CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 febbraio 2021, n. 4137
Tributi – IRPEF – Accertamento – Plusvalenza da cessione di terreni con destinazione agricola ma a vocazione edificatoria – Rivalutazione ex art. 7, L. n. 448 del 2001 – Carenze formali nella perizia di stima – Inefficacia della procedura di rivalutazione – Esclusione
Rilevato che
F.V. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 5116/2013, depositata il 18.01.2013 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, con cui era stato in parte accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia di primo grado, che aveva annullato l’avviso di accertamento in forza del quale, evidenziandosi plusvalenze relative all’anno 2004 non dichiarate dalla contribuente, era stato rideterminato il reddito ai fini Irpef, con conseguenti maggiori imposte e comminazione di sanzioni. Il giudice regionale aveva annullato le sanzioni, riconoscendo invece il maggior reddito accertato, pari ad € 2.132.338,00.
La ricorrente ha riferito di aver acquistato nel 2000 terreni a destinazione agricola per il corrispettivo di € 413.165,52. Aveva successivamente provveduto alla rideterminazione del valore del cespite acquistato, corrispondendo l’imposta sostitutiva del 4% (nella misura di € 88.000,00) prevista dall’art. 7 della I. 28 dicembre 2001, n. 448. Al nuovo valore, determinato in € 2.200.000,00 alla data del 1° gennaio 2002, era pervenuta mediante perizia giurata di stima, come previsto dalla predetta disciplina. Poiché l’art. 2 del d.l. 24 dicembre 2002, n. 289, e l’art. 6 bis del d.l. 24 dicembre 2003, consentivano di adeguare all’1 luglio 2003 il valore dei terreni, aveva commissionato altra perizia di stima, asseverata il 3 giugno 2004, che aveva rideterminato in € 2.600.000,00 il valore dei cespiti immobiliari. A tal fine la contribuente aveva versato l’importo di € 104.826,98 a titolo di imposta sostitutiva, richiedendo peraltro il rimborso di quanto versato in occasione della prima stima e rivalutazione. Al corrispettivo di € 2.600.000,00 aveva quindi ceduto i terreni con atto notarile del 27 luglio 2004, in cui si dava atto dell’integrale assolvimento degli oneri fiscali derivanti dalla plusvalenza conseguita.
Tuttavia in data 30 dicembre 2009 alla F. era stato notificato avviso di accertamento, con cui l’Amministrazione finanziaria le contestava plusvalenze non dichiarate, rideterminando dunque l’imponibile e chiedendo il versamento di € 955.039,00 a titolo di irpef, oltre addizionali regionali e comunali, nonché di € 989.308,00 a titolo di sanzioni. A fondamento dell’atto impositivo l’Agenzia delle entrate aveva asserito che dalle verifiche eseguite erano emerse irregolarità nella seconda perizia di stima, carente della espressa indicazione del valore del cespite luglio 2003, e di ogni riferimento alla disciplina sull’imposta sostitutiva.
L’Amministrazione finanziaria pertanto aveva ritenuto che le carenze formali della perizia avessero investito la sua efficacia giuridica e dunque l’intero procedimento regolato dalla I. 448 del 2001 e dalle successive modifiche, così che la cessione dei terreni aveva prodotto le plusvalenze contestate, senza che neppure potesse riconoscersi la reviviscenza degli effetti giuridici della precedente perizia.
La contribuente, che contestava il fondamento dell’atto impositivo, aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Treviso. Con sentenza n. 103/02/2010 il giudice di primo grado aveva accolto le ragioni della ricorrente. Nel successivo grado d’appello la Commissione regionale, con la decisione ora impugnata, aveva invece riconosciuto la fondatezza dell’atto impositivo, ad eccezione delle sanzioni. Il giudice d’appello ha ritenuto che la perizia di stima mancasse dei requisiti (indicazione della data a cui fa riferimento la stima attribuita dal perito, indicazione della disciplina normativa o della funzione per la quale la stima è stata elaborata). Quanto invece alle sanzioni ha escluso la colpa della contribuente, valorizzando la sua buona fede.
