CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2018, n. 16635
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento analitico-induttivo – Redditi di impresa – Contabilità formalmente corretta – Antieconomicità della gestione – Presunzione di contabilità inattendibile – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Ritenuto che
Nella controversia concernente l’impugnazione da parte della Società S.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, dell’avviso di accertamento relativo a IRES, IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2007, la Commissione Tributaria Regionale, con sentenza n. 5233/15, depositata il 7.6.2016, rigettando l’appello proposto dalla ricorrente, confermava la decisione di primo grado favorevole all’Agenzia delle Entrate. In particolare la CTR, confermava l’accertamento in presenza di “un comportamento commerciale confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità” sorretto da presunzioni gravi precise e concordanti, idonee a rendere inattendibile la contabilità, anche con riferimento alla percentuale di ricarico.
Avverso la sentenza la contribuente propone ricorso in base a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità della sentenza per omessa esposizione del fatto, e il secondo motivo, con il quale si deduce, la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, entrambi proposti ex art. 360, n. 4, sono infondati, contenendo la sentenza impugnata gli elementi necessari, ex artt. 132 c.p.c.e 36 del d.lgs. 546/1992, al fine di consentire l’individuazione degli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Cass. 1170/2004), ed estrinsecandosi in motivazioni idonee a rilevare la ratio decidendi (cfr. Cass. 16340/2013).
2. Il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360, 1 comma n. 4, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la CTR erroneamente valutato i documenti prodotti in giudizio, dando rilievo a circostanze relative a un contenzioso differente da quello sub iudice è inammissibile. Trattasi infatti di motivo attinente alla valutazione delle prove, per il quale vige il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., che opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940/2017). Infatti l’erronea valutazione delle risultanze dell’assunzione di un mezzo di prova, attività regolata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., integra un vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nei limiti in cui tale censura è proponibile in relazione alla indicata riforma legislativa.
A ciò si aggiunga come ulteriore profilo di inammissibilità che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000/2016).
3. Va rigettato anche il quarto motivo del ricorso, con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 39, comma 1 lett. D) del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 54, comma 2 del d.P.R. 633/1972, nonché dell’art. 2727 c.c. alla luce del principio consolidato per cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. 12167/2014, n. 16773/2017).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ex art. 13 comma 1 bis d.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in € 7.000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ex art. 13 comma 1 bis d.P.R. 115/2002.
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