CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14242
Tributi – IRPEF – Accertamento – Indagini bancarie – Partecipazione in società a ristretta base societaria
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate notificò al sig. R.B. avviso di accertamento, rettificando la dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF per l’anno d’imposta 2004, in relazione alla mancata giustificazione di movimenti bancari per euro 202.372,41.
L’indagine basata sugli accertamenti bancari fu originata da verifica espletata nei confronti delle società M. S.r.l. e L.M. S.r.l., a ristretta base partecipativa, delle quali il B. era socio, unitamente al fratello G. ed alla moglie di quest’ultima R.M., società alle quali era stata contestata l’indebita detrazione d’IVA per il medesimo periodo d’imposta, con riferimento ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.
Il R.B. risultava altresì titolare di partecipazioni con il fratello e la cognata in altra società di capitali, La Sibilla Cusiana S.r.l. e, con il solo fratello G., nella società in nome collettivo Beta S.n.c. di B. G. e C.
Avverso l’avviso di accertamento il sig. R.B. propose impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Verbania, che respinse il ricorso.
Il contribuente propose appello avverso la sentenza di primo grado a lui sfavorevole dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) del Piemonte, che, con sentenza n. 85/30/12, depositata il primo ottobre 2012, non notificata, accolse il gravame, annullando l’atto impositivo.
Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Il contribuente ha depositato procura speciale ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione e successivamente memoria.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 380 bis 1., cod. proc. civ., chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 38 del d.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha escluso che potesse trovare applicazione nella fattispecie in esame la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio tra i soci di società a ristretta base partecipativa, in mancanza di un previo accertamento di maggiori ricavi in capo alle società per il medesimo periodo d’imposta, avendo riguardato gli accertamenti aventi come destinatarie la M. S.r.l. e la L.M. S.r.l. unicamente l’indebita detrazione d’IVA in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, assumendo la ricorrente che, in realtà, l’accertamento dei maggiori ricavi delle società non si fondava sugli accertamenti notificati alle società medesime, relativi appunto alle sole frodi IVA, ma su un autonomo e motivato accertamento dei movimenti bancari del socio R.B., da cui si è fatto derivare il maggior reddito della società e, poi, a cascata, essendo queste a ristretta base partecipativa, la presunzione di distribuzione di questi utili al B. stesso, non essendo possibile, come addotto nell’atto impositivo impugnato, «vista la commistione tra soggetti persone fisiche e giuridiche, individuare la precisa provenienza dei redditi percepiti».
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 e dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che fosse legittimo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, il ricorso alla presunzione legale di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, riferita ai soli versamenti, non avendo il R.B. né la qualifica d’imprenditore, né quella di lavoratore autonomo.
3. Con il terzo motivo, trattato congiuntamente dalla ricorrente, quest’ultima censura la sentenza impugnata anche per omessa, o comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui, citando il precedente di questa Corte (Cass. n. 1723/2003), la CTR ha aggiunto che l’Ufficio non avrebbe neppure fornito la prova che i movimenti risultanti sul conto corrente personale del socio fossero in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalle società, risultando omesso qualsivoglia esame del materiale probatorio a supporto.
4. Analoga doglianza è oggetto del quarto motivo di ricorso, col quale questa volta l’Agenzia delle Entrate ricorrente denuncia omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, che siano stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella sua formulazione conseguente alla modifica apportata a detta norma dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 134.
5. Infine, con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR, dopo aver osservato che nell’atto impositivo l’Ufficio ha operato con doppie presunzioni sul contribuente e sugli altri soggetti coinvolti nella vicenda senza tenere in alcun conto le deduzioni del contribuente, ha rilevato, come concorrente motivo d’illegittimità dell’avviso di accertamento, la mancata emanazione di diversi accertamenti per detti soggetti.
6. Preliminarmente va dato atto dell’ammissibilità della memoria da parte del contribuente, spedita a mezzo PEC, come chiarito da questa Corte, sotto un duplice profilo.
6.1. Quanto al primo, va ribadito che «[i]n tema di rito camerale di legittimità di cui all’art. 1-bis della l. n. 197 del 2016, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n. 168 del 2016, applicabile, ai sensi del comma 2 della stesso articolo, anche ai ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, la parte che abbia precedentemente depositato procura notarile senza notificare alcun controricorso – perduta la facoltà di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in camera di consiglio per effetto delle norme sopravvenute – può esercitare la propria difesa presentando memoria scritta ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c., e, in caso di soccombenza della controparte, ha diritto alla rifusione delle spese e dei compensi per il conferimento della procura e per l’attività difensiva così svolta» (cfr. Cass. sez. 6-3, ord. 24 marzo 2017, n. 7701; Cass. sez. 6-5, ord. 22 febbraio 2017, n. 4533; Cass. sez. 6-3, ord. 10 gennaio 2017, n. 395).