La F. ha censurato la sentenza per quanto soccombente, affidandosi a tredici motivi:
con il primo per motivazione insufficiente in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per aver erroneamente escluso l’esistenza di elementi che consentissero di riferire la seconda perizia di stima alla data dell’1 luglio 2003;
con il secondo per omessa motivazione circa un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto che dall’istanza di rimborso relativa alla prima stima e al primo pagamento emergeva che la seconda rideterminazione di valore fosse riferita alla data dell’i luglio 2003;
con il terzo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per aver escluso che la seconda rideterminazicine del valore dei terreni fosse riferibile alla data dell’i luglio 2003;
con il quarto per falsa applicazione dell’art. 7, della l. n. 448 del 2001, dell’art. 2 del d.l. n. 282 del 2002, dell’art. 6 bis del d.l. 355 del 2003, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., per aver erroneamente attribuito natura agevolativa alla disciplina regolante il procedimento di stima e di versamento dell’imposta sostitutiva (in luogo della tassazione separata delle plusvalenze) e per aver erroneamente ritenuto che la perizia dovesse contenere un espresso riferimento alla data di stima dei terreni;
con il quinto per falsa applicazione dell’art. 7, della l. n. 448 del 2001, dell’art. 2 del d.l. n. 282 del 2002, dell’art. 6 bis del d.l. 355 del 2003, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., per aver escluso erroneamente che il mancato perfezionamento della procedura di rideterminazione del valore dei terreni doveva comunque comportare la reviviscenza della prima;
con il sesto per falsa applicazione dell’art. 10, I. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto del principio di tutela dell’affidamento, ingenerato nel contribuente dal comportamento concludente dell’Amministrazione finanziaria, che aveva vagliato la richiesta di rimborso dell’imposta sostitutiva versata con la prima pratica di stima dei terreni;
con il settimo per insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per non aver illustrato il contenuto del concetto di affidamento nell’escludere la violazione del suddetto principio da parte dell’Agenzia delle entrate;
con l’ottavo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in ordine alla condotta che l’Amministrazione è obbligata a tenere per la tutela dell’affidamento;
con il nono per falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto che l’Ufficio finanziario doveva informare la contribuente di una situazione potenzialmente pregiudizievole;
con il decimo per insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per non aver illustrato il concetto di “dovere di collaborazione” dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 6, comma 2, I. 212 del 2000;
con l’undicesimo per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in merito al dovere di collaborazione dell’Ufficio che deve comunicare al contribuente le circostanze pregiudizievoli;
con il dodicesimo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi di impugnazione;
con il tredicesimo per nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sull’eccezione di passaggio in giudicato delle statuizioni del giudice di primo grado in ordine alla efficacia giuridica della perizia ai fini degli effetti previsti dalla l. n. 448 del 2001 e delle norme successive.
Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con decisione nel merito o con rinvio, per la parte in cui era stato riconosciuto il fondamento delle ragioni impositive dell’Ufficio.
Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza dei motivi di ricorso, chiedendone il rigetto.
Con ricorso autonomo l’Amministrazione finanziaria ha a sua volta impugnato la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto relativamente alla statuizione concernente le sanzioni comminate nei confronti della contribuente e annullate dalla decisione. Ciò ha fatto affidandosi a due motivi.
Con il primo per violazione dell’art. 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per aver erroneamente escluso la colpevolezza, senza tener conto che pur in assenza di dolo è sufficiente la colpa al fine della irrogazione delle sanzioni; con il secondo per nullità della sentenza, per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 350, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., perché, nell’ipotesi in cui debba intendersi che il giudice d’appello abbia escluso anche la colpa, la decisione è viziata da motivazione apparente.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.
Si è costituita la contribuente, che ha contestato le ragioni di ricorso dell’Ufficio, chiedendone il rigetto. Ha inoltre introdotto ricorso incidentale, sulla base di tredici motivi, sovrapponibili a quelli del proprio ricorso principale.
La causa è stata trattata nell’adunanza camerale del 6 ottobre 2020 ed all’esito decisa. La contribuente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che
L’oggetto della controversia verte sulla contestazione di plusvalenze, ex art. 67, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, derivanti dalla cessione di terreni con destinazione agricola ma a vocazione edificatoria, non dichiarate dalla contribuente nell’anno d’imposta 2004. Le conclusioni cui l’Ufficio finanziario perviene si fondano sulla circostanza che, pur avendo provveduto la F. al pagamento dell’imposta sostitutiva del 4%, secondo la disciplina dell’art. 7, l. n. 448 del 2001 e successivi interventi legislativi (con cui la procedura è stata estesa a coloro che risultavano proprietari dei terreni alla data dell’1 luglio 2003), le carenze formali della perizia di stima, prevista dalla normativa per la determinazione del valore dei cespiti immobiliari unitamente al versamento dell’imposta sostitutiva, non avrebbero consentito il perfezionamento della procedura. Con la conseguenza che il pagamento sarebbe stato considerato come non avvenuto agli effetti dell’assolvimento degli obblighi fiscali derivanti dal conseguimento di una plusvalenza.
