CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 marzo 2021, n. 8067

Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Cancellazione della società appellata – Estinzione – Conseguenze – Interruzione del processo – Istanza di trattazione nei confronti della società estinta – Conseguenze – Estinzione del processo

Ritenuto che

L’Agenzia delle entrate notificò alla Z.G. avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale dovuta, in misura proporzionale, in relazione a compravendita immobiliare per la quale era stata revocata l’agevolazione prevista dall’art. 5, I. n. 168 del 1982 (c.d. piani di recupero).

Detto avviso fu impugnato dalla contribuente davanti alla Commissione tributaria di primo I grado di Bolzano, che accolse il ricorso ed annullò l’avviso di liquidazione.

L’Agenzia delle entrate si appellò alla Commissione tributaria di II grado di Bolzano, ma il processo venne dichiarato interrotto, ai sensi dell’art. 40, d.lgs. n. 546 del 1992, per intervenuta estinzione della società appellata, a seguito di cancellazione, in data 11/12/2013, dal registro delle imprese.

Per la ripresa del processo interrotto l’Agenzia delle entrate presentò istanza di trattazione, datata 15/4/2015, ai sensi dell’art. 43, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992.

La Commissione tributaria di II grado di Bolzano, con la sentenza in epigrafe, dichiarò estinto il giudizio perché erroneamente riassunto nei confronti di soggetto giuridico, la Z.G., non più esistente, atteso che l’art. 28, co. 4, d.lgs. n. 175 del 2014, riguardante la “sopravvivenza ai soli fini fiscali” delle società per cinque anni successivi alla loro cancellazione dal registro delle imprese, non si applica retroattivamente.

Per la cassazione di tale pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato ad un unico motivo;

A.Z. resiste con controricorso e memoria.

Considerato che

La ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 43, commi 2 e 3, d.lgs. n. 546 del 1992, e dell’art. 31, d.lgs. n. 346 del 1992, in quanto la parte riassumente è onerata soltanto di presentare tempestiva istanza di trattazione, cosa nel caso di specie pacificamente avvenuta, mentre la scelta di individuare, quale parte del giudizio riassunto, la società cancellata dal registro delle imprese è stata compiuta dalla segreteria della Commissione tributaria, che avrebbe dovuto “convenire” in giudizio il Sig. A.Z., in qualità di socio unico della (appellata) società estinta”.

Il ricorso è infondato.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che “La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio;

pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. n. 20840/2020).

La riassunzione del processo è un atto d’impulso di parte, non officioso, attraverso il quale il soggetto che ne abbia interesse provvede a riattivare il giudizio già pendente, in presenza di una causa idonea a provocarne l’estinzione a seguito del decorso di un certo lasso di tempo, e nel processo tributario per l’estinzione e la ripresa del processo interrotto vale quanto previsto dagli artt. 40 e 43, d.lgs. n. 546 del 1992, e dalle disposizioni in essi richiamate.

Più da presso, come precisato da questa Corte, “la ripresa del processo ha luogo attraverso l’attivazione di un subprocedimento che si snoda attraverso le seguenti fasi:

a) la parte colpita dall’evento o i suoi successori o qualsiasi altra parte, salvo che non voglia vedersi produrre l’estinzione del giudizio per inattività delle parti a mente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45, comma 1, (Estinzione del processo per inattività delle parti: “Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”), deve, entro il termine di sei mesi dalla data della dichiarazione di interruzione del processo, provvedere a depositare presso la segreteria della Commissione Tributaria avanti alla quale pende il processo interrotto apposita istanza di trattazione indirizzata al presidente della sezione intesa alla ripresa del processo interrotto;

b) il presidente di sezione, esaminata l’istanza provvede a fissare l’udienza di trattazione e nomina il relatore;

c) indi la segreteria provvede a dare comunicazione dell’avviso di trattazione alle parti interessate nei modi e nelle forme previste dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 43, comma 3, (“La comunicazione di cui all’art. 31, oltre che alle altre parti costituite nei luoghi indicati dall’art. 17, deve essere fatta alla parte colpita dall’evento o ai suoi successori personalmente”). Come è fatto chiaro dalle norme richiamate, in questa lineare sequenza procedimentale, che consente al processo tributario interrotto di riprendere il proprio corso, la partecipazione della parte che abbia interesse alla sua prosecuzione si esaurisce nella mera presentazione dell’istanza di trattazione e nessun’altro incombente gli è demandato dal legislatore tributario, poiché, in particolare, alla comunicazione dell’avviso di trattazione non è tenuta la parte, ma provvede d’ufficio la segreteria del giudice tributario avanti al quale l’istanza è stata presente. In questo peculiare carattere di ufficiosità del subprocedimento di riassunzione del processo tributario interrotto è certo ravvisabile una netta distinzione rispetto all’analogo procedimento che ha luogo nel giudizio di cognizione civile, dato che in quest’ultimo, in ossequio alla sua più accentuata natura dispositiva, alla parte interessata alla sua riassunzione si richiede uno sforzo di partecipazione più intenso, poiché a mente dell’art. 303 c.p.c., comma 1, essa non solo dovrà chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza di comparizione, ma, una volta che questi abbia provveduto, sarà tenuta pure alla notificazione del ricorso e del relativo decreto a tutte le altre parti” (Cass. n. 4071/2015).

