CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 agosto 2019, n. 21609
Rapporto di lavoro – Differenze relative all’indennità di trasferta – Valutazione delle prove
RILEVA che
la Corte d’Appello di MILANO con sentenza n. 418/16.04-08.05.2014 rigettava il gravame interposto da A. ing. P. contro I. S.p.a., avverso la decisione in data 26 aprile 2011, che aveva respinto la domanda dello stesso appellante per differenze relative all’indennità di trasferta pretese dall’attore in misura integrale ex art. 72 c.c.n.I. – f.s. (il ricorrente aveva come sede formale di lavoro Milano, ma risiedeva stabilmente a Bologna e si recava regolarmente per lavoro in provincia di MODENA. Pretendeva, quindi, la trasferta intera, ossia quella prevista per il tempo ulteriore alle 12 ore, calcolando il tragitto MILANO / Modena, andata e ritorno, pur abitando di fatto a Bologna); secondo la Corte milanese, sebbene il suddetto art. 72 facesse riferimento alla sede di lavoro formalmente assegnata, nella specie Milano, corrispondente a quella indicata nel contratto individuale, occorreva in effetti tener conto del dato fattuale, consistito nella circostanza per cui l’appellante partiva da Bologna, dove risiedeva, per recarsi a Modena e provincia, laddove in concreto operava, non avendo egli mali lavorato a Milano, per cui andava complessivamente interpretato il testo menzionato art. 72, senza soffermarsi unicamente sull’avverbio “formalmente” ivi adoperato però unitamente ad altre espressioni letterali;
avverso la pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione l’A. con quattro motivi, cui ha resistito I. S.p.a. mediante controricorso; la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
Considerato che
con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1321, 1362 e sgg., nonché 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 3, 24 e 111 Cost; dell’art. 72 c.c.n.I. Ferrovie dello Stato – settore attività ferroviarie, ed ancora dell’art. 1366 c.c. in punto d’interpretazione del contratto secondo buona fede in costanza di rapporto; con il secondo motivo è stata ancora lamentata, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa nonché contraddittoria applicazione degli artt. 72 del citato c.c.n.I., 1375, 1366, 1362 co. II c.c., con riferimento al mancato pagamento delle indennità di trasferta per le giornate in cui il ricorrente veniva convocato a Milano per incombenze di carattere amministrativo; in sintesi, ad avviso del ricorrente, nell’interpretazione dell’anzidetto art. 72 andava privilegiato il criterio letterale, risultando peraltro inconferenti i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla Corte territoriale, poiché attinenti a fattispecie diverse e nelle quali non operavano previsioni contrattuali analoghe a quelle di cui all’art. 72. Peraltro, in molte occasioni la società convenuta per i soli anni 2007 e 2008 aveva anche pagato la c.d. indennità di trasferta lunga, ciò che invece non era mai accaduto per i viaggi di convocazione a Milano, da Bologna; con la terza censura è stato dedotto, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto l’impugnata sentenza non aveva per nulla affrontato il tema della richiesta di pagamento del rimborso forfettario di un importo giornaliero pari a 45,00 euro in sostituzione dell’indennità di trasferta. Non avendo per nulla statuito (la sentenza qui impugnata), su tale domanda formulata fin dal ricorso introduttivo del giudizio, si riproponevano le argomentazioni di cui a detto ricorso, con riferimento alle istruzioni operative per il trattamento di missione di impiegati e quadri I. per le trasferte nella medesima località di durata superiore a due giorni, a favore del dipendente che ne avesse fatto richiesta, in luogo dei rimborsi e delle indennità di trasferta, in ragione di complessivi 31.053,00 euro per 941 giornate di trasferta effettive, quale differenza tra il dovuto ed il percepito (12€ x 941 = 11292,00 €);
