CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2018, n. 19426
Tributi – Accertamento – Società immobiliare – Provvigioni da mediazione – Percentuale media non coerente con quella indicata nello studio di settore presentato – Riferimento a percentuali previste dalle raccolte degli usi e delle consuetudini delle Camere di commercio
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della Immobiliare S. s.r.l., con riferimento alle provvigioni da contratti di mediazione relativi all’anno 2006, con rideterminazione del reddito di impresa e rettifica della dichiarazione annuale Iva.
2. Avverso l’avviso di accertamento proponeva ricorso la contribuente, rilevando che l’avviso era stato emesso prima del decorso del termine di giorni sessanta dall’accesso, che vi era difetto di motivazione, in violazione dell’art. 12 ultimo comma legge 212/2000, essendosi limitato l’ufficio a richiamare contratti di compravendita e mutui senza la loro allegazione, che vi era difetto di riscontro probatorio, che erano infondate le riprese a tassazione.
3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso.
4. Proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
5. Si costituiva con controdeduzioni la società appellata “reiterando l’eccezione di tardività della costituzione dell’appellante in primo grado ed eccependo la proposizione in appello di motivazione postuma, attraverso l’inserimento di nuove eccezioni e nuovi elementi probatori”.
6. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando che la contribuente aveva dichiarato compensi pari al 2,26 % dei valori delle compravendite, calcolati spesso per un solo contraente, che nello studio di settore la società aveva dichiarato di applicare una provvigione media di “mediazione” pari al 2 % alla parte compratrice ed al 2 % alla parte venditrice, con un totale del 4 %, a fronte del 2,26 % contabilizzato nell’anno 2006, con un risultato dello studio “non coerente” con la provvigione media per trattativa conclusa, secondo la stessa dichiarazione presentata dalla società.
7. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.
8. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione dell’art. 12 comma 7 dello statuto dei diritti del contribuente”, in quanto a seguito dell’accesso breve del 5-3-2009 l’avviso di accertamento è stato emesso il 26- 3-2009 e notificato l’1-5-2009, prima del decorso del termine di sessanta giorni.
1.1. Tale motivo è inammissibile.
Invero, effettivamente per giurisprudenza di legittimità l’art. 12 comma 7 della legge 212/2000 prevede che “…dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste…l’Avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Tale norma, però, fa riferimento ai casi in cui vi sia stato accesso nei locali del contribuente, mentre nella specie è pacifico che la società si è limitata a depositare documentazione presso gli Uffici della Agenzia delle entrate, dove si è svolto il procedimento.
Di recente la Suprema Corte ha chiarito che il rispetto del principio del contraddittorio va assicurato anche per gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione della documentazione. Il termine dilatorio di 60 giorni per attivare il contraddittorio tra amministrazione e contribuente (art. 12, comma 7, legge n. 212/2000), si applica anche per gli “accessi brevi” nel rispetto dei principi costituzionali di collaborazione e buona fede tra fisco e contribuente (Cass.Civ., 12 marzo 2018, n. 5999).
In motivazione, nella sentenza di legittimità suindicata si sottolinea che anche in caso di accesso breve si giustificano, quale controbilanciamento, le garanzie procedimentali di cui all’art. 12 comma 7 della legge 212/2000, proprio per la peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli (Cass.Civ., 7988/2016).
Tuttavia, benché vi sia la prova dell’intervenuto accesso “breve”, come ammesso dall’Agenzia delle entrate nel controricorso (cfr. pagina 4 del controricorso “bensì trattasi di accesso volto a reperire la documentazione contabile”), il motivo di ricorso per cassazione è, però, non autosufficiente sul punto, in quanto, non solo non si indica se il motivo di annullamento per mancata osservanza del termine di sessanta giorni è stato espressamente riproposto in appello dalla società, parte interamente vittoriosa in primo grado, ai sensi dell’art. 56 del d.lg.s. 546/1992 (Cass.Civ., 18 maggio 2018, n. 12191), ma nel ricorso per cassazione si indicano quali domande ed eccezioni proposte in appello in sede di controdeduzioni solo l’eccezione di tardività della costituzione dell’appellante in primo grado e l’eccezione di motivazione “postuma” in appello da parte della Agenzia delle entrate, senza alcun riferimento al mancato rispetto del termine di sessanta giorni.
Pertanto, per giurisprudenza di legittimità, nel processo tributario, se è vero che la parte totalmente vittoriosa in primo grado non è tenuta a proporre appello incidentale avverso la sentenza impugnata dalla controparte, relativamente alle eccezioni disattese o rimaste assorbite (essendo, sul punto, carente di interesse), è altrettanto vero, tuttavia, che essa ha l’onere di riproporle, in base alla disposizione normativa di cui all’art. 56 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la quale riproduce la norma dell’art. 346 cod. proc. civ., dettata per il processo ordinario. Pertanto, l’omessa riproposizione in appello di tali eccezioni preclude il ricorso per cassazione avverso detta sentenza, che legittimamente non le ha prese in esame (Cass.Civ., sez. V, 6 luglio 2011, n. 14925), essendosi formato ormai il giudicato interno (Cass.Civ., 1 luglio 2003, n. 10330; Cass.Civ., sez. 2, 29 gennaio 2018, n. 2091).
