CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 agosto 2020, n. 17346
Tributi – Accertamento induttivo – Omessa presentazione dichiarazioni – Comportamento illecito del commercialista – Esclusione della responsabilità del contribuente
Ritenuto che
La società E.B. srl, con sede in Bresso, ricorreva contro cinque avvisi di accertamento, emessi ai sensi dell’art. 41 d.P.R. n. 600 del 1973 ai fini delle imposte dirette ed iva, per le annualità 2001/02, 2002/03 e 2003/04, nonché per gli anni 2002 e 2003 ai fini iva, adducendo che le omesse dichiarazioni dei redditi, da cui erano derivati gli accertamenti induttivi, erano dovute a comportamento illecito del commercialista al quale essa aveva affidato l’incombente della presentazione, consistente anche nell’avere falsificato la ricevuta di presentazione.
La CTP di Milano, riuniti i ricorsi, li rigettava.
La società appellava la sentenza di fronte alla CTR della Lombardia, che rigettava l’impugnazione.
Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la società sulla base di quattro motivi.
Resiste l’ufficio con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione di legge: art. 41 e 38 d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
La CTR ha fatto erronea applicazione delle norme, confermando l’accertamento induttivo, a fronte di quanto provato dalla contribuente, e cioè che la reale situazione dell’azienda rivelava perdite di esercizio e quindi nessun reddito imponibile, come emergeva dalle dichiarazioni predisposte regolarmente e prodotte in giudizio, sebbene le stesse non fossero state presentate a suo tempo per una omissione illecita del commercialista della società.
Il motivo è infondato.
Dalla formulazione dello stesso, invero di non immediata intelligibilità, sembra dedursi che il contribuente lamenti, in sostanza, che l’ufficio non ha tenuto conto che dai dati delle dichiarazioni – prodotte in sede di contraddittorio – sarebbe risultata una perdita in ogni esercizio, seppure lo stesso contribuente riconosca che l’ufficio ha tenuto conto dei costi.
Peraltro, se la doglianza consiste nel fatto che l’ufficio non poteva procedere ad accertamento induttivo, la stessa è infondata. Come già affermato da questa Corte (sez. V, n. 1506 del 2017), se la dichiarazione è omessa (e, nel caso di specie, ai fini delle imposte dirette la circostanza è pacifica) l’ufficio è del tutto legittimato a procedere ai sensi dell’art. 41 d.P.R. 600 del 1973.
Se, invece, il motivo intende lamentare che l’ufficio non ha tenuto conto degli elementi dedotti in contraddittorio che avrebbero condotto a riconoscere la perdita di esercizio, lo stesso non può ugualmente essere accolto, perché in realtà esso stesso riconosce che l’ufficio ha tenuto conto dei costi (e quindi delle ragioni del contribuente), ma ciò non significa che l’ufficio non potesse procedere all’accertamento induttivo, in mancanza di dichiarazione.
Tanto premesso, può anche constatarsi che la motivazione della CTR si potrebbe prestare a qualche rilievo (peraltro non dedotto perché il motivo è ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e non dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), ma il principio che quando manca la dichiarazione l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo è affermato, e questo è corretto. Da ciò consegue il rigetto dello stesso.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del d. Igs. 472 del 1997, art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
La CTR ha errato nel ritenere irrilevanti i fatti relativi al rapporto con il commercialista dell’azienda, che non aveva presentato le dichiarazioni, per quanto lo stesso sia stato rinviato a giudizio in sede penale per tali fatti, per avere consegnato al legale rappresentante della società false ricevute di avvenuta presentazione per via telematica delle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2002, 2003 e 2004, per cui nessuna omessa vigilanza poteva imputarsi alla società.
Il motivo è fondato.
Lo stesso riguarda, in particolare, l’applicazione delle sanzioni, come emerge dal fatto che è stata dedotta la errata applicazione del d. Igs. n. 472 del 1997.
La CTR affronta troppo sbrigativamente la questione, perché, in sostanza, non applica correttamente il principio sulla esenzione dalle sanzioni in favore del contribuente in caso di condotta infedele del commercialista.
La giurisprudenza sulla responsabilità del contribuente per omissioni del professionista, infatti, esprime un principio che si può riassumere citando Sez. VI-5, ord. n. 11832 del 2016, secondo cui il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere in via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento.
La CTR non prende in considerazione questa seconda parte del principio, affermandolo, così, in maniera incompleta, e in sostanza errata.
Questo, oltretutto, in un caso in cui il motivo invoca l’applicazione del principio nella sua completa formulazione alla fattispecie, presentata come integrante l’eccezione alla responsabilità del contribuente, avendo il commercialista fatto uso di mezzo fraudolento, per avere fornito alla società delle ricevute di presentazione della dichiarazione che sono risultate false.
Con il terzo motivo deduce error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4 per omesso esame della domanda proposta in relazione agli avvisi di accertamento emessi per iva 2002 ed iva 2003, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
La CTR non si è pronunciata sulla domanda proposta in relazione alle dichiarazioni iva 2002 e 2003 che erano state presentate, ed in relazione alle quali la società aveva contestato l’applicazione del metodo induttivo.
Il motivo è fondato.
Dall’esame degli atti emerge che il contribuente fin dal primo grado aveva dedotto uno specifico motivo di ricorso relativo alla dichiarazione iva, richiamato in appello. La CTR sull’iva non si è pronunciata, integrando così il vizio dedotto, atteso che non vi è dubbio che questo costituisse autonoma ratio decidendi.
Con il quarto motivo deduce error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 4 per omessa pronuncia in relazione alla domanda subordinata di applicabilità della sanzione unica complessiva.
La CTR non si è pronunciata sulla domanda subordinata di applicazione del cumulo giuridico nella determinazione della sanzione.
Il motivo può ritenersi assorbito dall’accoglimento del secondo, atteso che la questione sull’an debeatur delle sanzioni assorbe logicamente la questione del quantum oggetto del presente motivo.
In conclusione, il secondo ed il terzo motivo devono essere accolti, con assorbimento del quarto.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata, con rinvio della causa alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese.
Deve, invece, essere respinto il primo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quarto motivo di ricorso.
Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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