infine, con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. in tema di valutazione delle prove (erronea e non corretta valutazione delle prove documentali offerte, nonché delle circostanze e dei fatti non contestati, laddove in particolare la residenza anagrafica di esso ricorrente nel comune di Bologna non costituiva affatto circostanza nuova, siccome dichiarata anche nel contratto di assunzione del 2005 e nello stesso ricorso introduttivo del giudizio. Inoltre, lo stesso giudice di primo grado, pur avendo riconosciuto l’orario di lavoro 08:00 / 18:00, non ne aveva dedotto le logiche conseguenze, quali la determinazione ed il calcolo dell’indennità di trasferta da commisurarsi a detto orario, cui andavano sommate le ore corrispondenti alle tratte tra la sede formalmente assegnata in Milano, i cantieri di lavoro in Modena ed i Bologna e viceversa, donde il superamento di 12 ore. Altra e completamente diversa era poi la questione, di fatto, dello spostamento effettivo del dipendente dal luogo di pernottamento fino ai cantieri, trattandosi di questione non ricollegabile all’oggetto del giudizio di legittimità, quale l’accertamento del diritto del dipendente al pagamento della corretta integrazione delle indennità retributive di trasferta per trasferte “lunghe”, superiori alle 12 ore, <<ma fino ad oggi pagate, quasi sempre, come trasferte “brevi”>>;
ciò premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di rituali e complete allegazioni, dovute a pena d’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma 1, c.p.c.;
manca, invero, compiuta esposizione del ricorso introduttivo del giudizio, di cui sono stati riportati soltanto alcuni passi, peraltro non significativi, oltre alle conclusioni ivi rassegnate. Nulla, inoltre, è stato riprodotto per quanto concerne i motivi d’appello e nulla è stato chiarito pure circa le ragioni del rigetto della domanda, come da sentenza di primo grado, però confermata anche con motivazione per relationem da quella d’appello mediante il rigetto dell’interposto gravame (infatti, neanche sono state compiutamente sintetizzate le argomentazioni svolte con la pronuncia di primo grado, cui pure la sentenza d’appello ha inteso riferirsi, condividendole – cfr. invece sul punto Cass. Sez. un. civ. n. 7074 del 20/03/2017: ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, c.p.c. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali. Cfr., inoltre, Cass. VI civ. – 3 n. 1926 del 03/02/2015: per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella, asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. Conformi Cass. n. 7825 del 2006, nonché I civ. n. 19018 del 31/07/2017);
le riscontrate carenze, in particolare, appaiono rilevanti in relazione al divieto di novità ex art. 437 c.p.c. in appello, impugnazione che non comporta un novum judicium ma unicamente una revisio prioris instantiae nei limiti consentiti dal codice di rito e quindi con limitati effetti devolutivi, per cui inoltre nemmeno sono ammissibili nuove deduzioni in sede di legittimità se non sottoposte alla cognizione del precedente giudice di merito;
nel caso di specie, invero, per quanto è dato desumere dalla sentenza qui impugnata, l’appellante si era limitato a dedurre la violazione del già menzionato art. 72, assumendo l’irrilevanza sul punto del luogo di abitazione, ma senza alcun riferimento al pagamento di talune c.d. trasferte lunghe per gli anni 2007 e 2008. L’appellante, inoltre, si era doluto di pretesa contraddittorietà della gravata pronuncia, laddove in motivazione era stata “paventata” la possibilità per le parti di incidere sulla misura della trasferta mediante l’elezione formale della sede di lavoro, così disponendo della disciplina contrattuale. Infine, aveva lamentato la qualificazione, da parte del primo giudicante, dell’indennità di trasferta quale emolumento con finalità retributiva del disagio, laddove ex art. 63 c.c.n.I. la stessa rappresentava unicamente una delle componenti della retribuzione. A pag. 7, da ultimo, l’impugnata sentenza così testualmente motivava: <<Né può attribuirsi decisiva rilevanza in senso contrario alla – sia pur pacifica – circostanza che all’A. non sia stata corrisposta alcuna indennità di trasferta nelle occasionali circostante in cui egli si è recato a Milano per incombente di carattere amministrativo: circostanza la quale, se avrebbe potuto in ipotesi costituire presupposto per la proposizione di apposita domanda (non svolta nel caso di specie) non