CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36892 depositata il 16 dicembre 2022

Tributi – Avviso di accertamento – IRPEG, IRAP, IVA – Operazioni fatturate o sovrafatturate da altre società – Cancellazione di società di capitali dal Registro delle imprese – Successione dei soci alla società estinta – Contenzioso tributario – Legittimazione del liquidatore – Obbligo di motivazione specifica in ordine a deduzioni o allegazioni del contribuente – Rigetto

Fatti di causa

L.B., quale ex liquidatore della K. s.r.l., G.S., quale ex socio della K. s.r.l. e P. B. quale ex socio della K. s.r.l., propongono congiuntamente ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello dagli stessi proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva rigettato il ricorso della K. s.r.l. contro l’avviso d’accertamento, emesso all’esito di un p.v.c. della Guardia di finanza, notificato alla medesima società ed avente ad oggetto l’Irpeg, l’Irap e l’Iva di cui all’anno d’imposta 2012, in conseguenza dell’inesistenza di alcune operazioni fatturate o sovrafatturate da altre società.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Con ordinanza emessa in data 16 dicembre 2021 e pubblicata in data 31 marzo 2022, la sesta sezione di questa Corte ha rimesso la causa alla pubblica udienza, fissata al 14 ottobre 2022 e trattata nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28/10/2020, n. 137, convertito dalla l. 18/12/2020, n. 176.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, assumendo che il giudice a quo, nel rigettare il relativo motivo d’appello, avrebbe errato nell’escludere la nullità dell’atto impositivo per la violazione dell’obbligo dell’Ufficio di valutare le osservazioni e le richieste che la contribuente aveva presentato nei sessanta giorni successivi al rilascio del p.v.c. di chiusura delle operazioni di controllo.

Lamentano infatti i ricorrenti che «nessuna menzione dell’avvenuto deposito delle osservazioni, da parte della K. s.r.l., è contenuta nelle pagine 2, 3 e 4 dell’avviso di accertamento» e sostengono che, mancando del tutto, nell’atto impositivo, non solo la considerazione delle deduzioni formulata dalla contribuente nella fase che ha preceduto l’emissione dell’accertamento, ma anche la menzione della stessa acquisizione di tali difese nel relativo procedimento, sarebbe stato leso il necessario contraddittorio preventivo, in violazione dei criteri della giurisprudenza eurounitaria.

2. Occorre preliminarmente esaminare la questione della legittimazione degli odierni ricorrenti, qualificatisi in giudizio come ex soci e liquidatore di una società di capitali estinta e cancellata (dal ricorso in appello prodotto dai ricorrenti risulta che la cancellazione sia avvenuta in data 16 maggio 2016), profilo che riguarda la valutazione delle conseguenze derivanti dall’estinzione della società, che è suscettibile d’esame d’ufficio da parte del giudice (ex multis Cass. 15/05/2018, n. 11744).

Occorre premettere, in fatto, che dagli atti di causa emerge che l’avviso di accertamento è stato notificato alla società il 19 novembre 2015 (e notificato al liquidatore), che la società ha proposto l’originario ricorso il 9 febbraio 2016, e che essa è stata cancellata dal registro delle imprese il 16 maggio 2016; infine, l’appello è stato proposto, dagli odierni ricorrenti, in data 27 luglio 2017.

2.1. L’art. 2495, secondo comma, cod. civ., nel testo modificato dalla riforma societaria del 2003, applicabile ratione temporis, prevede che <<ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi>>, norma questa riversata nel successivo terzo comma del medesimo articolo, per effetto del d.l. n. 76 del 2020, art. 40, comma 12-ter, lett. b), conv. dalla l. n. 120 del 2020, irrilevante nella specie.

Cass., Sez. U., 22/02/2010, n. 4060 ha avuto modo di stabilire che in tema di società di capitali, a seguito della riforma delle società, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo.

Successivamente Cass., Sez. U., 12/03/2013, n. 6070 e n. 6071 hanno ribadito il principio che l’iscrizione della cancellazione di una società di capitali dal Registro delle imprese ha valore costitutivo e produce un effetto estintivo della persona giuridica; le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali rispondono dei debiti nei limiti della responsabilità per essi prevista pendente societate, senza che l’attribuzione di una somma in sede di liquidazione possa costituire condizione della successione.

