CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2018, n. 10245
Tributi – Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Dichiarazione congiunta – Notificazione – Procedimento – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
1. E.M., A.M., in qualità di eredi dei genitori G.M. e M.R.F., hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria centrale della Liguria (hinc: CTC), indicata in epigrafe, che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento, notificato il 15/12/1987, relativo all’anno di imposta 1983, che rettificava in aumento, con accertamento sintetico, ai fini IRPEF, ILOR, la dichiarazione congiunta dei redditi dei coniugi G.M. e M.R.F., ed applicava la relativa sanzione – ha riformato la sentenza d’appello (conforme a quella di primo grado) favorevole ai contribuenti.
La Commissione centrale, respinta l’eccezione dei contribuenti di tardività dell’impugnazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della sentenza d’appello, ha ritenuto corretta la ricostruzione sintetica del reddito dei coniugi Massone sulla base di alcuni indici di capacità di spesa, quali la disponibilità di due autovetture, di due residenze secondarie, di un’imbarcazione da diporto e di cavalli da equitazione.
Considerato in diritto
0. In via preliminare, è priva di pregio l’eccezione d’improcedibilità sollevata dalle ricorrenti sul presupposto della presentazione del ricorso alla CTC in data 5/10/1993, oltre il termine di 60 giorni, scaduto il 4/10/1993.
La CTC ha correttamente disatteso tale eccezione; al riguardo si osserva che l’Ufficio ha prodotto l’originale del «Mod. 9-A» da cui risulta che il ricorso alla Commissione centrale è stato inviato, tempestivamente, in data 4/10/1993.
È il caso di richiamare il principio, affermato per la prima volta dalla Corte costituzione (Corte cost. 4/12/2002, n. 477), ancor prima delle modifiche apportate all’art. 149 cod. proc. civ. dalla legge n. 263/2005, secondo cui la notificazione si perfeziona per il notificante non quando l’atto sia stato ricevuto dal destinatario, bensì dal momento in cui il procedimento di notificazione ha avuto inizio con la consegna dell’atto medesimo a chi è incaricato della notifica (cfr., ex multis, Cass. sez. un. 19/04/2013, n. 9535).
1. Primo motivo del ricorso: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, degli artt. 38, 4° comma d.p.r. 1973, n. 600, 1, 2 e 3 D.M. 21 luglio 1983, in relazione all’art. 360, 1° comma n. 3 c.p.c.».
Le ricorrenti lamentano l’illegittimità della sentenza impugnata che avrebbe avallato la ricostruzione sintetica del reddito operata dal Fisco, ritenendo irrilevante l’aspetto relativo all’uso per finalità lavorative delle due autovetture, nonostante la conclamata e mai contestata appartenenza ed intestazione delle stesse allo Stabilimento Farmaceutico C.G.T. Spa, presso il quale lavoravano i coniugi M., e nonostante la loro utilizzazione (avvalorata dal fatto che uno dei veicoli era un furgone), per lo svolgimento dell’attività d’impresa dello Stabilimento T. che, difatti, ne sopportava i costi di utilizzazione e di manutenzione.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Sotto l’apparenza della violazione e falsa applicazione di norme di diritto – secondo quanto si evince dal tenore letterale della doglianza – si deduce, in realtà, un vizio motivazionale.
Al giudice di legittimità, però, non può essere demandato il compito di sostituirsi al ricorrente nell’esatta individuazione del rilievo critico che è rivolto alla decisione impugnata (Cass. 5/04/2017, n. 8787).
Secondo la giurisprudenza della Corte, il vizio di motivazione postula un giudizio critico sulla ricostruzione dei fatti giuridicamente rilevanti e l’allegazione di lacune e incoerenze, nel percorso argomentativo della sentenza di merito, talmente consistenti da impedire l’individuazione della ratio decidendi, aspetto, quest’ultimo, che non è stato nemmeno sommariamente adombrato in ricorso (Cass. 26/03/2014, n. 7040).
Nella specie, non vengono dedotti, in modo puntuale e circostanziato, fatti contrastanti con la struttura logico-giuridica della sentenza della CTC e neppure è allegata l’esistenza di elementi, concreti e obiettivi, che la pronuncia avrebbe erroneamente disatteso nell’affermare la legittimità dell’accertamento sintetico del reddito dei coniugi M..
Le ricorrenti si limitano, in modo inammissibile, a sostenere che, nell’ottica della ricostruzione sintetica del reddito, non è sufficiente la disponibilità di un bene o di un servizio, da parte del contribuente, ma occorre anche verificare il suo concreto utilizzo per fini personali e la correlata ed effettiva capacità di spesa in capo al soggetto che ne ha la disponibilità, per poi concludere che nessuna presunzione di reddito poteva essere correlata alla disponibilità dei due veicoli, in quanto utilizzati dai coniugi M. per finalità lavorative e non personali (cfr. pagg. 11 e seguenti del ricorso).
Il rilievo critico, teso a sollecitare, contra ius e in violazione dei limiti del sindacato di legittimità, una nuova valutazione dei fatti, si pone in palese contrasto con l’accertamento di merito compiuto della CTC che, sul punto, ha stabilito che: «il prevalente uso degli autoveicoli per esigenze della società non è stato evidenziato dal contribuente né nel detto quadro della dichiarazione dei redditi né nel formulario compilato…» (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
La tesi difensiva in esame, quindi, si sostanzia nella violazione del principio, più volte espresso da questa Corte, secondo cui il giudizio di legittimità non è un ulteriore grado di merito, nel quale possono essere dedotti elementi di fatto già valutati dai giudici precedenti, al fine di pervenire a un loro diverso apprezzamento; il giudizio di cassazione si configura come un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione determinata dalla natura dei vizi dedotti, nel quale non è consentito fare valere l’ingiustizia della sentenza gravata (Cass. 14/03/2006, n. 5443).
