CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16235
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Indagini bancarie – Maggior reddito
Rilevato che
S.I. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo aveva accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza n. 157/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Teramo, con cui era stato accolto il ricorso proposto avverso di accertamento IRPEF 2000, effettuato con metodo sintetico, sul presupposto che sarebbe stata fornita la prova della legittima provenienza di somme conferite, in conto capitale infruttifero, nella società I. S.r.L.;
S.I. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad cinque motivi;
con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., <<motivazione insufficiente contraddittoria ed erronea>> circa il giudizio, espresso dalla CTR, di inadeguatezza del materiale probatorio fornito dal contribuente;
con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., v violazione e falsa applicazione dell’articolo 61 comma terzo DPR 600/1973 laddove la CTR aveva escluso che i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili potessero provare circostanze omesse in dette scritture o in contrasto con le loro risultanze (conferimenti dei soci alla I. S.r.L.);
con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., <<connessa dichiarazione della parziale cessazione della materia del contendere; ovvero in subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 38 DPR 600/73>> laddove la CTR aveva ritenuto le indagini bancarie <<un supporto probatorio ulteriore rispetto alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto>>;
con il quarto motivo ha denunciato, in via subordinata, ai sensi dell’art. articolo 360, n. 3, cod. proc. civ., <<violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 primo comma n. 2 DPR 600/1973>> laddove la CTR aveva <<avalla(to) la commistione tra accertamento sintetico ed accertamento sulle singole categorie reddituali>>; con il quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. articolo 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma quinto, DPR 600/1973, laddove la CTR aveva ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 38 cit. modificato dal DL 203/2005;
l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale;
il contribuente ha, altresì, illustrato le proprie ragioni con memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
1.1 con riguardo al primo motivo il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o carente esame di punti decisivi, non può, invece, essere prospettato con censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta operata mediante il coordinamento dei vari elementi probatori; tale ricostruzione rimane nell’ambito delle possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con criteri logici, attiene al convincimento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità.
1.2. quanto, poi, al vizio di contraddittoria motivazione, questo presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata;
1.3. nel caso di specie, il ricorrente, prescindendo dai principi di diritto sopra riferiti e dalla circostanza che questa Corte non è un Giudice di merito di terzo grado, lungi dal denunziare errori logici o giuridici posti in essere dai giudici a quibus, nella valutazione del materiale probatorio in atti, si limitata a sollecitare una diversa valutazione di quelle stesse risultanze;
1.4. al riguardo parte ricorrente pone, al centro delle proprie deduzioni, documentazione (indicata come <<situazione patrimoniale>> della I. s.n.c. al 31.12.1999, <<riepilogo delle merci in rimanenza cedute dalla SNC alla SRL>>, <<le attività realizzate dalla SNC negli anni 2000 e 2001>>) che risulta tuttavia esaminata dalla CTR, in quanto ritenuta priva di valore probatorio, trattandosi di annotazioni informali, con natura di dichiarazioni di parte;
1.5. con riguardo inoltre alla pretesa mancata valutazione di elementi probatori (p.v.c. della Guardia di Finanza del luglio 2001, <<contenzioso amministrativo davanti al Ministero del tesoro per violazioni alle disposizioni limitative dell’uso del contante, modifica dello statuto sociale della s.n.c.) va rilevato che, nella specie, la CTR ha ritenuto legittimo l’accertamento eseguito nei confronti del ricorrente valorizzando la mancanza di idonea prova contraria, da parte del contribuente, sul rilievo dell’inidoneità probatoria della documentazione citata al paragrafo 1.4. e della mancanza, nella contabilità ufficiale, di restituzioni effettuate dalla s.n.c. nei confronti dei due soci; si tratta, come è evidente, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile in cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, dovendo rimarcarsi, a riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poiché in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione;
1.6. parimenti inammissibili sono le censure relative alle risultanze delle indagini bancarie, <<utilizzate cumulativamente alle somme ricavate dall’analisi dei finanziamenti>> e ritenute dalla CTR <<elemento rafforzativo della disponibilità di somme non dichiarate>>, laddove il ricorrente lamenta che prelevamenti e versamenti bancari potevano servire unicamente da <<base nell’accertamento per ricostruire ulteriore reddito tassabile>>, senza poter <<comprovare l’esistenza del maggior reddito imponibile>>; trattasi, invero, di deduzioni dirette a contestare, sul piano della motivazione, la soluzione data dal giudice del merito ad una questione di diritto (la correttezza dell’utilizzo delle indagini bancarie in aggiunta agli elementi desumibili dai finanziamenti in favore della S.r.L.), che doveva essere quindi censurato solo ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.;