Le pretese erariali, fondate dunque sull’inefficacia giudica della perizia di stima affetta da carenze formali, sono contestate dalla contribuente con i motivi che vanno ora esaminati.
I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente per essere tra loro connessi. La difesa della F. censura la sentenza, sotto il profilo del vizio di motivazione, con i primi due sull’assunto che alle controversie tributarie non trovi applicazione la formulazione dell’art. 360, primo comma n. 5, come modificata dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modificazioni in I. 7 agosto 2012, n. 134; con il terzo per l’ipotesi in cui sì consideri invece applicabile la nuova formulazione. In sintesi, sotto il profilo dell’insufficienza e dell’omessa motivazione (primi due motivi), ci si duole delle erronee argomentazioni con le quali il giudice d’appello ha escluso l’esistenza di elementi atti a riferire la seconda perizia di stima alla data dell’i luglio 2003. Si censura inoltre la decisione per non aver valorizzato l’istanza di rimborso delle imposte versate in occasione della prima stima e del primo pagamento, che invece doveva costituire indice rivelatore della riferibilità alla data dell’i luglio 2003 della seconda rideterminazione.
Premesso che la sentenza è stata depositata il 18 gennaio 2013, i due motivi sono inammissibili perché, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, anche alle controversie tributarie trova applicazione la nuova formulazione del vizio di motivazione (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, secondo cui le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l’art. 54, comma 3-bis, del d.l. n. 83 del 2012, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario” si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito).
È tuttavia inammissibile anche il terzo motivo, con cui la ricorrente lamenta che l’esclusione della riferibilità alla data dell’i luglio 2003 della stima dei terreni contenuta nella seconda perizia sia stata frutto di un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Questa Corte ha evidenziato che con la nuova formulazione dell’art. 360, n. 5 cit. lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. E pertanto anche l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415). Ebbene, il terzo motivo, che invoca valutazioni di prove decisive e “regole d’esperienza” per l’apprezzamento delle prove, esula del tutto dalla perimetrazione del nuovo vizio motivazionale. Le censure mosse alla sentenza infatti solo apparentemente denunciano l’omesso esame di un fatto, ma in realtà attingono l’intero ragionamento della Commissione tributaria, cioè il suo argomentare logico, sicché la denuncia del vizio esula dai limiti d’indagine del giudice di legittimità.
Per le medesime ragioni sono inammissibili i motivi settimo, ottavo, decimo e undicesimo, i primi due relativi alla trattazione in sentenza del concetto di “affidamento”, il terzo e il quarto afferenti la trattazione del concetto di collaborazione e di informazione cui è tenuta l’Amministrazione finanziaria nei riguardi del contribuente.
Esaminando ora il quarto motivo di ricorso, con esso, sotto il profilo dell’errore di diritto, viene censurata la falsa applicazione della disciplina introdotta prima con l. 448 del 2001 e poi con i successivi interventi del 2002 e del 2003. In particolare si lamenta che il giudice d’appello erroneamente avrebbe attribuito natura agevolativa alla disciplina regolante il procedimento di stima e di versamento dell’imposta sostitutiva (in luogo della tassazione separata delle plusvalenze) e, dalla conseguente esigenza di interpretazione restrittiva della disciplina qualificata come agevolativa, altrettanto erroneamente avrebbe ritenuto che la perizia dovesse contenere un espresso riferimento alla data di stima dei terreni, facendone discendere in caso contrario la sua inefficacia giuridica. Di contro, afferma la difesa della contribuente, la scelta dell’accesso alla procedura di determinazione e versamento di una imposta sostitutiva non va ascritta a norme agevolative o eccezionali, e comunque, ancorché sia questa la sua natura, mancano nella normativa prescrizioni che impongono l’esplicitazione in perizia della data a cui deve riferirsi la stima.
Il motivo è fondato per le ragioni appresso specificate.
