CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2022, n. 8291
Tributi – IVA – Credito – Rigetto istanza di rimborso per mancata prestazione di garanzia – Utilizzo del credito in compensazione – Condizioni
Rilevato che
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle Entrate aveva notificato a B.N.G. una cartella di pagamento con la quale, relativamente all’anno di imposta 2004, era stato disconosciuto il credito Iva, compensato con la dichiarazione per il 2004 e già chiesto a rimborso per l’anno 2003; avverso la cartella di pagamento il contribuente aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Enna, avendo ritenuto di dovere ridurre l’importo delle sanzioni applicate; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale ha accolto parzialmente l’appello, in particolare ha ritenuto che: non sussisteva alcuna incertezza in ordine alla spettanza del credito; la circostanza che l’istanza di rimborso presentata per l’anno 2003 era stata negata (per non avere il contribuente prestato la garanzia) non era ostativa a che il contribuente potesse portare a credito l’importo nella successiva dichiarazione e compensarlo con quanto dovuto; l’Agenzia delle entrate ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura, cui ha resistito il contribuente depositando controricorso;
si è costituita altresì R.S. s.p.a. aderendo al ricorso dell’Agenzia delle entrate;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per avere pronunciato ultra petita;
in particolare, parte ricorrente evidenzia che il giudice del gravame ha esaminato la questione della sussistenza del diritto al rimborso per l’anno 2004 sebbene la stessa non fosse stata prospettata dal contribuente con l’atto di appello;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 30, 38bis e 54bis, d.P.R. n. 633/1972, nonché deN’art. 36bis, d.P.R. n. 600/1973;
in particolare, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza per avere ritenuto che il contribuente aveva legittimamente chiesto il rimborso del credito Iva per l’anno 2003 e successivamente, con la dichiarazione per l’anno 2004, compensato il medesimo credito senza avere presentato una dichiarazione integrativa di rettifica; in applicazione del principio della “ragione più liquida” (vd. Cass. civ. 18 aprile 2019, n. 10839), si ritiene di dovere esaminare prioritariamente il secondo motivo di ricorso; il motivo è fondato;
la questione in esame attiene alla verifica dei limiti di esercitabilità, da parte del contribuente, del diritto alla detrazione dell’Iva del credito conseguente alla maturazione di una eccedenza di imposta per il quale il contribuente, nell’anno precedente, aveva esercitato l’opzione di chiedere a rimborso il medesimo credito; si evince dalla sentenza censurata che il contribuente aveva presentato una istanza di rimborso Iva nell’anno 2004 e successivamente ha implicitamente manifestato la volontà di rinunciare al rimborso (aderendo al diniego dell’ufficio) ed ha portato il credito in compensazione nella dichiarazione Iva dell’anno 2005; dallo stesso controricorso si evince che il credito Iva era sorto a seguito dell’acquisto di attrezzature e macchinari e che la contribuente aveva chiesto il rimborso per l’anno 2003; sicché, la fattispecie in esame è riconducibile nell’ambito della previsione di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 633/1972, secondo cui il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, all’atto della presentazione della dichiarazione, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto di o all’importazione di beni ammortizzabili;
questa Corte ha precisato che fra il diritto alla detrazione dell’Iva e quello al rimborso del contribuente di un credito Iva esiste un rapporto di alternatività che impedisce di sperimentare entrambi i rimedi da parte del contribuente rispetto all’eccedenza d’imposta; così come il contribuente ha facoltà di portare in detrazione il credito Iva nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 25, ai sensi dell’art. 30, comma 2, e dell’art. 55, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sicché, una volta maturata tale preclusione, il contribuente può soltanto domandare il rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza (Cass. Civ., n. 16257/2007), analogamente deve dirsi qualora il contribuente abbia optato per l’istanza di rimborso, tenuto conto, al riguardo, del rapporto fra rimborso e compensazione espressamente disciplinato dall’art. 17, d.lgs. n. 241/1997; come precisato da questa Corte (Cass. Civ., 2 luglio 2014, n. 15180) di ciò si trae conferma dalla possibilità che l’art. 7, comma 2, lett. i), decreto-legge n. 70/2011 (aggiungendo l’art. 2, comma 8ter, al d.P.R. n. 322/1988) ha attribuito al contribuente di integrare la dichiarazione dei redditi e dell’Irap per modificare l’originaria richiesta di rimborso, optando per la compensazione del credito, mediante dichiarazione integrativa da presentare entro 120 giorni dalla scadenza del termine ordinario. Il carattere innovativo della previsione consente, invero, di affermare che prima dell’introduzione di tale meccanismo, e dunque proprio in relazione alla controversia in esame, in cui l’istanza di rimborso era stata presentata in data 2004 ed il credito Iva era stato, poi, compensato nella successiva dichiarazione del 2005, non fosse possibile modificare l’oggetto della domanda di rimborso, se non nei limiti di cui allo stesso d.