CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2018, n. 10246
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Recupero credito – Iscrizione a ruolo
Rilevato che
1. S.E. ricorre con due motivi contro I’ l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 14/01/10 della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, del giorno 18 marzo 2010, depositata il giorno 27 aprile 2010 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, confermando la sentenza della C.T.P. di Cagliari, in controversia concernente l’impugnativa di tre atti di recupero del credito ai fini IRPEF per gli anni 2002, 2003 e 20004, e della cartella di pagamento emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo delle somme recuperate, oltre sanzioni ed interessi;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Sardegna ha ritenuto che gli atti di recupero dei crediti fossero legittimi, perché “le prestazioni lavorative di collaborazione familiare e di assistenza a favore di parenti ed affini, anche in difetto di convivenza, si presumono gratuite” e che tale presunzione può essere superata solo con una prova rigorosa dei requisiti del rapporto di lavoro subordinato, che nel caso di specie il contribuente non avrebbe fornito;
inoltre, la C.T.R. ha escluso che per gli atti di recupero dei crediti relativi alle annualità 2002 – 2003 fosse maturata l’eccepita decadenza, essendo applicabile agli stessi il termine di decadenza di cui all’art. 43 D.P.R. n.600/73, e, di conseguenza, la proroga di cui alla legge n. 289/00, oppure, diversamente opinando, l’ordinario termine di prescrizione decennale;
3. a seguito del ricorso di S.E. avverso la sentenza della C.T.R. della Sardegna, l’Agenzia delle Entrate si costituiva ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 15 marzo 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 388/2000, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., deducendo che erroneamente la C.T.R. della Sardegna avrebbe ritenuto sussistente una presunzione di gratuità del rapporto di lavoro tra parenti ed affini non conviventi, onerando il contribuente di provare gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato;
secondo il contribuente detta presunzione deve, invece, essere esclusa in difetto di convivenza (dato pacifico e non contestato nel caso in esame), operando la diversa presunzione di onerosità della prestazione effettuata in esecuzione di un rapporto di lavoro;
dunque, sarebbe spettato all’Amministrazione provare lo stato di mutua assistenza e solidarietà, da cui la gratuità del rapporto di lavoro, e non al contribuente fornire la prova contraria;
1.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;
1.3. ed invero, “in tema di onere della prova relativo al rapporto di lavoro subordinato, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l’accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera “ipso iure” una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; pertanto, la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione” (Cass. sent. n. 17992/2010);
alla luce di tale principio, la decisione impugnata, sebbene erroneamente abbia ritenuto operante la presunzione di gratuità del rapporto lavorativo anche in difetto di convivenza, risulta comunque corretta nell’esigere una prova rigorosa da parte del contribuente sulla esistenza del rapporto di lavoro subordinato a titolo oneroso, che costituisce il presupposto per l’applicazione dell’agevolazione fiscale, altrimenti non spettante;
“in tema di agevolazioni tributarie, chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione” (Cass. ord. n. 23228/2017);
il giudice di appello, ritenendo correttamente che fosse onere del contribuente provare i requisiti per usufruire dell’agevolazione fiscale, cioè la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha ritenuto che tale prova rigorosa non fosse stata fornita, con un ragionamento che non risulta specificamente impugnato dal ricorrente, per cui il motivo di ricorso non può essere accolto;
2.1. con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 10 L. n.289/02, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c., deducendo che erroneamente la C.T.R. della Sardegna non avrebbe ritenuto fondata l’eccezione di decadenza degli atti di recupero emessi per gli anni 2002 e 2003, a seguito della mancata osservanza del termine quadriennale disposto dall’art. 43 D.P.R. 600/1973, che non comporterebbe l’immediata applicabilità della proroga biennale di cui all’art. 10 L. n. 289/02;
