CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 settembre 2021, n. 25803
Tributi – Credito d’imposta per incremento dell’occupazione – Utilizzo in compensazione – Superamento del limite triennale previsto dalla regola de minimis – Recupero del credito d’imposta
Rilevato che
La Commissione tributaria regionale (CTR) della Puglia, con sentenza n. 270/11/2015, depositata il 9 febbraio 2015, non notificata, respinse l’appello proposto dalla E. S.r.l., in uno al suo amministratore pro-tempore sig. F.P.M., avverso la sentenza n. 118/1/13 della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bari, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla società e dal M. avverso avviso di recupero di credito d’imposta notificato dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Bari – sulla base di processo verbale di constatazione (di seguito pvc) del 18 aprile 2008, col quale l’Ufficio finanziario aveva rilevato la violazione dell’art. 7, comma 10, della L. n. 388/2000, per avere la società, nel periodo d’imposta 2006, compensato imposte dovute sino all’importo di euro 1.093.566,00, così oltrepassando il limite stabilito in euro 100.000,00 nel triennio, in applicazione della regola de minimis, di cui alla comunicazione della Commissione della Comunità Europea n. 96/C-68/06.
Avverso la sentenza della CTR della Puglia la società ed il M. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1, comma 422, della l. n. 311/2004, 14 del d.P.R. n. 602/1973 e 67 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., lamentando che la sentenza impugnata non avrebbe colto la nullità originaria dell’atto perché emesso e notificato in violazione del divieto di doppia imposizione, atteso che la pretesa tributaria ivi fatta valere era già stata iscritta a ruolo ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, cui aveva fatto seguito la notifica in data 4 giugno 2010 della cartella di pagamento n. 0142010027122049, già oggetto d’impugnazione in separato giudizio, ed annullata in parte qua dalla CTR della Puglia con sentenza n. 37/13/13, depositata il 15 aprile 2013, cui aveva fatto seguito provvedimento di sgravio del l’Amministrazione finanziaria.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, commi 4 e 7 della l. n. 212/2000, nella parte in cui la sentenza n. 270/11/2015 resa dalla CTR ha, confermando la sentenza di primo grado impugnata, disatteso il motivo di ricorso delle parti volto a rilevare l’illegittimità dell’atto impugnato perché emesso in difetto di espletamento di alcuna attività istruttoria prodromica diretta alla verifica della spettanza o meno del credito d’imposta – avendo avuto ad oggetto la verifica di cui al menzionato pvc unicamente il controllo sull’IVA ed IRAP effettivamente dovute dalla società per l’anno di riferimento – in tal modo impedendo alla società la facoltà di formulare eventuali osservazioni al fine del pieno espletamento del proprio diritto di difesa.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., assumendo che la pronuncia oggetto di ricorso avrebbe violato la regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, omettendo di pronunciarsi sulla domanda dei ricorrenti di disapplicazione del regime de minimis, quale previsto dall’art. 7, comma 10, della l. n. 388/2000, alla stregua della deroga a detto regime che – secondo i ricorrenti – sarebbe disposta dai Regolamenti comunitari n. 994/1998 e n. 2204/2002 in fattispecie di assunzione di lavoratori svantaggiati.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la stessa questione, questa volta denunciando direttamente la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 10 del Trattato CE e dei succitati art. 7, comma 1°, della l. n. 388/2000 e dei Regolamenti comunitari 994/1998 e n. 2204/2002 in fattispecie di assunzione di lavoratori svantaggiati, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha disapplicato la regola de minimis, come avrebbe invece dovuto in applicazione dei principi di preferenza e di effettività previsti dall’art. 10 del Trattato CE, il quale, per assicurare la piena efficacia della norma comunitaria su quella nazionale, comporta l’obbligo, anche da parte del giudice nazionale, di disapplicare la norma interna che si ponga in conflitto con quella di matrice europea.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63, comma 2, della l. n. 289/2002 e 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto superati, nell’anno 2006, i limiti temporali per la fruizione dei crediti maturati nel 2003, la cui condizione di “incapienza”, secondo la CTR, avrebbe dovuto essere «riscontrata alla prima occasione utile per utilizzare in compensazione i medesimi crediti, ossia nel 2004», laddove, invece, secondo i ricorrenti, l’unico limite temporale applicabile alla fruizione del credito applicabile al caso di specie è la prescrizione ordinaria decennale, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ.
6. Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., assumendo l’erroneità della pronuncia impugnata laddove ha affermato la legittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta, sebbene detto atto non fosse stato basato su presunzioni aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ., e fosse invece carente di qualsiasi elemento idoneo a provare, ex art. 2697 cod. civ., la fondatezza della pretesa di recupero del credito d’imposta.
7. Con il settimo motivo le parti ricorrenti denunciano violazione/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, della l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata affermato la legittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta, sebbene lo stesso non fosse stato preceduto da alcuna comunicazione volta, così come previsto invece dal citato art. 6, comma 2, della l. n. 212/2000, «ad informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito […] richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti».
8. Infine, con l’ottavo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., laddove la sentenza impugnata ha apoditticamente concluso per la legittimità dell’irrogazione delle sanzioni, nel caso di specie, «per mancanza dei presupposti di legge» di cui agli artt. 8 del d. lgs. n. 546/1992, 6 del d. lgs. n. 472/1997 e 10 della l. n. 212/2000, che ne avrebbero, invece, determinato la non punibilità, limitandosi ad affermare la pretesa insussistenza del «carattere oggettivo dell’incertezza», senza però rappresentare l’iter logicogiuridico utilizzato per raggiungere tale convincimento.
9. In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità per tardività dell’originario ricorso, che la difesa erariale ha formulato, per la prima volta, in controricorso dinanzi a questa Corte.
9.1. È sufficiente, infatti, osservare in proposito che l’eccezione, così come proposta, non tiene conto della sospensione di cui al periodo feriale per il computo del termine perentorio di cui all’art. 21 del d. lgs. n. 546/1992.
9.2. L’atto impugnato, come concordemente riferito dalle parti, è stato notificato il 9 settembre 2011, cadendo dunque detta notifica in periodo di sospensione feriale, dal 1° agosto al 15 settembre, ex art. 1 della l. n. 742 del 1969 nella sua formulazione applicabile ratione temporis.
9.3. Il termine per la proposizione della relativa impugnazione dinanzi alla CTP di Bari iniziava dunque a decorrere dal 16 settembre, per cui la notifica del ricorso in data 11 novembre 2011 è tempestiva in relazione al termine perentorio di giorni sessanta di cui all’art. 21 del d. lgs. n. 546/1992.
10. Il primo motivo è infondato e va rigettato.
10.1. La CTR della Puglia ha dato atto dell’annullamento della cartella di pagamento, emessa, ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633/1972, nella parte relativa al recupero del credito d’imposta oggetto d’iscrizione a ruolo, essendo rimasta invece valida ed efficace la cartella nella parte relativa al recupero delle imposte IRAP ed IVA dichiarate e non versate, cui ha fatto seguito il provvedimento di sgravio parziale emesso dall’Ufficio, con riferimento al recupero del credito d’imposta e relativi interessi e sanzioni.
10.1.2. I ricorrenti assumono che ciò non avrebbe dovuto impedire al giudice tributario d’appello di rilevare comunque la nullità originaria dell’avviso di recupero del credito d’imposta, atteso che, al tempo della sua notifica, la cartella di pagamento relativa al ruolo emesso (anche) per la stessa causale faceva sì che con la notifica dell’atto di recupero del credito d’imposta fosse oggettivamente violato il divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. n. 600/1973.
10.1.3. Tale considerazione trascura di rilevare come il giudizio d’impugnazione dell’atto amministrativo tributario si ponga come giudizio d’impugnazione – merito (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, ord. 10 novembre 2020, n. 18777; Cass. sez. 5, 28 giugno 2016, n. 13294), sicché, venuto meno, per effetto dello sgravio succitato, l’anzidetto profilo formale d’illegittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta, e ribadita la legittimità dell’atto per effetto del rigetto degli altri motivi di carattere formale, correttamente la CTR ne ha esaminato il merito, pervenendo al rigetto del gravame proposto dagli allora appellanti sulla base delle argomentazioni ulteriori, che si provvederà ad esaminare in relazione alle specifiche censure al riguardo addotte dalle parti ricorrenti.