Nella sostanza, dunque, in caso di estinzione della società, i soci subentrano, con dette limitazioni, nel medesimo debito della società stessa, debito che conserva <<intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica>>.

2.2. Da un punto di vista processuale, il medesimo arresto delle Sezioni Unite ha altresì evidenziato che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata in materia fallimentare); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ. con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe stato più possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (ex plurimis: Cass. 02/03/2021, n. 5605; Cass. 04/08/2017, n. 19580; Cass. 25/05/2017, n. 13183; Cass. 08/03/2017 n. 5988; Cass. 05/11/2014, n. 23574; Cass. 06/11/2013, n. 24955).

In tale quadro, occorre ribadire che l’utile partecipazione alla distribuzione dell’attivo liquidato non costituisce presupposto costitutivo della successione del socio: la tesi, affacciatasi in alcune pronunce successive alle citate Sezioni Unite del 2013 (in particolare, Cass. 26/06/2015, n. 13259; Cass. 23/11/2016, n. 23916; Cass. 31/01/2017, n. 2444; Cass. 22/06/2017, n. 15474), si pone in realtà

non in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, come correttamente evidenziato, anzitutto, da Cass. 8/03/2017, n. 5988 (ove si evidenzia un possibile inconsapevole contrasto, sul punto), nonché da Cass. 7/04/2017, n. 9094, che sottolinea come il socio sia comunque destinato a subentrare nella posizione debitoria, e che addirittura la mancata utile partecipazione non consenta neanche di escludere a priori lo stesso interesse ad agire del creditore (si veda anche Cass. 9/10/2015, n. 20358: il fenomeno successorio non può essere escluso in base al solo esame del bilancio di liquidazione).

La giurisprudenza successiva s’è assestata in questo ultimo senso (tra le tante, v. Cass. 16/06/2017, n. 15035; Cass. 19/04/2018, n. 9672; Cass. 5/06/2018, n. 14446; Cass. 16/01/2019, n. 897; Cass. 20/06/2020, n. 12758 e, da ultimo, Cass., Sez. U., 15/01/2021, n. 619; Cass. 21/10/2021, n. 29277; Cass. 20/10/2021, n. 29156; Cass. 5/11/2021, n. 31904; Cass. 28/04/2022, n. 13247), tanto da potersi considerare ormai <<diritto vivente>>.

2.3. Questa Corte ha più volte precisato poi che la cancellazione dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio, in quanto la stessa è priva, oramai, della capacità di stare in giudizio, con la conseguenza che è ad essa preclusa la possibilità di proporre impugnazione (Cass., Sez. U., 12/03/2013, n. 6070; Cass. 9/10/2018, n. 24853; Cass. 19/12/2016, n. 26196); pertanto, la cancellazione della società dal registro delle imprese e la conseguente estinzione prima della notifica dell’avviso di accertamento e della instaurazione del giudizio di primo grado determinano il difetto della sua capacità processuale ed il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex legale rappresentante (tanto che l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venga instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, esclude ogni possibilità di prosecuzione dell’azione limitatamente alla società: Cass. 19/04/2019, n. 11046; Cass. 11/3/2015, n. 4853; Cass. 8/10/2014, n. 21188; Cass. 3/11/2011, n. 22863).

2.4. La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, determina inoltre il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione dell’ex liquidatore a rappresentarla (Cass. 11/06/2011, n. 5637; Cass. 23/03/2016, n. 5736).

2.5. E’ noto però che l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 prevede che <<Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese>>.

Tale disposizione (la cui legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Cost, la Corte Cost., con la sentenza n. 142 del 2020, ha confermato), in forza di consolidata giurisprudenza di questa Corte (per prima Cass. 02/04/2015, n. 6743, poi tra le tante Cass. 21/02/2020, n. 4536), è stata ritenuta norma di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, efficacia retroattiva; pertanto il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente, ed è pertanto rilevante nel caso di specie, alla luce della premessa in fatto sopra esposta.

