CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2020, n. 22498
Tributi – IRES – Cessione di ramo d’azienda – Rettifica corrispettivo sulla base di accertamento di adesione del cessionario ai fini dell’imposta di registro – Illegittimità
Rilevato che
La B. S.p.a. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 3253/05/2015, depositata il 14.07.2015 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva rigettato il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione ai fini Ires – per anno d’imposta 2006 – la plusvalenza realizzata e non dichiarata dalla cessione di un ramo d’azienda.
La ricorrente, consolidante della T. s.p.a., ha riferito che a seguito della cessione a terzi di ramo d’azienda da parte della consolidata, l’Agenzia delle entrate aveva rettificato la plusvalenza dichiarata dalla cedente, oggetto di dichiarazione nel Mod. CNM 2007 presentato dalla consolidante e relativo al periodo d’imposta 2006.
La rettifica trovava fondamento, secondo la prospettazione dell’Ufficio, nella nell’accertamento con adesione, cui la cessionaria era pervenuta con l’Amministrazione finanziaria ai fini dell’imposta di registro.
Pertanto, ai fini della determinazione della plusvalenza conseguita dalla cedente, l’Agenzia aveva rettificato il corrispettivo di cessione del ramo d’azienda al medesimo valore definito con il cessionario per l’imposta di registro.
Era seguito il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano con il rigetto del ricorso della società (sentenza n. 4168/24/2014). La Commissione tributaria regionale, con la sentenza ora impugnata, ha confermato la decisione del giudice di primo grado. Il giudice regionale ha ritenuto che la diversa determinazione del valore del bene ceduto ai fini dell’imposta di registro spiega effetti sulla determinazione della plusvalenza ai fini delle imposte dirette.
La società ha censurato la sentenza dolendosi della violazione degli artt. 58, 68, 85 e 86 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dell’art. 5, comma 3, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, per l’erronea applicazione della disciplina in materia, avendo ritenuto incidente sulla determinazione della plusvalenza conseguita dalla cessione di un ramo d’azienda il valore accertato o dichiarato ai fini della liquidazione dell’imposta di registro sulla medesima operazione, senza tener conto della diversità di calcolo e della diversa natura delle due imposte.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni conseguente determinazione.
L’Agenzia si è costituita al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione.
Comunicata l’adunanza camerale, la ricorrente ha depositato tempestivamente memoria ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c.
Considerato che
Il motivo di ricorso è fondato e trova accoglimento.
La società sostiene che il giudice regionale erroneamente ha ritenuto che la plusvalenza conseguita dalla cessione del ramo d’azienda potesse essere accertata sulla base della mera trasposizione dei valori definiti ai fini dell’imposta di registro. Ha rappresentato la propria estraneità al procedimento di determinazione del valore del bene per l’imposta di registro, e ha sostenuto che l’intenzione del cessionario di definire con l’Ufficio il rapporto giuridico d’imposta non poteva riflettersi sulla determinazione del corrispettivo dell’operazione ai fini dell’accertamento della plusvalenza. Ha evidenziato che una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con quanto ormai previsto dell’art. 5, comma 3, d.lgs. 22 settembre 2015, n. 147.
Le argomentazioni della ricorrente ripercorrono l’orientamento interpretativo della disciplina, secondo quanto dispone l’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015, in forza del quale <<Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
A seguito dell’intervento legislativo, la cui norma costituisce interpretazione autentica della previgente disciplina con efficacia dunque retroattiva, questa Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (cfr. Cass., nn. 9513 del 2018; 19227 del 2017; 12265 del 2017; 6135 del 2016; 11543 del 2016).
È necessario invece che l’Ufficio individui ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, che a sua volta, ove voglia contestare le determinazioni dell’Amministrazione finanziaria, è gravato della prova contraria (Cass., n. 12131 del 2019).
L’interpretazione autentica della disciplina, laddove è previsto che il maggior corrispettivo ai fini dell’imposta di registro sia stato <<dichiarato, accertato o definito>>, va intesa nel senso della irrilevanza della sua determinazione non solo in sede di accertamento, ma anche in occasione di qualunque modalità di definizione.
Ebbene, la motivazione della sentenza del giudice regionale non ha tenuto conto della diversa natura delle due imposte e del diverso meccanismo di determinazione del valore del bene ceduto, senza che possa sovrapporsi il valore determinato ai fini della determinazione dell’imposta di registro con la valutazione del corrispettivo ai fini dell’accertamento della plusvalenza, diversità poi definitivamente riconosciuta dall’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015, norma di interpretazione autentica.
La sentenza va pertanto cassata e il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, deciderà il merito tenendo conto del principio di diritto somministrato.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la decisione e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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