2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, degli artt. 115, 1° comma c.p.c., 416, comma 3 c.p.c., 167 c.p.c., 23, comma 3, d.lgs. 1992, n. 546 (principio di non contestazione), 111 Cost., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.».
Le ricorrenti si dolgono dell’illegittimità della statuizione della sentenza impugnata, secondo cui il prevalente uso degli autoveicoli per esigenze della società non era mai stato evidenziato dal contribuente nella fase amministrativa, sulla base dell’asserita violazione del principio di non contestazione, in quanto l’Ufficio non avrebbe messo in dubbio quella circostanza e si sarebbe limitato ad affermare che, nella prospettiva dell’accertamento sintetico del reddito, ciò che conta è la disponibilità di fatto del veicolo, da parte del contribuente, mentre è irrilevante la circostanza che le relative spese siano sostenute da un altro soggetto.
2.1. Il motivo è infondato.
L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che la disponibilità di due veicoli, da parte dei coniugi Massone, costituisse un indice presuntivo della loro capacità contributiva, mentre è sottratta al controllo di legittimità demandato alla Corte la valutazione di merito, compiuta dal giudice di appello, circa la mancata dimostrazione, da parte dei contribuenti, in fase amministrativa e in fase contenziosa, del prevalente uso dei veicoli per esigenze della società.
3. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, degli artt. 2 comma 1 e 3, comma 3 D.M. 21 luglio 1983, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.».
Si denuncia che la sentenza impugnata abbia ritenuto legittimo l’accertamento sintetico, senza considerare che gli “ulteriori beni” (barca a vela e cavalli da equitazione) erano pacificamente nella disponibilità dell’intero nucleo famigliare (i coniugi dichiaranti e le due figlie), composto da quattro persone, ciascuna delle quali titolare di un proprio reddito.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Valgono al riguardo le stesse considerazioni che hanno condotto alla declaratoria d’inammissibilità del primo motivo (cfr. par. 1.1.), con la precisazione che la ricostruzione in fatto della CTC, in merito alla destinazione “degli ulteriori beni” (barca da diporto e cavalli), non è riferita in termini puntuali dalle ricorrenti; infatti, nella sentenza impugnata si afferma che: «Identica valutazione si impone riguardo agli ulteriori indici sui quali è stato fondato l’accertamento induttivo, posto che gli altri componenti del nucleo familiare nulla hanno dichiarato riguardo alla disponibilità dell’imbarcazione o dei cavalli, di talché la difforme prospettazione effettuata dal contribuente in sede contenziosa pare doversi apprezzare come espediente difensivo del tutto sfornito di prova.» (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
4. Quarto motivo: «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 4, comma 1 D.M. 21 luglio 1983, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.».
Le contribuenti fanno valere l’illegittimità della sentenza impugnata che non avrebbe tenuto conto che il maggiore reddito, accertato sinteticamente, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, era pienamente giustificato dalla cospicua capacità reddituale dei coniugi M., risultante dalle loro dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti e che, pertanto, sussistevano comprovati motivi per la sua riduzione, almeno, nella misura non superiore ad un terzo.
Aggiungono che la CTC, una volta ritenute irrilevanti le giustificazioni dei contribuenti riguardanti la disponibilità di alcuni beni (le autovetture) e la necessità di ripartire il reddito ricostruito sinteticamente tra i quattro componenti il nucleo famigliare (genitori e due figlie), avrebbe dovuto applicare la norma equitativa prevista dall’art. 4, primo comma, d.m. 21 luglio 1983, secondo cui l’Ufficio può escludere, per comprovati motivi e per non oltre un terzo che il valore del reddito accertato sia attribuibile al contribuente.
4.1. Il motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata risulta che l’Ufficio, aderendo a questa prospettazione difensiva, ha aderito ad una parziale riduzione del reddito imponibile sinteticamente accertato da lire 130.963.000, a lire 118.133.000, ragione per cui la CTC non è incorsa nel dedotto errore di diritto per non avere applicato la disposizione equitativa dell’art. 4, primo comma, cit. della quale, come suaccennato, si era già avvalso l’Agenzia fiscale.
5. Quinto motivo: «Omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio (art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c.)».
Le ricorrenti addebitano alla sentenza impugnata l’omesso approfondimento dei seguenti «fatti decisivi» per il giudizio, capaci di abbattere il reddito attribuito, erroneamente, al solo M. quale destinatario dell’accertamento fiscale: a) le due autovetture erano di proprietà dello Stabilimento T. ed erano utilizzate dai coniugi M. per l’attività lavorativa; b) le figlie dei contribuenti, di cui una convivente con i genitori, erano titolari, ciascuna, di un consistente reddito; c) queste ultime utilizzavano, in via esclusiva, sia la barca a vela che i cavalli da equitazione.
5.1. Il motivo è infondato.
È il caso di sottolineare, ancora una volta (cfr. par. 1.1., 3.1.), che la CTC, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, ha riconosciuto la legittimità dell’attività accertatrice dopo avere specificamente valutato i summenzionati elementi di fatto, sottoponendoli ad uno scrupoloso apprezzamento di merito, insindacabile nel giudizio di cassazione.
6. Ne deriva il rigetto del ricorso.
7. Le spese processuali del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 3.500,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
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