CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 giugno 2022, n. 20298
Rapporto di lavoro – Trasferimento di un ramo d’azienda – Illegittimità – Accertamento di una volontà diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha riformato la pronuncia di primo grado ed ha revocato il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva condannato T.I. Spa al pagamento in favore di M.D. “della somma di euro 4.158,86 a titolo di retribuzione per il mese di dicembre e 13^ del 2018, oltre spese di lite”, dopo che era stata giudizialmente dichiarata nel 2013 l’illegittimità del trasferimento di un ramo d’azienda da detta società a T. Spa con permanenza del rapporto di lavoro in capo a T.;
2. la Corte, in sintesi, ha considerato che il D. fosse “su sua richiesta andato in pensione, percependo il relativo trattamento, dal marzo 2017”, per cui ciò aveva comportato “la cessazione di qualunque rapporto e quindi anche di quello ricostituito in via giudiziaria con la T., ritenuto vero datore di lavoro”, con la conseguenza che “per il lavoratore non è più possibile pretendere il pagamento della controprestazione retributiva per un rapporto il cui sinallagma genetico deve ritenersi volontariamente risolto”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il D. con 4 motivi; ha resistito con controricorso la società;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso si eccepisce un giudicato esterno asseritamente derivante dalla sentenza di questa Corte n. 463 del 2021 che avrebbe deciso la medesima questione; il motivo è privo di fondamento perché la decisione richiamata riguarda un periodo precedente alla percezione del trattamento pensionistico da parte del D.;
2. con il secondo motivo si denuncia, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, che sarebbe rappresentato dalla lettera del 25 ottobre 2019 con cui T., preso atto delle pronunce giudiziali che accertavano la persistenza del rapporto di lavoro con la società, comunicava il recesso “avendo lei maturato i requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia”; è noto che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso sul n. 5 dell’art. 360 c.p.c. novellato princìpi costantemente ribaditi (v., ex multis, Cass. SS.UU: n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015) nel senso che la disposizione deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali; in particolare il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la conseguenza che il preteso vizio non rileva laddove il fatto sia stato comunque esaminato, anche se il giudice del merito non ne ha tratto le conseguenze alle quali la parte soccombente aspira; nella specie la censura è, pertanto, inammissibile posto che la sentenza impugnata ha dato atto, alla pagina 2, che il D., nel costituirsi in appello, aveva insistito nella sua domanda “per essere il rapporto di lavoro intercorso con la T. formalmente almeno sino al 25 ottobre 2019”, ma evidentemente la Corte territoriale ha ritenuto che tale circostanza non fosse decisiva rispetto ad una cessazione del rapporto antecedente al momento in cui, anche per mero tuziorismo (come comprovato dalle riserve contenute nella nota richiamata), la società aveva formalmente intimato un nuovo recesso;
3. il terzo mezzo denuncia: “violazione e/o falsa applicazione – in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. – dell’art. 22, co. 1, let. C della legge n. 153 del 1969 e art. 10, co. 6, d. lgs. n. 503 del 1992″; pur ammettendo che le disposizioni richiamate stabiliscono che la percezione della pensione di anzianità è subordinata alla cessazione di ogni altro rapporto di lavoro, tuttavia si sostiene che, nel caso in esame, il rapporto lavorativo è stato ricomposto giuridicamente a far data dal 1.4.2004 e si è risolto alla data del 25 ottobre 2019 per come certificato dalla stessa T., nella comunicazione di cui sopra”; la censura è inammissibile non solo perché ancora si richiama alla comunicazione di cui al precedente motivo ma anche perché denuncia nelle forme dell’error in iudicando un accertamento di fatto qual è quello compiuto dalla Corte territoriale in ordine all’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti in ragione di un comportamento concludente (analogamente v. Cass. n. 13203 del 2022); si tratta di un apprezzamento nel merito della vicenda fattuale che non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità, così come non lo è qualsivoglia comportamento concludente che si assuma idoneo a risolvere un rapporto di lavoro, in ipotesi ancora sub iudice (per tutte v. Cass. n. 29781 del 2017, in tema di mutuo consenso; successive conf.: Cass. n. 13660 del 2018; Cass. n. 13958 del 2018; Cass. n. 16948 del 2018; precedenti che evidenziano come l’accertamento di una volontà diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisca apprezzamento di merito, che può essere sindacato innanzi a questa Corte secondo le rigorose regole previste dall’art. 360, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigente, ma non certo nelle forme di un error in iudicando);
4. con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’arM.D. 2112 c.c. e dell’art 1406 c.c., criticando la Corte territoriale per avere ritenuto che “le vicende estintive del rapporto di lavoro tra D. e T. abbiano riflessi sul rapporto con T. e, quindi, che siglando il verbale di conciliazione con la T. il D. abbia accettato anche l’estinzione di qualsiasi rapporto lavorativo con la T. I. Spa”, la doglianza è inammissibile perché censura un’argomentazione della Corte territoriale da considerarsi spesa ad abundantiam, in quanto meramente confermativa di una ratio decidendi autonoma costituita dal fatto dell’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro per volontà del D.; invero, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e pertanto non costituente ratio decidendi della medesima (v. Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 24591 del 2005; Cass. n. 7074 del 2006);
5. conclusivamente il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’arM.D. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 1.600,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’arM.D. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso arM.D. 13, se dovuto
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