CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 maggio 2018, n. 12106
Rapporto di lavoro – Incarico di direttore generale – Recesso prima della scadenza naturale del contratto – Indennità – Spettanza
Rilevato
1. che la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado con la quale la N.M. s.r.l. era stata condannata al pagamento in favore di C.B. della somma di € 37.362,11, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, per titoli scaturiti dal rapporto di collaborazione instaurato con la società;
1.1. che, il giudice di appello, per quel che ancora rileva, ha ritenuto: che, secondo anche quanto affermato dal primo giudice, il riferimento nel ricorso introduttivo all’anno 2002 anziché all’anno 2001, quale periodo oggetto delle pretese azionate dal B. era frutto di errore materiale, come riconosciuto alla prima udienza dall’originario ricorrente e come evincibile dal tenore complessivo dell’atto nel quale si indicava l’ottobre 2001 quale data di cessazione del rapporto; era, pertanto, da escludere che nel corso del giudizio di primo grado si fosse verificata una mutatio libelli rispetto all’originario oggetto di domanda; che le emergenze in atti confermavano la esistenza inter partes di un contratto di lavoro in base al quale il B, aveva assunto l’incarico di direttore generale della società N.M. già a partire dall’anno 2000, restando ininfluente che in relazione a tale anno il conferimento dell’incarico non fosse stato formalizzato per iscritto; che il contratto relativo all’anno 2001, stipulato con l’allora amministratore unico della società, era valido, sussistendo in capo a quest’ultimo i necessari poteri rappresentativi della società;che il rapporto si era concluso per effetto del recesso della società prima della scadenza naturale del contratto di talchè al B. spettava la indennità contrattualmente convenuta per tale ipotesi; che la società non aveva offerto alcuna prova certa, idonea a fondare la domanda di risarcimento del danno azionata in via riconvenzionale;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di sette motivi ; che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione ai compensi dell’anno 2001, censurando la decisione per avere ritenuto frutto di errore materiale il riferimento in domanda all’anno 2002 anziché all’anno 2001;
2. che con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 437 cod. proc. civ., censurando la decisione per avere, pur in assenza di domanda, attribuito i compensi richiesti in relazione all’anno 2001, così incorrendo in vizio di ultrapetizione e nella violazione del divieto di novum in appello;
3. che con il terzo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata in relazione all’accertamento relativo all’attività prestata dal B. in epoca antecedente all’anno 2001, che assume priva di riscontri probatori. Si duole, inoltre, della determinazione dei compensi riferita al contratto stipulato per l’anno 2000, determinazione che assume frutto di un’arbitraria trasposizione al periodo precedente delle condizioni contrattuali negoziate nel contratto concluso nell’anno 2001; in questa prospettiva assume il vizio di ultrapetizione della sentenza per avere effettuato d’ ufficio la liquidazione del compenso dovuto per l’anno 2000, pur in assenza di domanda sul punto;
4. che con il quarto motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio rappresentato dalla cessazione del rapporto per effetto delle dimissioni del B. e dalla conseguente non spettanza dell’indennità di recesso, censura l’accertamento del giudice di appello che assume frutto della non corretta valutazione delle deposizioni testimoniali e delle stesse risposte al libero interrogatorio dell’originario ricorrente;
5. che con il quinto motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio attinente al quantum liquidato, censurando la sentenza impugnata per non avere preso in considerazione una serie di eccezioni, formulate con il ricorso in appello, relative all’esigibilità dei crediti del B. ed alla loro quantificazione;
6. che con il motivo denominato in ricorso come motivo “5 bis” deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per l’ipotesi in cui dovesse ritenersi implicita la motivazione di rigetto sulle eccezioni relative al quantum, censurando la sentenza per violazione dell’art. 1372 (per il vincolo nascente dal contratto), dell’art. 2432 cod. civ. “ante riforma” e dell’ art. 1428 cod. civ. per avere attribuito alla società somme di danaro in virtù di una clausola nulla e per non avere tenuto conto della non contestazione da parte del B. dei pagamenti ricevuti;
7. che con il motivo indicato in ricorso come sesto deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il rigetto della domanda riconvenzionale che assume frutto della omessa considerazione delle risultanze documentali e orali ;
8. che il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente omette di trascrivere il contenuto del ricorso introduttivo della cui interpretazione si duole, così incorrendo nella violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, introduttivo di indicare in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo di indicare esattamente nell’atto nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte. (Cass. 12/12/2014 n. 26174);
8.1. che, inoltre, premesso che l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto costituiscono accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice di merito, di talchè in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 27/01/2016 n. 1545; Cass 18/05/2012 n. 7932;) si rileva che, in ogni caso, l’accertamento in questione in ordine all’errore materiale nella redazione del ricorso introduttivo appare sorretto da motivazione congrua e logica specie laddove si consideri la circostanza, sottolineata dal giudice di appello e non specificamente contrastata dall’odierna ricorrente, costituita dalla implausibilità di richieste relative ad un periodo – anno 2002- nel quale, secondo la medesima prospettazione dell’originaria domanda, il rapporto inter partes era ormai cessato;