Intanto è utile evidenziare che la sentenza impugnata ha condiviso l’impostazione dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui la perizia era carente di alcuni elementi, quali la specificazione che la stima fosse riferita alla data dell’1 luglio 2003, e la finalità per la quale la perizia era stata redatta. Ha dunque condiviso la necessità dell’esplicitazione formale in perizia della data di stima. Ha peraltro ritenuto che il richiamo alla perizia nell’atto di cessione non avesse alcuna rilevanza probatoria sulla riferibilità della stima luglio 2003. Ha ritenuto che la fattispecie normativa, introducendo un trattamento fiscale agevolativo, non si fosse perfezionata, perché in presenza di aliquota fiscale agevolata rispetto all’ordinario trattamento delle plusvalenze, occorreva compiere interpretazioni di stretto diritto, con conseguente rigorosa valutazione dell’esistenza dei requisiti previsti dalla norma e richiesti quali presupposti di validità ed efficacia del procedimento. Ha inoltre ritenuto che la precedente procedura di stima dei beni alla data dell’i gennaio 2002 fosse ormai revocata, tanto che era stato richiesto il rimborso; ha negato ogni condotta sleale della Amministrazione, che si è limitata a rimborsare quanto pagato in precedenza senza attribuire valore sostitutivo alla seconda perizia rispetto alla prima. Ha concluso affermando che «avendo la contribuente da un lato rinunciato alla agevolazione conseguita a seguito della presentazione della prima perizia, riferita alla data dell’1.1.2002, e non essendosi, d’altro lato, validamente perfezionata la seconda fattispecie agevolativa, non resta che applicare, come correttamente l’Ufficio ha fatto, la normale tassazione sulla plusvalenza conseguita, come risultante dal raffronto fra il valore di vendita e quello dell’originario acquisto.».
Il ragionamento seguito e le conclusioni cui il giudice d’appello perviene violano la corretta applicazione della disciplina, così come i principi giuridici che presidiano la sua interpretazione.
Deve premettersi che il meccanismo di stima del valore dell’immobile, in luogo del calcolo della plusvalenza a partire dal suo costo storico, introdotto con l. n. 448 del 2001, è stato prorogato da una molteplicità di disposizioni legislative, a partire dall’art. 39, comma 14 undecies del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni con la I. 24 novembre 2003, n. 326, e dal d.l. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni in l. 27 febbraio 2004, n. 47, art. 6 bis comma 1, sino all’art. 1, commi 1053-1054, l. 30 dicembre 2018, n. 145. È stato affermato che <<La sostituzione, in luogo del costo o valore di acquisto, del valore così determinato sulla base di una perizia giurata di stima ha, dunque, il vantaggio di affrancare dalle plusvalenze latenti maturate fino all’1.1.2002, in caso di successiva vendita, la base imponibile da assoggettare a tassazione e lo “svantaggio” di imporre al soggetto che si avvale di tale meccanismo il pagamento di un’imposta che sostituisce quella che avrebbe dovuto assolvere solo nel caso dell’insorgenza del presupposto impositivo che, rispetto alle plusvalenze immobiliari, è rappresentato da una fattispecie traslativa a titolo oneroso.» (così, Cass., Sez. U, 31/01/2020, n. 2321). Se di meccanismo agevolativo può senz’altro parlarsi, si tratta di un meccanismo del tutto peculiare. E infatti secondo la ratio della disciplina al contribuente è concesso, in vista di una futura ma non sicura cessione del proprio terreno, di ottenere un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza, pagando in via di anticipazione, ma ad una aliquota inferiore (del 4%), l’imposta sostitutiva; all’Amministrazione invece è data l’opportunità, per evidenti ragioni di cassa, di ricevere un immediato introito fiscale. Il vantaggio per il contribuente è identificabile nella prospettiva di un risparmio d’imposta, in cambio del rischio di non alienare mai quel suolo o di alienarlo ad un prezzo inferiore, tale da perdere in tutto o in parte i benefici del pagamento anticipato dell’imposta sostitutiva; il vantaggio per l’Amministrazione finanziaria sta nell’incassare con certezza ed immediatamente una imposta, in cambio in una aliquota inferiore (cfr. Cass., 31/01/2019, n. 2894). Quello che tuttavia emerge dal meccanismo apprestato dal legislatore è un procedimento scandito da tre momenti: 1) la determinazione del valore del terreno mediante una perizia di stima riferibile al termine di legge (1.1.2002 o le successive date via via indicate nelle norme che hanno prorogato la ricorribilità a tale opzione impositiva); 2) il versamento di una imposta sostitutiva del 4% sul valore stimato in perizia; 3) l’esecuzione del versamento nei termini indicati dalla normativa (Cass., Sez. U, 2321/2020 cit.; Sez. V, 2894/2019, cit.).