2.2. il motivo è infondato e va rigettato;
2.3. ed invero, secondo il ricorrente è applicabile alla fattispecie in esame il termine decadenziale di cui all’art. 43 D.P.R. n. 600/73, dovendosi equiparare l’atto di recupero del credito ad un avviso di accertamento, con l’imprescindibile contenuto di accertamento negativo;
non sarebbe, invece, applicabile la proroga di cui alla legge n. 289/02, che si riferirebbe solo alla definizione delle imposte quali IRPEF, IRAP ed IVA, per chi non abbia aderito alla sanatoria di cui agli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge;
ritiene il ricorrente che il contribuente non avrebbe potuto avvalersi della sanatoria di cui agli artt. 7, 8 e 9 legge n. 289/02 per i crediti d’imposta, il cui accertamento non è escluso dall’adesione alla sanatoria, per cui non sarebbe applicabile la proroga biennale in relazione all’accertamento della sussistenza dei presupposti per la fruizione dei crediti di imposta;
la tesi del ricorrente non è condivisibile perché la “ratio” della proroga di cui all’art. 10 L. n. 289/02 non risponde a finalità punitive per il contribuente che non abbia aderito alla sanatoria, ma unicamente all’interesse dell’amministrazione finanziaria al regolare accertamento ed alla riscossione dei tributi;
la Corte Costituzionale chiarisce che “la proroga disposta dalla norma censurata ha la finalità non di “punire” chi abbia scelto di non avvalersi del condono, ma di ovviare al sensibile aggravio di lavoro e ai relativi rischi di disservizio e di mancato rispetto degli ordinari termini di prescrizione e di decadenza della pretesa fiscale, che prevedibilmente derivano agli uffici finanziari dalla necessità di eseguire le operazioni di verifica conseguenti alla presentazione delle richieste di condono dei contribuenti; con ciò essa è, dunque, diretta a tutelare il preminente interesse dell’amministrazione finanziaria al regolare accertamento e riscossione delle imposte nei confronti del contribuente che non si avvalga dell’agevolazione, indipendentemente dalla circostanza che quest’ultimo non si sia avvalso, per qualche ragione (giuridica o di fatto), dell’agevolazione medesima”(C. Cost. sent. n. 356/08);
diventa, quindi, irrilevante che il contribuente, con l’adesione alla sanatoria, non avrebbe comunque impedito l’accertamento ed il recupero, da parte dell’amministrazione finanziaria, dei crediti indebitamente utilizzati (mentre avrebbe inibito ulteriori accertamenti sul debito di imposta), poiché la proroga del potere di accertamento di cui all’art. 10 L. n. 289/02 non ha natura sanzionatoria della mancata adesione al condono, ma tutela il preminente interesse pubblico dell’Amministrazione Finanziaria in conseguenza del sensibile aggravio di lavoro collegato al condono;
in assenza di adesione alla sanatoria, non vi è, quindi, motivo di derogare al principio, più volte espresso da questa Corte, secondo cui “in tema di agevolazioni tributarie, l’azione di recupero del credito di imposta, concesso ai sensi dell’art. 8 della l. n. 388 del 2000, è sottoposta ad un termine di decadenza, che non può essere diverso, quanto a durata, da quello previsto per il potere di accertamento dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973” (Cass. sent. n. 15186/16; vedi anche sent. n. 19561/2014 e n. 15634/2014);
in conclusione, la considerazione che il contribuente non avrebbe potuto avvalersi della sanatoria di cui agli artt. 7, 8 e 9 legge n.289/02 per i crediti d’imposta non vale ad escludere che, per l’accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti per la fruizione dei crediti di imposta, operi la proroga biennale nel caso in cui il contribuente non abbia aderito alla sanatoria, sulla base di una sostanziale equiparazione tra l’atto di recupero del credito, accertativo della pretesa tributaria, con natura impositiva, e l’avviso di accertamento (vedi sul punto Cass. n. 16964/2016; n. 3816/2018);
3.1. atteso il rigetto del ricorso e la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate, nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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