CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2022, n. 9310
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense – Tardiva comunicazione della dichiarazione reddituale – Sanzione irrogata senza previa contestazione di addebito – Opposizione avverso cartella esattoriale – Applicazione art. 35, l. n. 689/1981
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata l’8.10.2015, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta dall’avv. P.P. avverso la cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto il pagamento di sanzioni per tardiva comunicazione della dichiarazione reddituale;
che la Corte, nel motivare il rigetto del gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ha ritenuto di dover dare applicazione all’art. 35, l. n. 689/1981, secondo cui l’irrogazione della sanzione non può prescindere dalla preventiva contestazione dell’addebito, richiamando espressamente Cass. n. 13545 del 2008;
che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, deducendo cinque motivi di censura;
che l’avv. P.P. ha resistito con controricorso;
che la società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo di censura, la Cassa ricorrente denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente, ex artt. 161 c.p.c. e 118 att. c.p.c., per avere la Corte di merito richiamato a sostegno del decisum un precedente di questa Corte ormai superato dall’evoluzione della normativa e della giurisprudenza medio tempore intervenuta, argomentando dall’entrata in vigore della legge n. 140/1997 e dalla pronuncia di questa Corte n. 24202 del 2009, seguita da numerose successive conformi;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 12, comma 1°, l. n. 689/1981 in relazione agli artt. 2, comma 2, d.lgs. n. 509/1994, 4, comma 6-bis, l. n. 140/2006, e 3, comma 2, del Regolamento della Cassa di cui al d.m. 20.11.2000, per avere la Corte territoriale ritenuto l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 35 ss., l. n. 689/1981, nonostante l’avvenuta privatizzazione della Cassa, la delegificazione della materia contributiva e la sopravvenuta possibilità che i regolamenti della Cassa medesima adottino deliberazioni concernenti il regime sanzionatorio;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione dell’art. 12, comma 1°, l. n. 689/1981, in relazione agli artt. 4, comma 6-bis, l. n. 140/2006, e 3, comma 2, del Regolamento della Cassa di cui al d.m. 20.11.2000, per avere la Corte territoriale ritenuto inapplicabili le disposizioni regolamentari della Cassa in tema di regime sanzionatorio delle condotte degli iscritti;
che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 18, commi 2° e 6°, l. n. 689/1981, in relazione all’art. 1, d.lgs. n. 509/1994, per avere la Corte territoriale ritenuto che essa fosse ancora munita di potestà pubblicistiche in materia sanzionatoria, ivi compresa quella di adottare ordinanze ingiunzione;
che, con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale pronunciato sul merito della questione concernente l’insussistenza dell’obbligo di comunicazione a carico dell’avv. P., benché ella avesse sollevato tale questione fin dal ricorso introduttivo del giudizio e la questione fosse stata riproposta in appello;
che i primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, e sono infondati, essendosi chiarito che, anche a seguito della privatizzazione disposta dal d.lgs. n. 509/1994, l’irrogazione di sanzioni da parte della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense deve essere preceduta dalla contestazione dell’addebito, ai sensi degli artt. 13 e 14, l. n. 689/1981, in quanto, essendo la materia soggetta alla riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost., la potestà regolamentare riconosciuta agli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie dall’art. 4, comma 6- bis, d.l. n. 79/1997 (conv. con l. n. 140/1997), non può comunque derogare alle garanzie dettate dalla citata legge n. 689/1981 in tema di accertamento e preventiva contestazione dell’addebito (Cass. n. 17702 del 2020);
che, così corretta la motivazione della sentenza impugnata e assorbito logicamente il quinto motivo, dal momento che l’eventuale positiva affermazione dell’obbligo di comunicazione a carico dell’avv. P. non esimeva comunque la Cassa ricorrente dall’osservanza della disciplina di cui essa invece ha infondatamente invocato l’inapplicabilità, il ricorso va rigettato;
che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che si liquidano in € 700,00, di cui € 500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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