Chiarite le funzioni, il sistema e la struttura del procedimento, questa Corte si è ripetutamente soffermata sulla natura del meccanismo, che consente il pagamento di una imposta sostitutiva ad aliquota fissa e generalmente più bassa, su base volontaria, ma totalmente sganciata dal presupposto dell’alienazione o dall’insorgenza degli altri presupposti previsti dall’art. 67 cit. Si è infatti affermato che essa, in quanto frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento del dovuto nella prospettiva di un risparmio in caso di futura cessione, non rientra tra le dichiarazioni di scienza suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabili, salvo che nel caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’art. 1428 c.c. Da ciò ne discende la non rimborsabilità delle somme versate, o l’iscrizione a ruolo di quelle non ancora corrisposte nell’ipotesi di pagamento rateale (Cass., 02/08/2017, n. 19215; 20/12/2016, n. 26317; 10/12/2015, n. 24953; 18/01/2019, n. 1323; 21/02/2020, n. 4659).
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro negato l’obbligo di osservanza di prescrizioni formali al fine della redazione della perizia. Si è affermato che con riferimento alla determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 81 (ora art. 67), lett. a) e b) del d.P.R. n. 917 del 1986, per i terreni edificabili e con destinazione agricola, a norma della l. 448 del 2001 può essere assunto come valore iniziale quello alla data del 1 gennaio 2002 (o delle date indicate nella successiva disciplina) determinato sulla base di una perizia giurata, anche se asseverata in data successiva alla stipulazione, attesa l’assenza di limitazioni poste dalla legge a tal proposito e l’irrilevanza di quanto invece previsto da atti non normativi, come le circolari amministrative (cfr. Cass., 04/12/2014, n. 25721; 30/12/2011, n. 30729 in fattispecie in cui l’imposta sostitutiva era stata determinata sulla base di perizia di stima asseverata dopo la stipula dell’atto di cessione del terreno; 28/09/2016, n. 19242, relativa a fattispecie in cui non era stato indicato nell’atto di vendita dell’immobile il valore del cespite così come rideterminato ai sensi dell’art. 7, l. n. 448 del 2001).
D’altronde si è anche condivisibilmente affermato che la cessione al valore determinato nella perizia, oppure ad un valore diverso dichiarato nell’atto di vendita, non preclude in generale all’Amministrazione di procedere ad accertamento (salvo a tenerne conto ai fini dell’individuazione di una ulteriore plusvalenza maturata al momento della cessione). L’Ufficio infatti conserva il potere di accertare se lo stesso corrisponda o meno alla realtà, in quanto il richiamo dell’applicabilità, a detta perizia, dell’art. 64 cod. proc. civ. non attribuisce a questa la forza di atto pubblico, ma ha l’unico scopo di assoggettare il professionista incaricato dal privato alla responsabilità penale del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, né, del resto, la consulenza tecnica fa pubblica fede dei giudizi e delle valutazioni in essa contenuti (Cass., 6/06/2012, n. 9109; cfr. 2892 del 2019 cit.; 2321/2020 cit.).
Ebbene, dalle considerazioni elaborate sulla natura e sulla struttura dell’istituto, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità che di esso si è occupata, possono trarsi alcune conclusioni.
Innanzitutto l’opzione impositiva offerta dal meccanismo disciplinato dalla I. 448 del 2001, e dalle norme che ne hanno prorogato l’applicabilità, differendo via via il termine, quand’anche in essa voglia riconoscersi una forma di agevolazione (tenendo comunque conto che il meccanismo potrebbe determinare una perdita dell’imposta sostitutiva se il terreno non viene più alienato, per cui, se di fattispecie agevolativa vuol parlarsi, si tratta comunque di una forma di agevolazione peculiare), non impone alcun formalismo. Né possono ricavarsi prescrizioni dalle Circolari dell’Agenzia, cui non può riconoscersi alcuna efficacia vincolante, in quanto atti non normativi. Ciò che deve risultare indispensabile è la redazione di una perizia di stima sul valore del cespite immobiliare alla data indicata nella legge, la determinazione dell’imposta nella misura del 4% del valore determinato in perizia, il versamento (in unica soluzione o in tre rate) della suddetta imposta nel termine di legge. Nessuna disposizione prescrive che la data di stima debba essere specificata formalmente in perizia, a pena di nullità.
Essa invece può dedursi anche da dati esterni, quali in primo luogo la sua utilizzazione nel meccanismo impositivo scelto, o nel suo richiamo nell’atto notarile di cessione, nel quale si dà atto dell’assolvimento dell’imposta al valore determinato in perizia. Senza dimenticare che quel valore può anche essere contestato dall’Ufficio finanziario.
