CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 aprile 2021, n. 10168
Tributi – Accertamento catastale – Struttura golfistica con molte strutture annesse – Determinazione della rendita. – Contenzioso tributario – Procedimento – Liquidazione spese di soccombenza – Causa con valore indeterminato
Premesso che
1. con la sentenza in epigrafe, la CTR della Lombardia ha respinto l’appello proposto dalla spa G.F. avverso la decisione di primo grado con la quale il ricorso della società contro l’avviso di accertamento catastale emesso dall’Agenzia delle Entrate riguardo ad una “struttura golfistica con molte strutture annesse”, era stato accolto soltanto per la parte relativa all’entità del valore del bene con riduzione del “valore a buca” ossia “del costo di costruzione, esclusi gli altri oneri, quali il costo dell’area del lotto e altri annessi”, dalla somma stimata dall’Agenzia in €128.000,00 a €110.000,00. La CTR ha poi condannato la contribuente “alla refusione delle spese processuali liquidate in € 30.000,00”;
2. la contribuente ricorre per la cassazione della sentenza della CTR sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;
3.I’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese;
considerato che
1. con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 28, comma 1, d.P.R. 1142/1949 e del punto 5 della circolare n. 6/2012. La contribuente lamenta che la CTR ha ritenuto legittimo l’avviso malgrado lo stesso fosse fondato sulla errata applicazione del primo comma dell’art. 28 del d.P.R. 1142/1949 per avere l’Agenzia calcolato la rendita addizionando al valore venale dell’unità immobiliare oggetto di accertamento il valore dell’area su cui l’unità insiste;
2. il motivo è infondato. Si legge nella sentenza impugnata (pagina 3) che la CTR ha considerato “ben motivato” l’avviso, posto che dalla relativa motivazione emergeva che l’ufficio aveva “attribuito al campo da golf un valore di 128.000 per buca … oltre al valore dell’area pavimentata chiosco, servizi piscine ed il lotto di mq 612.000 …”. Si legge ancora (pagina 4) che la CTR ha “nel merito” considerato “l’operato dell’ufficio legittimo e fondato sulla formula estimale esplicata dall’ufficio. Da ciò è derivata la correttezza delle determinazione del valore a buca pari a 110.000 anziché pari a 128.000,00 relativamente al solo costo di costruzione, esclusi altri oneri, quali il costo dell’area del lotto per un valore totale di € 3.060.000,00 …”. Si legge infine (pagine 4 e 5) che la CTR “ritiene equo e soprattutto dimostrato l’operato dell’ufficio in base alla documentazione versata in causa … operando in conformità alla circolare 6/2012 … l’ufficio ha adottato la procedura secondo cui la stima è stata effettuata con il metodo del valore di riproduzione deprezzato che rappresenta il costo che sarebbe necessario sopportate all’epoca censuaria per riprodurre un immobile simile a quello oggetto di stima … Quindi il valore del campo da golf era dato dal costo di sistemazione delle aree esterne senza considerare le superfici coperte, oltre agli onorari professionali, agli oneri di urbanizzazione, alle spese generali, agli oneri finanziari ed all’utile del promotore ed al costo dell’area … il valore di acquisto dell’area è quello di acquisto del lotto senza il quale verrebbe meno la realizzazione della struttura. Il valore … non è ricompreso nel costo di costruzione pertanto è stimato ma non va scomputato dal valore di costruzione del campo da golf. La CTR ha dunque affermato che la rendita della “struttura golfistica” è stata determinata non, come assume la contribuente, ai sensi dell’art. 28, comma 1, del d.P.R. 1142/1949 (“Il capitale fondiario è costituito dal valore venale della unità immobiliare all’epoca censuaria stabilita per legge. Esso si determina di regola tenendo presenti i prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe”. Per chiarezza va richiamato il precedente art. 27 secondo cui “Per le unità immobiliari per le quali nella zona censuaria la locazione non esista o abbia carattere di eccezione, la rendita catastale si determina aggiungendo alla rendita fondiaria, calcolata come interesse del capitale fondiario, le spese relative alla imposta fabbricati, alle relative sovraimposte ed ai contributi di ogni specie”), bensì con riguardo al costo di ricostruzione ossia ai sensi dell’art.28, comma 2, del citato d.P.R. (secondo cui il valore venale dell’immobile oggetto di accertamento, quando non ne risulti possibile la determinazione ai sensi del comma 1, viene determinato “…con riguardo al costo di ricostruzione, applicando su questo un adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari”). La violazione di legge dedotta con il motivo in esame non sussiste;
