell’opposizione non si sarebbe premurato di pronunciarsi sulla disparità di trattamento intercorsa tra il credito vantato dal professionista asseveratore del piano, ammesso in prededuzione, e il credito di chi invece aveva predisposto il medesimo.
5.2 Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.
5.2.1 In linea generale l’ammissione del credito al passivo della procedura involge un’indagine sull’esistenza del credito dell’istante nei confronti del fallito, da compiersi secondo i generali criteri civilistici (indagine che nel caso di specie rimaneva preclusa al collegio dell’opposizione, in assenza di impugnazione sul punto; Cass. 9928/2018).
La collocazione del credito in prededuzione richiede invece un’indagine in merito al ricorrere dei presupposti perché il credito, ove riconosciuto esistente, possa essere soddisfatto con la precedenza processuale riconosciuta dall’art. 111-bis legge fall. (Cass. 15724/2019).
La prospettiva di indagine dei due diversi profili contenuti nella domanda di ammissione al passivo in prededuzione involge quindi due piani – l’uno sostanzialistico, l’altro procedurale – diversi e autonomi fra loro.
Il motivo in esame confonde i due piani, creando un’indebita promiscuità fra loro e ritenendo che la soluzione positiva assegnata a un profilo della domanda di ammissione al passivo (in merito all’ammissione del credito) comporti un’automatica e analoga soluzione anche rispetto all’altra richiesta presentata (al fine della collocazione in prededuzione), quando invece la verifica della esistenza e consistenza del credito non comporta affatto che al credito ammesso debba essere riconosciuta in via consequenziale la prededuzione richiesta.
Al contrario la valutazione compiuta ai fini dell’ammissione del credito non investe il profilo della strumentalità della prestazione professionale alle finalità perseguite dalla procedura concordataria, che deve essere verificata controllando – come detto – se l’attività professionale prestata potesse essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite secondo un giudizio ex ante.
Non si presta a censure quindi la valutazione del Tribunale nella parte in cui, pur registrando l’avvenuta ammissione al passivo del credito del professionista, ne ha escluso la collocazione in prededuzione in ragione dell’assenza dei presupposti che legittimavano una simile pretesa.
5.2.2 Parte ricorrente assume che il Tribunale, nel compiere le valutazioni che lo hanno condotto al diniego della prededuzione richiesta, abbia omesso l’esame della documentazione prodotta (e segnatamente dei verbali di convocazione del 25 luglio 2012 e dell’11 settembre 2012) dal cui esame sarebbe stato possibile evincere che in realtà il professionista aveva informato tempestivamente gli organi della procedura delle circostanze che avevano determinato il venir meno della fattibilità del piano concordatario.
La doglianza si limita però a individuare i documenti il cui esame avrebbe offerto la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che avevano determinato il convincimento del giudice di merito, ma non indica né se gli stessi fossero stati oggetto di rituale e tempestiva produzione in sede di opposizione, ai sensi dell’art. 99, comma 2, n. 4, legge fall., né come tali documenti fossero stati oggetto di discussione processuale, altrettanto tempestiva, tra le parti nell’ambito di tale giudizio.
Il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. di indicare specificamente gli atti processuali su cui lo stesso è fondato.
5.2.3 Infine l’omessa pronuncia in merito alla denunciata disparità di trattamento riservata, nell’ambito della verifica del passivo, fra il credito dell’attestatore, ammesso in prededuzione, e il credito dell’advisor, a cui la medesima collocazione è stata negata, risulta di nessuna decisività.
Ciò da un lato perché la statuizione assunta rispetto alla collocazione del credito di un professionista non imponeva in via automatica l’adozione di un analogo provvedimento nei confronti dell’altro professionista, dall’altro perché il credito dell’attestatore è stato ammesso – come registra lo stesso motivo di ricorso – all’esito di una valutazione di funzionalità compiuta con riferimento alla data di predisposizione della sua attestazione, mentre il Tribunale ha giustificato il diverso provvedimento assunto nei confronti del Dott. T. sulla base condotte omissive commesse dopo la data di iniziale presentazione del piano e della relativa documentazione e con riferimento a circostanze emerse a seguito dell’ammissione della procedura.
6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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