11. Il secondo motivo può essere esaminato congiuntamente al settimo, investendo entrambi questioni riferite alla dedotta limitazione del diritto di difesa dei contribuenti.
Essi sono infondati.
11.1. Il sig. M., amministratore pro-tempore della società, ha ricevuto notifica il 18 aprile 2008 del pvc, col quale, tra l’altro, i verificatori avevano rilevato (pag. 27 del relativo verbale) nella fruizione del credito d’imposta, il superamento da parte della società del limite quantitativo imposto dalla regola de minimis.
A nulla quindi rileva il fatto che gli stessi verificatori, nel dare atto dello scopo della verifica, limitato allo specifico controllo dei tributi IVA ed IRAP, abbiano dato conto di non aver svolto indagini sull’effettiva sussistenza dei presupposti legittimanti il riconoscimento dell’ulteriore credito d’imposta, di cui all’art. 7, comma 10, della l. n. 388/2000, per l’assunzione di lavoratori in aree svantaggiate.
11.2. Ciò che è oggetto della contestazione di cui all’avviso di recupero del credito d’imposta non è, infatti, il disconoscimento dei presupposti per l’attribuzione del credito d’imposta medesimo, ma il rilievo del superamento dei limiti quantitativi per la sua legittima utilizzazione in compensazione rispetto ad imposte dovute per l’anno d’imposta di riferimento.
11.2.1. Né può dirsi sussistere dubbio alcuno sulla circostanza che dell’effettivo ambito della relativa contestazione il M., quale amministratore e legale rappresentante prò – tempore della società, sia stato reso sufficientemente edotto in sede di consegna del pvc, ciò consentendo, dunque, appieno, alla società di fare valere le proprie eventuali osservazioni nel termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, essendo stato notificato l’avviso di recupero del credito d’imposta solo in data 9 settembre 2011.
11.3. Peraltro, in relazione alla specifica doglianza riferita alla dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, della l. n. 212/2000, di cui al settimo motivo di ricorso, occorre richiamare il noto principio affermato da Cass. SU 9 dicembre 2015, n. 24823 in tema di contraddittorio endoprocedimentale, per cui, salvo che non sia espressamente previsto, solo in tema di tributi armonizzati il contraddittorio deve intendersi comunque prescritto a pena di nullità e sempre che il contribuente dimostri che l’accertamento avrebbe potuto essere evitato o avere comunque esito diverso se posto in grado di far valere le proprie difese anteriormente al giudizio (si veda anche Cass. sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18450, che, con riferimento all’affine problematica della revoca del credito d’imposta di cui alla l. n. 449 del 1997 per incrementi occupazionali, ha ritenuto che l’omissione della prescritta comunicazione dell’avvio del procedimento non comporti l’invalidità del provvedimento adottato, ex art. 7 della l. n. 241 del 1990, allorché, anche a seguito di preventiva informativa, il procedimento non avrebbe potuto avere esito diverso).
11.3.1. Nella fattispecie in esame, invero, la stessa difesa di parte ricorrente non contesta il superamento del limite derivante dall’applicazione della regola de minimis, ma sostiene che essa avrebbe dovuto essere disapplicata per preteso contrasto con la normativa comunitaria di riferimento.
12. Ciò costituisce oggetto delle doglianze di cui al terzo ed al quarto motivo di ricorso, motivi che possono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi.
12.1. Posto che il terzo motivo è, con ogni evidenza, infondato, atteso che la sentenza impugnata ha chiaramente affermato la legittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta sulla base dell’applicazione del c.d. principio de minimis, in tal modo quindi rigettando, quanto meno implicitamente, la domanda di disapplicazione della norma nazionale di riferimento, il richiamato art. 7, comma 10, della l. n. 388/2000, per preteso contrasto con i Regolamenti comunitari menzionati in rubrica, va ritenuta l’inammissibilità, ex art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. (cfr. Cass. SU 21 marzo 2017, n. 7155), del quarto motivo di ricorso.