6.2. In relazione al secondo profilo, quanto alla modalità inerente alla spedizione a mezzo PEC, questa Corte di recente ha osservato che « [ n ] el giudizio di cassazione è legittimamente esaminabile la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. depositata telematicamente dal ricorrente mediante l’invio dall’indirizzo PEC indicato dal difensore in sede di costituzione in giudizio all’indirizzo PEC della cancelleria della sezione e da questa tempestivamente ricevuta, considerati sia l’equiparazione della PEC alla raccomandata stabilità dal vigente art. 6, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 82 del 2005 (già art. 48, comma 2, del medesimo decreto), recante il Codice dell’amministrazione digitale, sia i principi generali della strumentalità delle forme degli atti processuali e del raggiungimento dello scopo degli stessi» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 3 dicembre 2020, n. 28174; Cass. sez. 5, ord. 3 dicembre 2020, n. 27672).
A tali principi va assicurata in questa sede ulteriore continuità.
6.3. Ciò premesso, va dato atto che con la memoria, notificata anche alla difesa erariale, il contribuente, oltre a resistere agli avversi motivi di ricorso, ha dedotto che in relazione a successive annualità d’imposta, precisamente gli anni 2006 e 2007, ma sempre in relazione al medesimo innesco conseguito agli accertamenti bancari espletati su conto bancario personale del socio R.B., si sarebbe formato il giudicato esterno per effetto della sentenza della CTR del Piemonte n. 951/18, depositata il 24 maggio 2018, resa tra le parti in sede di giudizio di rinvio, che aveva annullato gli atti impositivi riferiti a dette annualità, a seguito della pronuncia di questa Corte, Cass. sez. 6-5, ord. 20 gennaio 2017, n. 1460.
6.4. Quest’ultima, in accoglimento del ricorso del contribuente, aveva cassato la precedente sentenza n. 405/34/2015 resa tra le parti dalla CTR del Piemonte, che aveva osservato che, perché potesse operare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci di società a ristretta base partecipativa, occorreva non solo che fosse provato detto fatto noto posto a base della presunzione, cioè la ristretta base sociale o familiare, ma anche che sussistesse un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi.
6.5. L’eccezione di giudicato esterno è infondata, prima ancora di ogni ulteriore considerazione, che risulta superflua, in ragione del fatto che la copia depositata della succitata pronuncia della CTR del Piemonte è priva dell’attestazione del passaggio in giudicato di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. (ndr art. 124 disp. att. cod. proc. civ.)
7. Venendo dunque all’esame dei motivi di ricorso, il primo motivo è infondato.
7.1. Come già osservato da questa Corte nella parallela controversia relativa, per la stessa annualità d’imposta, al fratello G. B. (cfr. Cass. sez. 5, ord. 4 agosto 2020, n. 16659), e, sempre riguardo a quest’ultimo, per successive annualità d’imposta (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 20 gennaio 2017, n. 1459), nonché nella già citata Cass. ord. n. 1460/17 relativamente agli anni 2006 e 2007 riguardo allo stesso R.B., perché possa trovare applicazione la presunzione di distribuzione tra i soci di utili extracontabili occorre che sia provata non solo la ristretta base sociale o familiare, ovvero il fatto noto posto a base della presunzione, ma altresì che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, ciò che costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi.
7.2. L’iter logico seguito invece dall’ente impositore nell’avviso di accertamento per cui è causa, in ragione della ritenuta impossibilità di attribuire, per la commistione tra le diverse persone giuridiche interessate ed i rispettivi soci, con sufficiente ragionevolezza, all’una società piuttosto che all’altra i maggiori ricavi rispetto alle risultanze contabili, finisce con il sovvertire l’ordine delle questioni, poiché, invece di presumere la distribuzione di utili partendo dalla loro realizzazione ed occultamento da parte delle società partecipate dal ricorrente, e quindi ricavarne un riscontro oggettivo nelle movimentazioni bancarie riferibili al ricorrente stesso, nella rilevata assenza di una giustificazione alternativa, vuol desumere, in maniera non corretta, la prima circostanza fattuale sulla base della seconda.
8. Il secondo ed il quarto motivo, trovando applicazione, ratione temporis, al presente giudizio, la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.
8.1. Essi sono fondati.
La sentenza impugnata è errata in diritto nella parte in cui riferisce l’applicabilità della presunzione legale relativa di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600/1973, riguardo agli accertamenti bancari, ai soli titolari di reddito d’impresa ed ai lavoratori autonomi.
8.2. Premesso che nella fattispecie in esame l’accertamento è fondato sui soli versamenti sul conto corrente personale del socio, la pronuncia della CTR contrasta, in parte qua, con quanto questa Corte ha già avuto modo di rilevare in materia, osservando che, «in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti correnti bancari, giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, ord. 16 novembre 2018, n. 29572, nonché la già citata Cass. ord. n. 15669/20 riguardo alla controversia per la stessa annualità d’imposta relativa al G.B.).
8.3. L’erroneità della statuizione resa sul punto dalla CTR ha comportato che la stessa abbia del tutto omesso tanto l’esame delle circostanze fattuali dedotte dall’Ufficio e poste a base dell’accertamento, con riferimento ai versamenti ritenuti ingiustificati, circostanze riportate in dettaglio nell’articolazione della censura di cui al quarto motivo, quanto le giustificazioni fornite dal contribuente, onde verificarne l’idoneità al superamento della presunzione legale di imputazione a reddito.
9. L’accoglimento dei motivi dinanzi esaminati comporta l’assorbimento del terzo e del quinto motivo.
10. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
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