CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9445
Tributi – Cessione d’azienda – Plusvalenza imponibile – Determinazione. – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Obbligo di integrazione del contraddittorio con il concessionario di riscossione che ha partecipato al giudizio di primo grado
Rilevato che
nella controversia originata dall’impugnazione proposta da L.M. dell’avviso di accertamento, relativo a IVA, IRPEF e IRAP dell’anno 2000, e della conseguenziale cartella di pagamento, emessa per imposte dovute, a titolo provvisorio, a seguito del recupero a tassazione della plusvalenza da cessione di azienda, la Commissione tributaria regionale del Lazio (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), in accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio, riformava la decisione del giudice di prima istanza che aveva annullato l’atto impositivo;
il Giudice di appello, a fondamento della decisione, ribadiva l’orientamento di questa Corte secondo cui al fine della realizzazione della plusvalenza era sufficiente l’avvenuta cessione del bene a prescindere dalla materiale percezione del corrispettivo;
riteneva, inoltre, legittimo, al fine della determinazione della plusvalenza, il ricorso al valore determinato in sede di applicazione dell’imposta di registro; valore che, nel caso in specie, era incontestabile atteso che la sentenza che aveva statuito su tale ultima imposta era ormai passata in cosa giudicata;
avverso la sentenza la contribuente ha proposto ricorso su cinque motivi;
l’Agenzia delle entrate si è limitata a depositare atto al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis. 1 cod.proc.civ.,
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ., la sentenza impugnata, o il procedimento, di nullità per omessa pronuncia sulla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti di Equitalia Gerit s.p.a. alla quale l’Agenzia delle entrate non aveva notificato l’atto di appello malgrado la concessionaria fosse parte resistente nel giudizio avente ad oggetto la cartella, poi riunito, a quello avente ad oggetto l’avviso di accertamento, ad opera della Commissione tributaria provinciale e da questa deciso con unica sentenza;
la censura è fondata;
questa Corte, a tale riguardo, ha precisato che «l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 cod. proc. civ.), nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado. Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità» (Cass. n. 1535 del 2010; id n.9046 del 2010 e, di recente, Cass. n.26433 del 08/11/2017 e n. 8790 del 29/03/2019);
l’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti e la cassazione della sentenza impugnata, per nullità del procedimento, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame e a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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