2.6. Occorre quindi esaminare la rilevanza di tale disposizione in tema di rappresentanza processuale dell’ente societario.

Sul punto deve ritenersi, conformemente all’opinione della prevalente dottrina ed ai primi arresti di questa Corte sul punto specifico (Cass. 31/05/2022, n. 17492; Cass. 3/06/2021, n. 15320), che la norma non si limiti a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare la notificazione dell’atto impositivo.

Il liquidatore deve necessariamente conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano <<ai fini>> indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare. Pertanto, egli deve poter non soltanto ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, ma anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, come è confermato dalla circostanza che l’estinzione è posticipata anche ai fini della efficacia e validità degli atti del contenzioso.

Questa stessa Corte (Cass. 2/04/2015, n. 6743) ha già infatti modo di precisare, sebbene in una fattispecie alla quale la disposizione non era applicabile, che per <<atti di (…) contenzioso>> debbono intendersi gli atti del processo, perché, nell’impreciso lessico della legge delega n. 23 del 2014 (alla cui stregua, come è noto, deve procedersi nell’interpretazione dei decreti legislativi di attuazione), si intende per <<contenzioso tributario>> il <<processo tributario>> e la <<tutela giurisdizionale>> (espressioni usate promiscuamente nella rubrica e nel testo dell’art. 10 della legge di delegazione) e che la norma intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al <<solo>> fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi.

2.7. Alla luce di tali considerazioni, i risultati cui si perviene in termini di legittimazione sono diversi da quelli relativi all’applicazione dell’art. 2495 cod. civ.; la società conserva la legittimazione attiva; il liquidatore è legittimato e gli ex soci devono considerarsi privi di legittimazione.

3. Ciò comporta che nel caso di specie, il liquidatore (che, secondo quanto emerge dal ricorso, deve ritenersi aver agito per la società) è da ritenersi legittimato; poiché gli ex soci avevano già perso la rappresentanza della società a seguito della cancellazione, e tale fatto era già avvenuto prima della proposizione dell’appello, essi non erano legittimati ad appellare; si deve precisare che trattasi di questione rilevabile di ufficio (Cass. 23/03/2016, n. 5736; Cass. 19/09/2019, n. 23365), che determina la cassazione della sentenza impugnata perché l’appello non poteva essere proposto (ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ.).

Pertanto, nei confronti di G.L. e P. B., la sentenza va cassata, senza rinvio, risultando una causa di inammissibilità dell’appello.

Il ricorso va invece deciso nel merito quanto alle doglianze proposte per la società dal liquidatore.

4. Al riguardo, contrariamente a quanto presupposto dai ricorrenti, l’art. 12 dello Statuto del contribuente non impone all’Amministrazione accertatrice alcun obbligo generalizzato di specifica motivazione circa le controdeduzioni eventualmente presentate dal contribuente a seguito di accessi, ispezioni o verifiche (Cass. 26/09/2019, n. 23840).

Premesso che la mancata trascrizione delle osservazioni non consente di valutare l’esistenza o meno del loro apprezzamento, nel senso qui ribadito questa Corte si è già pronunciata (Cass. 31/03/2017, n. 8378, in un caso nel quale l’avviso impugnato non aveva dato neppure atto dell’avvenuta presentazione di memorie ai sensi dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000; nonché Cass. 24/02/2016, n. 3583, che ha chiarito e ribadito che l’obbligo di motivazione specifica in ordine a deduzioni o allegazioni del contribuente costituisce ipotesi di nullità dell’avviso di accertamento solo nei casi in cui tale sanzione è espressamente prevista; e che detta sanzione non può essere ipotizzata neppure sulla scorta dell’art.42 d.P.R. n. 600 del 1973).

Il ricorso di L.B. nella qualità di liquidatore della Kondorterch va quindi respinto.

5. Le spese dei giudizi di merito sono compensate in ragione della novità della questione mentre quello del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di L.B. quale liquidatore della K. s.r.l.; cassa senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P. B. e G.S.;

compensa le spese dei giudizi di merito;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.