consente tuttavia di prescindere dal dato testuale della norma in commento, come sopra interpretato sulla base del suo complessivo contenuto e della volontà delle parti dallo stesso univocamente desumibile>> ; appare evidente, pertanto, anche la novità di molte questioni in fatto ed in diritto poste con primo ed il terzo motivo di ricorso (quest’ultimo, peraltro, riferito in effetti ad una supposta omessa pronuncia, donde l’eventuale error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c., però in astratto denunciabile ritualmente ai sensi dell’art. 360 n. 4 dello stesso codice ed univocamente in termini di nullità), mentre con l’altra doglianza si contesta in effetti la motivazione di quanto sul punto opinato dalla Corte di merito circa l’anzidetta complessiva portata delle previsioni dettate in materia dalla contrattazione collettiva (artt. 72 e 63 del c.c.n.I.), evidenziandone pretese illogicità ed erroneità, però comunque non riscontrabili dalla dettagliata disamina del testo contenuta nelle pagine da 5 a 7 della pronuncia impugnata, cui in effetti parte ricorrente contrappone le sue diverse opinioni (<<… Il contenuto testuale dell’art. 72 c.c.n.I. pertanto, se valutato – come d’obbligo per l’interprete – nel suo complesso e non già isolando artificiosamente singole frasi dal contesto della norma, depone in modo chiaro nel senso ritenuto dal primo Giudice. …>>);
non appaiono, dunque, censurabili in questa sede di legittimità le argomentazioni svolte dai giudici di merito circa i pretesi errori d’interpretazione loro ascritti, ivi compresa la denunciata violazione del criterio letterale (cfr. peraltro Cass. I civ. n. 4176 del 22/02/2007, secondo cui ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ., e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Conforme Cass. n. 28479 del 2005. V. altresì Cass. lav. n. 4670 del 26/02/2009: in tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. V. ancora Cass. I civ. n. 9755 del 4/5/2011: nell’interpretazione dei contratti, l’art. 1363 cod. civ. impone di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio; pertanto, la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare “ex post” le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili. In senso analogo, Cass. nn. 1257 del 1983, 16022 del 2002, 6233 del 2004, 8876 del 2006, 3685 del 2010.
Peraltro, in sede di ricorso per cassazione per quanto concerne l’interpretazione dei contratti le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione propugnata dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra. Così Cass. III civ. n. 28319 del 28/11/2017. Conforme, Cass. I civ. n. 16987 del 27/06/2018. In senso analogo Cass. IlI civ. n. 24539 del 20/11/2009, n. 16254 del 25/09/2012, I civ. n. 6125 del 17/03/2014. V. parimenti Cass. I civ. n. 27136 del 15/11/2017, id. n. 15471 del 22/06/2017. Similmente, cfr. ancora Cass. I civ. n. 10131 del 02/05/2006 e Cass. IlI civ. n. 11193 del 17/07/2003); pertanto, risulta altresì inammissibile il quanto motivo, dove in effetti si contestano apprezzamenti di esclusiva competenza del giudice di merito, segnatamente quanto alla “valutazione delle prove”, tanto più poi che in relazione alle circostanze ivi menzionate non è stato nemmeno denunciato l’eventuale omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 n. 5 c.p.c. (secondo il testo attualmente vigente, in relazione alla sentenza de qua, risalente all’anno 2014, sicché occorre fari riferimento alla corrispondente ormai consolidata giurisprudenza di cui alle note pronunce di Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014, e successive analoghe pronunce); il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del soccombente al rimborso delle relative spese, ricorrendo, inoltre, le condizioni di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato, atteso l’esito del tutto negativo della proposta impugnazione;
P.Q.M.
Dichiara INAMMISSIBILE il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida a favore della società controricorrente in complessivi euro #4000,00# per compensi professionali ed in euro #200,00# per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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