CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2018, n. 19455
Natura subordinata del rapporto di lavoro domestico – Vizio di ultrapetizione – Condanna ad importi eccedenti la quantificazione operata con il ricorso introduttivo in difetto di apposita domanda – Sussiste
Rilevato
che con sentenza del 15 febbraio 2016, la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Nola, accoglieva la domanda proposta da A.F. nei confronti di Immacolata N., accertando la natura subordinata del rapporto di lavoro domestico costituitosi tra le parti per due distinti periodi, dal 15.3.1997 al 30.12.2004 e dal 30.7.2005 al 30.3.2007 e condannando la N. al pagamento degli importi maturati a titolo di retribuzione ordinaria, 13^ mensilità, indennità per ferie non godute e indennità di mancato preavviso, quantificati, a fronte di una domanda limitata ad euro 8.425,95 ed integrata dalla seguente formula “o, in mancanza, nella misura che riterrà stabilire l’adita Giustizia a seguito di consulenza tecnica”, in euro 17.026,45 in base all’esito dell’espletata CTU; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto provata la subordinazione e dovute le rivendicate differenze retributive nell’importo risultante dalla disposta CTU;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la N., affidando l’impugnazione a due motivi, in relazione alla quale la F. non ha svolto alcuna attività difensiva;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata; che la ricorrente ha poi presentato memoria;
Considerato
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., deduce il carattere meramente apparente della motivazione, che, a suo dire, assume quali elementi rilevanti ai fini della prova circostanze di fatto o dichiarazioni prive di quella efficacia (in particolare circa l’esistenza stessa del rapporto) o addirittura dà per provate allegazioni di fatto del cui accertamento istruttorio non si dà riscontro (con particolare riguardo alle modalità di svolgimento del rapporto medesimo);
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale di essere incorsa nel vizio di ultrapetizione nell’aver sancito la condanna ad importi eccedenti la quantificazione operata con il ricorso introduttivo in difetto di apposita domanda, non desumibile dalle conclusioni rassegnate in atti dalla F.;
che, il primo motivo deve ritenersi inammissibile, atteso che, tenuto conto, in relazione al caso di specie, degli oggettivi limiti dell’accertamento istruttorio, evidenziati dalla stessa Corte territoriale, il convincimento da questa espresso in ordine all’idoneità degli elementi raccolti a supportare le allegazioni in fatto dell’originaria ricorrente così da consentire di ritenerle integralmente provate, non risulta inficiato sul piano logico e giuridico dalle censure sollevate dall’odierna ricorrente, destinate, pertanto, a risolversi nella mera prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti;
che, di contro, il secondo motivo merita accoglimento, non legittimandosi la statuizione sul punto della Corte territoriale, nell’assenza, attestata dall’andamento processuale, di qualsiasi iniziativa della F. volta all’adeguamento del quantum della domanda come formulato nelle originarie conclusioni ai più favorevoli risultati dell’espletata CTU (vedi Cass. 21.6.2016, n. 12724, in base alla quale “ove all’esito dell’istruttoria compiuta, anche tramite consulenza tecnica d’ufficio, l’ammontare dell’importo preteso sia risultato maggiore di quello originariamente chiesto e la parte nelle conclusioni definitive si sia limitata a richiamare quelle originarie contenenti la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, l’omessa indicazione del maggior importo accertato evidenzia la natura meramente di stile della formula utilizzata, in origine non ravvisabile, a motivo della ragionevole incertezza della somma da liquidarsi”);
– che, pertanto, parzialmente discostandosi dalla proposta del relatore, dichiarato inammissibile il primo motivo, va accolto il secondo, in relazione ad esso cassata la sentenza impugnata e la causa, non abbisognevole di ulteriori accertamenti in fatto, decisa nel merito, con la condanna della N. al pagamento in favore della F. delle rivendicate differenze retributive nell’importo originariamente quantificato, ferma la regolamentazione delle spese operate in sede di gravame e compensate, invece, le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna la N. al pagamento della somma di euro 8.425,95 oltre accessori come per legge. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità, confermando le spese del giudizio d’appello come liquidate in sentenza.
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