CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 marzo 2022, n. 8567
Appalto di servizio – Accertamento simulazione – Configurabilità di appalto genuino – Insussistenza degli indici di somministrazione e di parasubordinazione – Certificazione del contratto
Rilevato che
Con sentenza n. 488 del 29 marzo 2018, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da C. T. nei confronti del Circolo Tennis di L. avente ad oggetto l’accertamento della simulazione del contratto di appalto di servizio – concernente la manutenzione ordinaria, la pulizia e la custodia dell’impianto sportivo -;
aveva richiesto, al riguardo, il ricorrente il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ovvero di collaborazione coordinata e continuativa ed il ripristino del rapporto di lavoro, nonché la condanna alla corresponsione di una indennità risarcitoria oltre che delle retribuzioni ovvero, nell’ipotesi di accertamento dell’esistenza di un valido rapporto di lavoro a progetto, la condanna dell’Associazione al pagamento della somma di curo 28.630,53 ex art. 61 D.lgs. 276/03;
la Corte, in particolare, ha ritenuto sussistere una ipotesi di assunzione da parte dell’appaltatore del rischio d’impresa e l’inconfigurabilità di una fattispecie di somministrazione proprio alla luce dell’organizzazione di mezzi necessari e per l’assunzione del rischio da parte del T. e nonostante il parziale uso, che ha ritenuto compatibile con un appalto genuino, di mezzi di proprietà del committente;
per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, C.T., affidandolo a quattro motivi;
resiste, con controricorso, il Circolo Tennis L. in persona del legale rappresentante pro tempore.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sul secondo motivo di appello sulla differenza fra contratto d’appalto e contratto di prestazione d’opera, nonché violazione degli artt. 1655 e segg. e 2222 e seg. cod. civ.;
con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost. nonché Violazione e falsa applicazione dell’art. 409 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 61 e 69 D. Lgs. n. 276 del 2003;
con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per omessa pronuncia e ancora falsa applicazione degli artt. 69 ‘e 69 bis’ D. Lgs. n. 276 del 2003;
con il quarto motivo si denunzia violazione,. e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. c111 Cost. nonché 2094 cod. civ.;
tutti e quattro i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico — sistematiche, non possono trovare accoglimento;
quanto alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., va premesso che, perché possa parlarsi di omessa pronuncia, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cfr., ex plurimis; -Cass. n. 5730 del 03/03/2020) occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile pér la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti;
in modo non dissimile, con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 132-cod.proc. cív., contenuta nel secondo e nel quarto motivo, deve osservarsi che questa Corte ha affermato che in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020);
– d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che-la stessa, più – se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta della norma che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020);
orbene, è evidente, dall’esame complessivo delle censure che le stesse criticano in vario modo e sotto diversi profili, con censure intrise di circostanze fattuali, l’iter motivazionale del giudice di secondo grado che ha condotto lo stesso a reputare non configurabile un appalto non genuino e sussistente,invece, un regolare contratto di appalto, del tutto privo dei caratteri della somministrazione di lavoro e della parasubordinazione;
in particolare, la Corte ha escluso che ci si trovasse di fronte ad un appalto non genuino, indagando sul complessivo comportamento dell’appaltatore che, secondo quanto ricostruito sulla base delle risultanze probatorie, non si e limitato ad inviare propri dipendenti presso l’azienda committente per svolgere qualsivoglia attività lavorativa, ma ha organizzato con i propri mezzi e con l’assunzione su di sé del rischio d’impresa l’attività commissionata;
il giudice di secondo grado ha evidenziato < al riguardo, come non fosse determinante in senso contrario l’utilizzazione – quasi integrale – di attrezzature dell’appaltante nonché l’utilizzazione di una propria dipendente – pacificamente da lui eterodiretta – non potendo escludersi che la ratio di tale scelta fosse da attribuirsi nella garanzia della qualità e delle caratteristiche del servizio espletato;
nell’escludere d’altronde- qualsiasi elemento della somministrazione, ovvero della parasubordinazione, e vieppiù della subordinazione, la Corte ha altresì valorizzato la circostanza, pacifica fra le parti, della stipula del contratto con l’assistenza di -difensori delle medesime evidenziando come entrambe le parti – compreso il ricorrente che ne ha poi contestato la natura — abbiano avanzato) riguardo al contratto in questione istanza di certificazione del medesimo;
la Corte ha peraltro analizzato il contenuto della richiesta avendo dichiarato il T. in tale istanza: a) che l’organizzazione dei mezzi necessari alla realizzazione dell’appalto competeva alla sua ditta, b) Che avrebbe utilizzato un operaio per l’esecuzione dell’appalto; c) che aveva la capacità tecnica per svolgere in autonomia i lavori appaltati, esercendo tale attività per diversi committenti, d) di aver pattuito un corrispettivo indipendente dalle ore di lavoro necessarie e dal numero di lavorato utilizzati, avendo adempiuto agli obblighi di legge in merito alle norme di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro deve, quindi, ritenersi che, a fronte di tale motivazione ed alla luce delle censure, intrise di circostanze fattuali, si chiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda, e che, quindi, parte ricorrente noi i si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex art. 360 co. 1 nn.3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 — bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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