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, che disciplina espressamente le modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive e all’imposta sul valore aggiunto, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 136;
sul punto, questa Corte ha quindi costantemente affermato che il contribuente può modificare l’originaria richiesta di rimborso, optando per la compensazione del credito, solamente, ai sensi del d.lgs. n. 241 del 1997, art. 17, entro l’anno successivo alla maturazione del credito medesimo, in quanto il principio di alternatività tra rimborso e detrazione esclude l’illimitata possibilità di revoca della scelta del rimborso, originariamente effettuata, che si porrebbe altresì in contrasto con l’obbligo, previsto dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, di portare l’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, al fine di rendere conoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento (Cass. Civ., 5 settembre 2019, n. 22202; Cass. Civ., 2 luglio 2014, n. 15180; Cass. Civ., 3 marzo 2017, n. 5387);
si è, altresì, precisato che il sistema fiscale è regolato da tassativi adempimenti di tipo formale e sostanziale, che rispondono alla esigenza di consentire ed agevolare le verifiche e gli accertamenti del Fisco, nonché di garantire il controllo dei flussi delle entrate fiscali. Infatti, fatto salvo il principio fondamentale comunitario della neutralità della IVA, che garantisce al soggetto passivo di portare in detrazione da quella assolta sulle operazioni attive l’imposta corrisposta in rivalsa sulle altre passive, e fatto salvo il principio per cui eventuali errori di fatto o diritto non possono risolversi nel far gravare sul contribuente un onere fiscale maggiore di quello che legittimamente è tenuto a sopportare, tuttavia le predette esigenze pubblicistiche verrebbero ad essere compromesse ove i contribuenti stessi fossero liberamente facoltizzati a reiterate modifiche, per ragioni di convenienza od opportunità, delle scelte cui la legge li autorizza in funzione della rapida definizione e certezza dei rapporti giuridici tributari, essendo quindi necessario che si provveda alla formale revoca dell’originaria richiesta di rimborso (Cass. Civ., 23 novembre 2015, n. 23891);
tale orientamento neppure può ritenersi incompatibile con il diritto unionale poiché la stessa “possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA senza alcuna limitazione temporale contrasterebbe col principio della certezza del diritto” (Corte di Giustizia, sentenza 21 marzo 2018, in C-533/16, Volkswagen AG, par. 46);
non era, quindi, precluso all’Agenzia delle entrate di contestare, tenuto conto del periodo temporale di riferimento della presente controversia, riconducibile nell’ambito di applicazione della previsione di cui all’art. 2, d.P.R. n. 322/1988, nel testo in vigore prima della modifica apportata dall’art. 7, comma 2, lett. i), decreto- legge n. 70/2011, che ha aggiunto l’art. 2, comma 8ter), il non corretto esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva da parte del contribuente che aveva già esercitato il diritto al rimborso per l’anno di imposta precedente ed abbia inteso, invece, avvalersi di un diverso regime per il recupero del credito, portando in detrazione il credito nell’annualità successiva;
l’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del primo motivo;
in conclusione, è fondato il secondo motivo ricorso, assorbito il primo, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza censurata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito rigettando il ricorso originario del contribuente con condanna del medesimo al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, compensate quelle dei giudizi di merito, in favore della ricorrente e di R.S. s.p.a.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza censurata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente;
compensa le spese di lite dei giudizi di merito e condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della ricorrente e di R.S. s.p.a. che si liquidano in complessive euro 5.600,00 per ciascuna, nonché delle spese prenotate a debito in favore della ricorrente e di euro 200,00 per esborsi e delle spese forfettarie nella misura del quindici per cento ed accessori di legge in favore di R.S. s.p.a.
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