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione dell’art. 39 comma 1 lettera d) del d.p.r. 600/1973 e dell’art. 2729 c.c.”, non sussistendo presunzioni gravi, precisi e concordanti, in quanto la percentuale del 3 % per ciascuno dei contraenti non corrispondeva a quanto realmente ricevuto a titolo di provvigione, chiesta talora solo ad uno dei contraenti, come da pattuizioni intercorse tra le parti.
2.1. Tale motivo è inammissibile.
Invero, la ricorrente, pur richiamando “patti” intercorsi tra le parti e “atti pubblici” da cui sarebbero evincibili gli incarichi e la richiesta di provvigione, non indica in alcun modo il contenuto di tali patti e contratti.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione degli artt. 57 e 58 del d.lgs. 546/1992”, in quanto l’Agenzia delle entrate avrebbe introdotto in appello eccezioni nuove e nuovi documenti, valorizzando argomentazioni non utilizzate invece in primo grado, come per quanto attiene alla “scarsa redditività e l’elevata incidenza dei costi sui ricavi”, mentre tale aspetto “non è stato frequentato né nell’atto di accertamento né nelle controdeduzioni depositate”.
3.1. Tale motivo è infondato.
Invero, la Commissione regionale, in motivazione, si è limitata ad aggiungere, agli argomenti fondanti l’iter logico della decisione (dichiarazione rese dalla stessa parte negli studi di settore per l’anno 2006 con percentuale media del 4 %, anziché dello 2,26 %), nello “svolgimento del processo”, che “i costi dichiarati sono pari al 101,67% dei ricavi”, denotando, quindi, l’antieconomicità della attività espletata.
Tuttavia, non trattasi di una domanda o eccezione nuova vietata dall’art. 57 del d.lgs. 546/1992, ma solo di una diversa argomentazione, che però non muta in alcun modo la causa petendi ed i fatti costitutivi posti alla base dell’avviso di accertamento, sì da non potersi discettare di “motivazione postuma” dell’Agenzia delle entrate.
Allo stesso modo, l’art. 58 del d.lgs. 546/1992, consente espressamente il deposito di documenti nuovi in sede di appello.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione degli articoli 42 del d.p.r. 600/1973, 3 legge 241/1990 e 7 legge 212/2000”, non potendo l’Amministrazione motivare gli atti dopo l’emissione degli stessi per il divieto della motivazione “postuma”.
4.1. Tale motivo è infondato.
La Commissione regionale non ha consentito un “supplemento” di motivazione dell’accertamento da parte della Agenzia delle entrate, ma si è limitata, in motivazione, ad aggiungere che lo scostamento dalle risultanze degli studi di settore ha consentito l’applicazione dell’accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 1 lettera b d.p.r. 600 del 1973, in relazione alle incongruenze tra costi e ricavi, dovendosi, quindi, tenere conto che i costi sono superiori ai ricavi, in quanto rappresentano il 101,67 % dei ricavi.
Non v’è stata, dunque, alcuna motivazione postuma da parte della Agenzia delle entrate, in quanto, come detto, i fatti costitutivi della pretesa tributaria sono rimasti inalterati nel corso del giudizio, mentre la Commissione regionale ha utilizzato per la motivazione della decisione anche altre argomentazioni logico-giuridiche.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “contraddittoria motivazione”, in quanto la Commissione, da un lato, fa riferimento alle percentuali di provvigione previste dalle raccolte degli usi e delle consuetudini delle Camere di commercio, pari all’ 1,5 %-2 % per ciascuna parte, ma poi ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento con il quale la percentuale media della provvigione è stata computata al 3 % per ciascun contraente.
5.1. Tale motivo è fondato.
Invero, la Commissione regionale ha fondato la sua motivazione con riferimento alle risultanze delle raccolte degli usi e delle consuetudini delle Camere di Commercio, con percentuale media di provvigione dall’ 1,5 % al 2 % per contraente, oltre che sulle stesse dichiarazioni del contribuente in ordine agli studi di settore del 2006, con percentuali medie del 4 %, complessivo, quindi 2 % per ciascun contraente.
Pertanto, tale motivazione è contraddittoria proprio perché l’Agenzia delle entrate ha, invece, determinato nel 6 % la percentuale di provvigione media, quindi 3 % per ogni parte, quindi in modo diverso dalle risultanze probatorie indicate nella stessa motivazione come rilevanti e decisive per la soluzione della controversia.
6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del quinto motivo, dichiarati inammissibili il primo ed il secondo, rigettati il terzo e il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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