CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 febbraio 2021, n. 4273

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Socio accomandatario – Istanza di esdebitazione – Diniego – Irregolarità nella gestione sociale

Rilevato che

Con decreto in data 17-10-2018 la corte d’appello di Bologna ha respinto il reclamo che Massimo F., fallito quale accomandatario della M.A. di F.M. & c. s.a.s., aveva proposto contro il diniego di esdebitazione; ha motivato la decisione osservando che il curatore, nella relazione, aveva evidenziato l’esistenza di numerose irregolarità nella gestione sociale, la difformità dei bilanci rispetto alla reale situazione economica e patrimoniale della società e l’impiego di denaro della società per spese personali dei soci;

la corte d’appello ha soggiunto che tali fatti potevano configurare i reati di bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali e che quindi era da ritenere nella specie non integrato il presupposto dell’art. 142, n. 5, legge fall.;

F. ha proposto ricorso per cassazione; gli intimati non hanno svolto difese; il ricorrente ha depositato una memoria.

Considerato che

I. – il ricorrente deduce in sequenza:

(i) col primo motivo la violazione o falsa applicazione degli artt. 142 e 143 legge fall, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto non comparabile, e quindi irrilevante, il requisito di cui all’art. 142, n. 1, legge fall., relativo alla collaborazione del fallito con gli organi della procedura, con quello della mancanza di fatti distrattivi previsto dall’art. 142, n. 5, così avendo omesso la valutazione della condotta complessiva del debitore; cosa maggiormente grave visto che nessuna certezza esisteva in ordine all’attribuibilità a F. dei fatti distrattivi;

(ii) col secondo motivo la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e l’omesso esame di fatti decisivi, essendo stata posta a base della decisione la presunzione semplice per cui F., quale socio amministratore, avrebbe dovuto provvedere alla regolare tenuta della contabilità;

II. – il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati unitariamente per connessione, è manifestamente infondato e in parte inammissibile;

III. – come la corte d’appello ha rettamente ritenuto, il requisito previsto dall’art. 142, n. 5, legge fall, (il non avere, cioè, “distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito”) non può essere comparato o messo in relazione di minusvalenza con quello della collaborazione col curatore previsto dall’art. 142, n. 1 (l’avere il fallito “cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni”) ;

non può esserlo perché quelle previste dall’art. 142 legge fall, sono condizioni paritetiche, tutte quante necessarie onde pervenire al provvedimento esdebitatorio;

tra queste condizioni rileva giustappunto che il fallito, che ambisce all’esdebitazione, non abbia “distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito”;

IV. – il riferimento alla distrazione dell’attivo non si esaurisce nel concetto penalistico, ma risulta comprensivo di ogni atto o comportamento che abbia determinato, senza giustificazione, la distrazione di uno o più beni dalla garanzia generica dei creditori o la violazione della par condicio; né la norma delimita temporalmente gli atti distrattivi rilevanti, nel senso che il legislatore ha inteso riferirsi agli atti compiuti, sia prima che dopo l’apertura della procedura;

V. – nel caso concreto la corte d’appello ha accertato, in base alla documentazione appositamente menzionata (la relazione del curatore), che nella gestione contabile della società erano state commesse varie irregolarità, con bilanci palesemente falsi, e che “numerose spese personali dei soci” erano state “sostenute con danaro della società”;

a questo proposito ha considerato che “non essendovi prova (..) di una delega alla tenuta della contabilità ad uno dei tre soci, tutti dovevano provvedere alla regolare registrazione contabile, come tutti – e qui indipendentemente da qualsiasi delega – dovevano astenersi dall’utilizzo di disponibilità liquide sociali per soddisfare proprie necessità, se non dopo l’approvazione del rendiconto (..) e comunque solo per utili realmente conseguiti”;

tale complesso di affermazioni – nel riferimento a fatti addebitabili (tra gli altri) anche a F. (perfino indipendentemente dall’essere questi raccomandatario) – integra una valutazione di merito, alla base della quale non sono ravvisabili errori di diritto; invero il secondo motivo di ricorso, col quale se ne contesta la congruità in ragione della natura presuntiva del ragionamento, è inammissibile, visto che si risolve in un generico tentativo di sovvertimento del giudizio sulla prova, non suscettibile di trovare ingresso in sede di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.