CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2018, n. 19423
Tributi – Riscossione – Cartella di pagamento – Avviso bonario – Comunicazione – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
1. Il concessionario alla riscossione notificava cartella di pagamento alla G. s.r.l., ai sensi dell’art. 36 bis d.p.r. 600 del 1973, con la quale venivano recuperate somme non versate a titolo di Iva e Irpeg per l’anno 2000 pari ad € 27.213,59.
2. Proponeva ricorso la contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, rilevando che la cartella non era stata preceduta da alcun avviso bonario, sicché non era stato possibile neppure beneficiare della riduzione del 30 % delle sanzioni, e che non vi era la sottoscrizione del responsabile del procedimento.
3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, in quanto la liquidazione era avvenuta sulla base degli stessi dati forniti in dichiarazione dalla contribuente, né la ricorrente aveva avanzato contestazioni nel merito della pretesa in sede contenziosa.
4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, evidenziando che vi era stata violazione dell’art. 6 comma 5 della legge 212/2000, che, infatti, in caso di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione era previsto l’obbligo, sanzionato da nullità in caso di omissione, di inviare l’avviso bonario al contribuente, che, nella fattispecie, ove l’ufficio avesse inviato l’avviso bonario, il contribuente avrebbe potuto fornire chiarimenti e produrre documentazione “che avrebbero potuto condurre o a una mancata iscrizione a ruolo o all’iscrizione di una somma minore”.
5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
6. Restava intimata la contribuente, nonostante la regolare notifica del ricorso.
Considerato in diritto
1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.”, in quanto l’art. 5 comma 6 della legge 212/2000 impone l’obbligo della previa comunicazione dell’avviso bonario al contribuente, a pena di nullità, solo in presenza di “incertezze” su “aspetti rilevanti” della dichiarazione, mentre nella specie trattasi di somme dichiarate e non versate dalla società, né questa ha mai contestato il merito della pretesa né in primo grado né nel giudizio di appello, a riprova della assenza di “incertezze” nella dichiarazione. La Commissione regionale, invece, ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’invio della comunicazione solo in base alla astratta considerazione che, ove la contribuente avesse ricevuto l’avviso bonario, “avrebbe potuto dare chiarimenti produrre documentazione che avrebbero potuto condurre o a una mancata iscrizione a ruolo o all’iscrizione di una somma minore”, senza alcun riferimento concreto alla presenza di “incertezze” su “aspetti rilevanti” della dichiarazione.
1.1. Tale motivo è fondato.
Invero, la comunicazione di irregolarità deve essere inviata dalla Agenzia delle entrate solo nel caso in cui vi siano “incertezze” su aspetti rilevanti (Cass. Civ., 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass. Civ., 112 aprile 2017, n. 9463).
L’art. 36 bis comma 3 d.p.r. 600/1973 prevede, infatti, che “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione … l’esito della dichiarazione è comunicato al contribuente … per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”.
L’art. 6 comma 5 della legge 212/2000 dispone, poi, che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente…a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta…”.
L’art. 2, comma 2, del d.lgs. 462/1997 (riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici) dispone, poi, che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita…se il contribuente…provvede a pagare le somme dovute…entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 dei predetti articoli 36 bis e 54 bis…”.
Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione dell’imposta (Cass.Civ., 26 settembre 2017, n. 22383), né in caso di mero ritardo nel versamento (Cass.Civ., 10 giugno 2015, n. 12023).
In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 462 del 1997 (Cass.Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque, pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia dovuta.
Pertanto, la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto indicare in motivazione le ragioni per cui l’Ufficio avrebbe dovuto inviare la comunicazione di avviso bonario, con la specificazione delle “incertezze” su “aspetti rilevanti” della dichiarazione.
Non è, dunque, in alcun modo sufficiente la motivazione della Commissione regionale laddove si limita ad affermare l’obbligo di comunicazione dell’avviso bonario soltanto perché “ove l’Ufficio avesse inviato al contribuente l’avviso bonario, questi avrebbe potuto dare chiarimenti e produrre documentazione che avrebbero potuto condurre o a una mancata iscrizione a ruolo o all’iscrizione di una somma minore”.
Peraltro, la Commissione aggiunge che la contribuente “avrebbe potuto evitare il presente contenzioso” ove avesse riconosciuto la somma richiesta, oppure “avrebbe potuto pagare bonariamente entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione e, quindi fruire della riduzione del 30 % delle sanzioni”.
La motivazione è anche in questi passaggi argomentativi del tutto insufficiente, in quanto non chiarisce in alcun modo la sussistenza di “incertezze” su aspetti rilevanti della dichiarazioni.
Peraltro, nei giudizi di merito non risulta che la società abbia sollevato contestazioni in ordine all’importo dovuto, per come dichiarato dalla stessa in sede di autoliquidazione dell’imposta.
Dal contenuto del ricorso per cassazione, anzi, e dal tenore della motivazione della sentenza della Commissione provinciale emerge proprio che vi è stato solo l’omesso versamento di quanto dichiarato (“…il che, ovviamente non si verifica quando la liquidazione avviene, come in questo caso, sulla base degli stessi dati forniti in dichiarazione e quindi ben noti all’interessato”).
2.Il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.
3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo, mentre vanno compensate le spese dei giudizi di merito.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente.
Condanna la controricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 3.200,00, oltre spese prenotate a debito; dichiara compensate le spese dei giudizi di merito.
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