8.2. che, inoltre, la denunzia del vizio di motivazione non è articolata con modalità conformi all’attuale configurazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ. in quanto non indica, innanzitutto, il fatto storico, oggetto di discussione tra le parti, di rilevanza decisiva il cui omesso esame ha viziato la motivazione (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053);
9. che l’esame del secondo motivo di ricorso è assorbito dal mancato accoglimento del primo motivo;
10 che il terzo motivo di ricorso è inammissibile, per non essere, anche in relazione a tale motivo, la denunzia del vizio di motivazione coerente con il disposto dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente. Come già osservato in relazione al motivo precedente, al fine della valida censura della decisione, in coerenza con la ratio ispiratrice della modifica introdotta dall’art. 54 del d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. in Legge 7/08/2012, n. 134, intesa alla riduzione al minimo costituzionale dell’obbligo di motivazione, si richiede che il ricorso per cassazione indichi il fatto storico oggetto di discussione tra le parti e di rilevanza decisiva, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso (v. per tutte Cass. Sez Un. n. 8053 /2014 cit.). laddove nel caso di specie, il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato asseritamente omesso non risulta neppure indicato dall’odierno ricorrente;
10.1. che, infatti, le doglianze di parte ricorrente sembrano, in realtà, intese a sollecitare un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679; Cass. 16/12/2011 n. 2197; Cass. 21/9/2006 n. 20455; Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 7/2/2004 n. 2357); prima ancora, con specifico riferimento alla questione della misura del compenso relativo all’anno 2000, si evidenzia che parte ricorrente non dimostra mediante l’adeguata esposizione della vicenda processuale e, quindi, delle allegazioni in fatto e delle deduzioni in diritto formulate dalle parti nelle fasi di merito ed in particolare dei motivi di gravame sviluppati nell’atto di appello, che la questione relativa alla entità dei compensi dell’anno 2000, nella misura liquidata dal primo giudice, confermata in seconde cure, aveva costituito oggetto di specifico motivo di gravame;
10.3. che la deduzione di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sviluppata al punto indicato come 3 b) del ricorso per cassazione non è sorretta dall’esposizione del fatto processuale destinata a consentire la verifica, sulla base del solo atto di impugnazione, del vizio di attività ascritto al giudice di secondo grado; che, pertanto, la censura non è articolata con modalità conformi all’insegnamento di questa Corte secondo la quale l’ esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di Corte di Cassazione – copia non ufficiale merito, riconosciuto al giudice di legittimità, ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicché, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appellatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. 08/06/2016 n. 11738; Cass. 30/09/2015 n. 19410);
11. che il quarto motivo è inammissibile perché articolato con modalità non coerenti con l’attuale formulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., mancando la stessa indicazione del fatto storico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione tra le parti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di appello; parte ricorrente si limita, ancora una volta, a sollecitare un diverso apprezzamento del materiale probatorio con particolare riferimento alla prova orale e documentale ed alle dichiarazione rese in sede di libero interrogatorio della controparte, attività, che a prescindere dalle modalità di evocazione di tale prova, non rispettose delle prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (v. Cass. 26174/2014 cit.), è preclusa al giudice di legittimità, secondo quanto già chiarito in precedenza (v. sub 10.1.);
12. che analoga ragione di inammissibilità sussiste in relazione alla denunzia del vizio di motivazione formulata con il quinto motivo. Peraltro, anche a voler ritenere censurata, al di là della denunzia formale, la omessa pronunzia da parte del giudice di appello su una serie di eccezioni attinenti al quantum attribuito, poiché la questione non è stata in alcun modo affrontata nella sentenza di secondo grado costituiva onere dell’odierna ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (v. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540);
13. che quanto da ultimo osservato in relazione al difetto di autosufficienza del quinto motivo assorbe l’esame del sesto, indicato in ricorso come motivo 5 bis ;
14. che parimenti inammissibile è il settimo motivo (indicato in ricorso come sesto) ravvisandosi nella relativa articolazione la violazione del disposto dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. al fine della valida censura della decisione in relazione al rigetto della domanda risarcitoria avanzata in via riconvenzionale della società. E’ ancora da evidenziare che l’accertamento del giudice di secondo grado è contrastato sulla base del riferimento ad una serie di circostanze di fatto, delle quali, in violazione del disposto dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non sono specificate le modalità con le quali le stesse risultano acquisite al processo mancando ogni riferimento agli atti e documenti destinati a suffragarle;
15. che a tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
16. che le spese del giudizio di legittimità sono liquidate secondo soccombenza;
17. che la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dell’Avv. V.M., antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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