D’altronde occorre tener conto che l’esclusione della natura di dichiarazione di scienza, e di contro il suo inquadramento tra le manifestazioni di volontà irretrattabili, con conseguente inammissibilità della richiesta di rimborso se non nei casi previsti dalla legge -come per l’ipotesi di una nuova stima dei beni e di rinnovato versamento del 4% del nuovo valore a titolo d’imposta sostitutiva-, richiede per ciò stesso che al rimborso di quanto pagato dal contribuente, in occasione della prima perizia di stima, l’Agenzia possa e debba procedere previa verifica della regolarità del rinnovato meccanismo di rivalutazione. Se così non fosse si potrebbe incorrere nell’assurda ipotesi in cui l’Ufficio proceda al rimborso di quanto versato in occasione della prima stima, ritenuta regolare, per poi, se valutata irregolare la seconda, procedere anche al rimborso del versamento eseguito in occasione di quest’ultima, atteso che la sua inefficacia farebbe venir meno il titolo giustificativo del versamento della nuova imposta sostitutiva. Conclusione in contrasto con la irretrattabilità della scelta per tempo attuata dal contribuente e della conseguente esclusione del diritto al rimborso se non nell’ipotesi, legalmente prevista, della rinnovata rivalutazione a mezzo di una seconda perizia di stima.
Vista nell’ottica del contribuente, l’accettazione del secondo versamento da parte dell’Agenzia deve d’altronde implicare un dovere di collaborazione, lealtà e buona fede da parte dell’Ufficio, insinuandosi nel contribuente medesimo la convinzione della regolarità dell’operazione svolta, e dunque del regolare compimento di quanto necessario per affrancarsi, in vista della cessione del cespite, dagli obblighi fiscali conseguenti all’applicazione della disciplina ordinaria sulle plusvalenze. Più in generale, allargando il cono visivo sull’istituto, in ipotesi come quella di specie, in cui l’opzione del contribuente alla fruizione del meccanismo di imposizione sostitutiva trova collocazione nell’alveo delle manifestazioni di volontà irretrattabili, e nella quale l’obbligazione tributaria (al pagamento della predetta imposta) sorge come fattispecie a formazione progressiva, laddove si ritenga che uno degli elementi, la perizia di stima, sia carente in termini di chiarezza formale, potendo tuttavia tale deficit essere colmato dal governo degli altri elementi che nel complesso concorrono alla emersione ed alla identificazione del meccanismo fiscale adottato e dell’operazione economica per la quale quel meccanismo è stato opzionato (versamento dell’imposta nei termini prescritti dalla normativa applicata, atto di cessione del bene stimato nella perizia, che faccia riferimento a quest’ultima), deve superarsi ogni dubbio sulla regolarità del procedimento messo in atto dal contribuente.
Ciò è tanto più necessario allorquando, come nel caso di specie, la condotta successiva dell’Ufficio in occasione della richiesta di rimborso delle imposte versate in riferimento alla prima stima del bene, abbia ingenerato nel contribuente la convinzione della regolarità del procedimento messo in atto.
In conclusione il motivo va accolto.
L’accoglimento del quarto motivo assorbe i restanti e la sentenza va cassata relativamente alle statuizioni assunte dal giudice d’appello sulla rideterminazione del reddito della F. per l’anno d’imposta 2004 e sulle maggiori imposte richieste con l’atto impositivo.
L’accoglimento del ricorso principale della F. comporta poi il rigetto del ricorso dell’Agenzia in ordine all’annullamento delle sanzioni, già disposto dal giudice regionale.
La decisione è da intendersi peraltro esaustiva dei motivi di ricorso formulati dalla contribuente, a titolo di ricorso incidentale, nelll’atto di costituzione avverso il ricorso indicata nella legge, 2) la determinazione dell’imposta nella misura del 4% del valore del terreno indicato in perizia, 3) il versamento (in unica soluzione o in tre rate) della suddetta imposta nel termine di legge. Nessuna disposizione prescrive che la data di stima debba essere specificata formalmente in perizia, a pena di nullità, potendo essa dedursi anche da dati esterni, quali l’opzione dell’assolvimento dell’imposta con aliquota del 4% sul valore determinato in perizia o il suo richiamo nell’atto notarile di cessione, che dia atto dell’assolvimento dell’imposta».
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo del ricorso principale della contribuente; dichiara inammissibili i motivi primo, secondo terzo, settimo, ottavo decimo e undicesimo; assorbiti i restanti. Rigetta il ricorso incidentale dell’Amministrazione finanziaria. Cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, che in diversa composizione regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
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