Orbene, se è vero che, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 31, comma 1, compete alla segreteria del giudice tributario di dare la comunicazione alle parti dell’udienza di trattazione, è altrettanto vero che l’Amministrazione finanziaria, nel caso in esame, non poteva chiedere ed ottenere alcuna pronuncia nei confronti di una società ormai estinta, perché appunto cancellata dal registro delle imprese, evento estintivo fatto constatare nei modi previsti essendo stata dichiarata l’interruzione del processo.

L’Agenzia delle entrate, di contro, ha continuato ad individuare la controparte processuale, cioè il soggetto nei cui confronti far valere il debito sociale derivante dall’avviso di accertamento impugnato dalla contribuente, nella appellata “Z.G. (…) nella persona del legale rappresentante Z.A.”, come del resto si ricava dalla istanza di trattazione ex art. 43, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992 (riprodotta nel corpo del ricorso per cassazione, che contiene anche la traduzione in lingua italiana – non oggetto di contestazione – della sentenza impugnata, nei suoi contenuti essenziali).

Il giudice di secondo grado, quindi, del tutto correttamente ha ritenuto che, poiché la Agenzia riassumente non intendeva proseguire il giudizio nei confronti del socio della società estinta, eventualmente per farne valere la responsabilità ai sensi dell’art. 2495 c.c., il processo non fosse stato ritualmente riassunto, per cui l’estinzione, ai sensi degli artt. 43, co. 2 e 45, d.lgs. n. 546 del 1992, andava dichiarata.

D’altro canto, l’odierna ricorrente anche in questa fase di giudizio sostiene che alcuna disposizione normativa le imponeva di “convenire in giudizio i successori a seguito di riattivazione del giudizio”, senza però tenere conto che questa Corte ha ripetutamente affermato l’inammissibilità dell’impugnazione proposta contro la (o dalla) società cancellata dal registro delle imprese e, perciò, non più esistente e priva di legittimazione processuale (Cass. Sez. Un., n. 6070 e n. 6071 del 2013; Cass. n. 5988/2017; n. 23574/2014; n. 21517/2013; n. 25275/2014).

Diversamente, deve ritenersi sussistere la sopravvenuta legittimazione processuale (passiva) dello Z., nella qualità di socio (unico) della Z.G., a titolo successorio (art. 110 c.p.c.), ancorché sui generis (in tale senso, le già citate: Sez. Un., sentenze n. 6070 e n. 6071 del 2013; Sez. 5, sentenze n. 5988 del 2017, n. 23574 del 2014 e n. 21517 del 2013; Sez. 6-5, ordinanza n. 25275 del 2014).

Del resto, il legittimato passivo è pur sempre il successore, mentre la circostanza che non abbia ricevuto nulla dal bilancio finale di liquidazione è questione che attiene al merito e non alla legittimazione (Cass. n. 21803/2017).

Neppure appare corretta l’affermazione, che si legge in ricorso, secondo cui “la Commissione avrebbe dovuto convenire in giudizio il Sig. Z., in qualità di socio unico della società estinta”, considerato che, come già detto in precedenza, nell’istanza di trattazione A.Z. era indicato come “legale rappresentante” della Z.G..

Quanto alla incidenza – esclusa dal giudice di secondo grado – della disciplina introdotta dal D.lgs. 175/2014, con la quale il legislatore ha sostanzialmente inteso porre una deroga agli effetti civili che derivano dalla cancellazione di una società dal registro delle imprese, consentendo la sopravvivenza di un soggetto giuridicamente inesistente “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi, contributi, interessi e sanzioni…” e per i successivi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal predetto registro, è appena il caso di ribadire il principio, che questa Corte ha più volte affermato, secondo cui “L’art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva. Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente.” (Cass. n. 6743/2015; n. 4536/2020).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese del presente, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie ed agli accessori di legge.