3. con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione 112 c.p.c. La contribuente sostiene che l’Agenzia, costituendosi in primo grado, avrebbe introdotto nel giudizio fatti nuovi rispetto a quelli su cui l’avviso sarebbe stato basato e precisamente (gli) elementi utili alla determinazione della rendita secondo il criterio di cui al comma 2 dell’art.28 del d.P.R. 1142/1949, che essa contribuente, a seguito della sfavorevole decisione della CTP, aveva reiterato la contestazione espressa nel ricorso originario secondo cui il valore dell’area non avrebbe dovuto essere tenuto in conto. Sostiene che la sentenza della CTR sia “viziata da ultrapetizione nel capo che ha rigettato la domanda di [essa] contribuente assumendo come parametro di valutazione gli elementi previsti dall’art.28, comma 2 del d.P.R. 1142/1949”;
4. il motivo è infondato. Ai sensi dell’art.112 c.p.c., “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti“. Il vizio di ultra petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti della domanda o su eccezioni riservate alle parti e da queste non proposte. Nel grado di appello il vizio sussiste se il giudice travalica i limiti del “devolutum” estendendo le proprie statuizioni a questioni (non rilevabili d’ufficio in ogni stato a grado del processo) che non siano comprese nel quadro definito dai motivi d’impugnazione. Ciò posto, dalle stesse deduzioni della contribuente emerge che la CTR non è incorsa nella violazione dell’art.112 c.p.c.;
5. con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 91 c.p.c., 15 d.lgs. 546/92 e 5 d.m. 55/2014 per avere la CTR “liquidato le spese di soccombenza della fase di appello in 630.000,00 laddove la causa ha un valore indeterminato ed in applicazione degli artt. 2 e 5 del d.m. citato e del n. 24 della tabella allegata al medesimo d.m., le spese di soccombenza avrebbero dovuto essere liquidate in € 7.852,94”. La contribuente deduce che, in primo grado, l’ufficio aveva depositato una “nota spese di € 5.087,60 richiamando il n. 23 della tabella e facendo riferimento allo scaglione tra € 26.000,00 e 652.000,00, oltre il rimborso forfetario di 15% nonché una riduzione del 20%”;
6. il motivo è fondato e va accolto. Il quadro normativo di riferimento è dato dal comma 2 sexies, art.15 d.lgs.31 dicembre 1992, n.546 (“Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore … se assistito da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto“) e dal d.m.10 marzo 2014, n.55 (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n.247”), applicabile ratione temporis.
La determinazione dei compensi costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tabella, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità. Nel caso di specie, la CTR ha immotivatamente liquidato la somma di €30.000,00, eccedente i limiti della tabella di cui al d.m. 55/2014. Il compenso liquidabile, nel massimo (al quale la ricorrente stessa fa riferimento), in rapporto al valore della controversia, era infatti pari a €6675,00: €1995,00 per la fase di studio della controversia, €1010,00 per la fase introduttiva, €1350,00 per la fase di trattazione, €2.360,00 per la fase decisionale. Su questo importo doveva essere apportata la riduzione del 20% di cui al comma 2 sexies, art. 15 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546;
7. in relazione al motivo accolto la sentenza deve essere cassata;
8. poiché la liquidazione delle spese del grado di appello non richiede accertamenti in fatto è possibile decidere nel merito liquidando tali spese nella misura di cui al superiore punto 6;
9. le spese del giudizio di legittimità sono compensate per reciproca soccombenza;
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decide nel merito liquidando le spese del giudizio di appello come in motivazione; compensa le spese del giudizio di legittimità.
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