2.1. è infondato anche il secondo motivo di ricorso, con cui si censura la pretesa erronea applicazione, da parte della CTR, dell’art. 61, comma 3, DPR n. 600/1973 (<<I contribuenti obbligati alla tenuta di scritture contabili non possono provare circostanze omesse nelle scritture stesse o in contrasto con le loro risultanze>>), ritenuta, dal ricorrente, <<disposizione … destinata ad operare nell’accertamento dei redditi determinato in base a scritture contabili>>, che non poteva essere quindi applicata ad una <<metodologia di accertamento … rivolta … alle persone fisiche>>; la questione posta con il motivo in esame non è affatto decisiva, considerate le argomentazioni, dianzi illustrate, poste dalla CTR alla base dell’impugnata decisione;
2.2. l’accertamento del reddito con metodo sintetico, ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, consente infatti al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore; nella fattispecie, in base a quanto sin qui illustrato, il ricorrente non ha affatto indicato documentazione, dotata di idoneo valore probatorio, pur se non risultante dalle scritture contabili della s.n.c. o in contrasto con esse;
3.1. va respinto il terzo motivo di ricorso, laddove il ricorrente censura l’omessa dichiarazione della cessazione della materia del contendere sostenendo che l’Ufficio, nell’atto di appello, avrebbe annullato parzialmente l’atto impugnato <<in modo da evitare il cumulo di materia imponibile>>, avendo descritto le indagini bancarie come <<ulteriore elemento probatorio … per rafforza(re)… la presunzione che gli importi concessi alla società a titolo di finanziamento siano in realtà frutto di somme sottratte ad imposizione>>;
3.2. come è noto, la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, nel processo tributario, presuppone che sia venuta meno ogni questione controversa tra il contribuente e l’erario, e quindi non può essere pronunciata, come nella specie, allorché l’Amministrazione finanziaria non abbia espressamente riconosciuto l’illegittimità totale o parziale dell’atto impositivo, ritirandolo in via di autotutela, stante anche il rigoroso rispetto del principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria;
3.3. va respinto il terzo motivo di ricorso anche laddove si censura, in via subordinata, la violazione dell’art. 38 DPR 600/1973 laddove la CTR aveva confermato l’atto impositivo <<che pure aveva determinato l’imponibile mediante cumulo di finanziamenti e di movimenti bancari>>;
3.4. con riguardo alle affermazioni della CTR (<<la presunzione che gli importi concessi alla Società a titolo di finanziamento siano in realtà il frutto di somme sottratte all’imposizione resta rafforzata, nel caso in esame, dagli scrupolosi accertamenti dei conti bancari dei due coniugi, soci della Società, effettuati ai sensi dell’art. 32.7 del DPR 600/1973, in ordine ai quali gli stessi non sono stati in grado di fornire giustificazioni né per quanto concerne i soggetti beneficiari dei prelevamenti, né circa la provenienza degli importi oggetto di versamento>>) va evidenziato che l’art. 32, primo comma, n. 2, DPR n. 600/1973, dettato in materia di imposte sui redditi (secondo il quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), presenta un contenuto complesso, consentendo di riferire a redditi/ricavi imponibili tutti i movimenti bancari rilevati dal conto all’attività economica svolta dal contribuente, qualificando gli <<accrediti>> come ricavi, e gli <<addebiti>> egualmente come manifestazione di ricchezza in quanto considerati spese per corrispettivi versati per acquisti di beni e servizi reimpiegati nella produzione di maggiori ricavi di ammontare non inferiore agli importi prelevati: la presunzione legale juris tantum può essere vinta dal contribuente soltanto se offra la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti e gli addebiti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che vengano indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (cfr. Cass. n. 26173/2011; 15217/2012; 1418/2013; ord. 6595/2013; n. 20668/2014);
3.5. se da una parte quindi correttamente l’Ufficio ha posto sia le movimentazioni bancarie che i finanziamenti alla società alla base della determinazione dell’imponibile, parimenti la CTR ha correttamente richiamato le indagini eseguite ai sensi del comma 7 dell’art. citato quale elemento utile, altresì, a corroborare affermativamente il ragionamento presuntivo anche alla radice dell’accertamento relativo ai finanziamenti societari;
4.1. è parimenti infondato il quarto motivo di ricorso laddove si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 32, primo comma, n. 2 DPR n. 600/1973 per avere la CTR <<considerato elementi di reddito anche i prelevamenti, anche se i soggetti accertati non erano titolari, quali persone fisiche, di redditi di impresa ovvero da arte o professione>>;
4.2. la decisione impugnata ha, invero, applicato i consolidati principi giurisprudenziali elaborati da questa Corte, la quale ha più volte ammonito (cfr. sent. n. 5135/2017, 21132/2011, 9573/2007) che l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa e che i dati risultanti dai conti correnti bancari possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività;
5.1. con riguardo al quinto motivo, giova rammentare che l’art. 2 del d.l. 203/2005, convertito dalla L. 248/2005, in vigore dal 3/12/2005, ha previsto, al comma 14-quater, che <<all’articolo 38, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, le parole: “nei cinque precedenti” sono sostituite dalle seguenti: “nei quattro precedenti”:»>; il comma 14-quinquies dello stesso art. 2 ha poi previsto che la disposizione di cui al comma 14 – quater abbia effetto per gli accertamenti <<notificati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto>>;
3.2. nella specie, si discute di un avviso di accertamento notificato il 19.6.2007 e dunque, come correttamente affermato dalla CTR, il nuovo criterio di calcolo, in ambito di accertamento sintetico del reddito, era pienamente operante, né si determinava un’applicazione retroattiva di norme (cfr. Cass. n. 19051/2014), con conseguente infondatezza delle doglianze del ricorrente;
6. in conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato, in ossequio al principio di soccombenza, alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente S.I. al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.200,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
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