12.2. Questa Corte ha, infatti, avuto modo più volte modo di affermare il principio secondo cui «[i]n tema di agevolazioni fiscali, è illegittima la disapplicazione, da parte del giudice nazionale, della norma dell’art. 63, comma 1, della l. n. 289 del 2002, nella parte in cui, rinnovando il regime di incentivi alle assunzioni, mantiene ferma la disposizione di cui all’art. 7, comma 10, della l. n. 388 del 2000, che circoscrive il riconoscimento del credito d’imposta nei limiti della regola “de minimis”, – e, cioè, nell’importo di Euro 100.000,00 nel triennio» (duecentomila a partire dal 2006), «quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di Stato non incorrono nel divieto di cui all’art. 92, poi 87» del TFUE, «sul presupposto che il beneficio in questione non configuri un aiuto di Stato, in quanto il legislatore incorre nella violazione della normativa comunitaria soltanto se concede aiuti di Stato in misura eccedente alla regola “de minimis” e non se circoscrive, nell’ambito dei suoi legittimi poteri discrezionali, benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate “per relationem” rispetto a norme dell’ordinamento comunitario» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 23 giugno 2017, n. 15688; Cass. sez. 5, 4 ottobre 2016, n. 20785; Cass. sez. 5, 20 ottobre 2011, n. 21797).
12.3. Il motivo, che omette di confrontarsi con il suddetto indirizzo, senza quindi prospettare argomenti idonei ad indurre ad una rimeditazione del suddetto orientamento, incorre, pertanto, nella c.d. inammissibilità meritale, di cui all’art. 360 bis, cod. proc. civ.
13. Avuto riguardo quindi al rigetto del terzo motivo ed all’inammissibilità, nei sensi sopra precisati, del quarto motivo di ricorso, quanto all’affermata, da parte della CTR, legittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta, per superamento della soglia de minimis, da parte della società nell’utilizzo in compensazione del credito d’imposta, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, che investono concorrenti ed autonome rationes decidendi, devono essere dichiarati inammissibili per sopravvenuto difetto d’interesse, atteso che le relative censure, quand’anche fondate, non potrebbero condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr., ex multis, Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012, n. 2108, Cass. sez. 3, 5 giugno 2007, n. 13070; Cass. sez. 3, 24 maggio 2006, n. 12372; Cass. SU, 8 agosto 2005, n. 16602).
14. Suscettibile invece di esame autonomo è l’ottavo motivo di ricorso, col quale i ricorrenti censurano per difetto assoluto di motivazione, ovvero per motivazione apparente, il capo della decisione impugnata col quale la CTR ha confermato la legittimità dell’avviso di recupero del credito d’imposta quanto all’irrogazione delle sanzioni.
14.1. Quand’anche dovesse condividersi l’assunto dei ricorrenti riguardo all’avere la decisione impugnata disatteso il relativo motivo d’appello, limitandosi ad affermare apoditticamente che non sussiste l’obiettiva incertezza quanto alla richiesta inapplicabilità delle sanzioni, essendo del tutto generico il rinvio per relationem agli «insegnamenti della giurisprudenza di legittimità», stante comunque l’esatta soluzione da parte del giudice di merito del problema giuridico sottoposto al suo esame, deve ritenersi che spetti alla Corte, in ragione della funzione nomofilattica ad essa attribuita e dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. il potere di correzione della motivazione anche a fronte della denuncia di un error in procedendo, quale la motivazione omessa (cfr., tra le altre, più di recente, Cass. sez. lav., ord. primo marzo 2019, n. 6145; Cass. SU, 2 febbraio 2017, n. 2731).
14.2. Nella fattispecie in esame, infatti, non è dato, diversamente da quanto esposto dai ricorrenti nell’ambito della formulazione della censura, rilevare alcuno degli indici sintomatici del carattere oggettivo dell’incertezza sulla portata e sull’ambito delle disposizioni di riferimento, così come indicati da Cass. sez. 5, 23 marzo 2012, n. 4685, ed ulteriore giurisprudenza conforme, sia per la chiara formulazione letterale dell’art. 7, comma 10, della l. n. 388/2000, sia per la costante, univoca interpretazione della norma medesima da parte della giurisprudenza di questa Corte, anche nel quadro della normativa sovranazionale di riferimento.
15. In conclusione il ricorso va pertanto rigettato.
16. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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