CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 settembre 2021, n. 26257
Riconoscimento di rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Domanda – Mansioni di autista di bus e di minibus – Differenze retributive
Rilevato che
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 492 del 2017, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede, emessa in data 12.2.2016, con la quale la L.A. srl era stata condannata al pagamento, in favore di D.B., della somma di euro 6.751,63 a titolo di differenze retributive, di cui euro 458,63 a titolo di TFR.
2. I giudici di seconde cure – a fronte di una domanda di riconoscimento di rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la suddetta società, verso cui aveva svolto mansioni di autista di bus e di minibus quale lavoratore subordinato per i periodi 1.7.2011/1.12.2011; 2.12.2011/2.12.2012; 2.12.2012/4.3.2013, lavorando sette giorni a settimana, senza fruire di ferie, permessi e festività e senza essere stato retribuito, anche con riguardo al lavoro straordinario e al TFR – in assenza di ulteriori allegazioni sulla articolazione del rapporto, hanno ritenuto corretta la conclusione del primo giudice che aveva fatto riferimento alle risultanze dell’estratto contributivo e individuato come periodi lavorativi solo quelli in esso indicati; inoltre, hanno considerato inammissibili i documenti (buste paga – dischi cronotachigrafi) prodotti in appello o perché irrilevanti oppure perché non citati nel ricorso introduttivo e per i quali non era stata avanzata richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.; hanno, infine, opinato congruo l’importo liquidato perché conforme alle risultanze istruttorie e alle prove offerte.
3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione D.B. affidato a tre motivi.
4. L.A. srl non ha svolto attività difensiva.
5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 co. 1 n. 3 epe in relazione all’art. 345 co. 2 c.p.c., all’art. 437 c.p.c. ed agli artt. 116 co. 1 c.p.c., 115 co. 1 c.p.c.
Deduce che erroneamente la Corte territoriale non aveva ammesso le nuove prove documentali prodotte, nonostante fossero indispensabili per la decisione della causa e senza considerare che il mancato possesso, da parte di esso lavoratore, era stato determinato dal comportamento ostruzionistico della società, così incorrendo non solo nella violazione del disposto di cui all’art. 345 c.p.c. in tema di ammissibilità delle nuove prove, ma anche nella omessa valutazione di elementi comprovanti le molteplici incongruenze tra le ore di lavoro dichiarate in busta paga e quanto risultava provato per tabulas dai dischi cronotachigrafi.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., in relazione al mancato esame della dinamica dei fatti oggetto di prova e contestuale violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per vizio di motivazione.
Si sostiene che la Corte di merito, commettendo un vizio di motivazione con il ritenere tardivi i documenti prodotti in appello, aveva aderito alla valutazione sul quantum debeatur effettuata dal primo giudice, con ciò uniformandosi ad una ingiusta determinazione degli importi liquidati a titolo di retribuzione.
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 epe, in relazione all’art. 91 c.p.c., per essere stato condannato al pagamento delle spese di giudizio di secondo grado, non considerando la Corte che il criterio della soccombenza doveva essere riferito all’esito finale della lite e che avrebbe dovuto essere valutato, nel presente giudizio di lavoro, l’esonero del lavoratore dai rischi del processo attuato mediante l’esonero dal pagamento dell’imposta di bollo nonché la circostanza che egli versava in una condizione economica di estrema precarietà in quanto risultava essere disoccupato.
5. Il primo motivo è infondato.
6. In sede di legittimità è stato affermato che, nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prova in appello, è possibile l’ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche di ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per “indispensabilità” delle nuove prove ad una loro “influenza causale più incisiva” rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto “rilevanti”, ovvero a prove che sono idonee a fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano ad un esito “necessario” della controversia (cfr. Cass. n. 1333 del 2012).
7. E’ necessario, inoltre, che la produzione di nuovi documenti, sempre che siano indispensabili come sopra detto, non comporti l’introduzione nel giudizio di secondo grado di nuove allegazioni di fatto, restandone altrimenti snaturato il giudizio di prime cure, che finirebbe con lo svolgersi sulla base di elementi parziali (Cass n. 3506 del 2012; Cass. n 13491 del 2014 in motivazione).
8. Nella fattispecie la Corte territoriale si è attenuta a tali principi e, con un accertamento in fatto, congruamente motivato ed espressione del potere di valutazione delle prove da parte del giudice di merito, e quindi insindacabile in questa sede, ha precisato l’irrilevanza delle buste paga in quanto relative ad un periodo (dicembre 2011 – aprile 2013) per il quale era stato già riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato per le parti; ha, poi, rilevato, con riguardo alle prodotte copie dei dischi cronotachigrafi, che si trattava di documentazione mai citata nel ricorso introduttivo di primo grado e che, in ogni caso, avrebbe potuto essere richiesta con un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., mai però avanzata.
9. La decisione, pertanto, di inammissibilità delle prove documentali prodotte solo in appello è giuridicamente corretta e resiste alle censure formulate dal ricorrente.
10. Il secondo motivo non è meritevole di pregio.
11. Le doglianze, proposte ai sensi dell’art. 360 co. 5 c.p.c. e relative al mancato esame della dinamica dei fatti oggetto di prova, incontrano il limite della ed. “doppia conforme” disciplinata dall’art. 348 ter u.c. c.p.c., risolvendosi esse in una inammissibile richiesta di rivisitazione delle questioni di fatto oggetto del merito della vicenda.
12. Analogamente è inammissibile il denunciato vizio di motivazione perché esso sussiste solo quando la pronuncia riveli un’obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 25866 del 2010; Cass. n. 12664 del 2012): nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici.
13. Il terzo motivo è, infine, infondato.
14. Il giudice di appello deve tenere presente l’esito complessivo della lite solo allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata (tra le altre Cass. n. 18837 del 2010).
15. Nell’ipotesi in cui, invece, il gravame venga rigettato con la conferma della sentenza di prime cure, non può essere seguito il criterio di adeguamento al risultato finale dell’intero processo indipendentemente dall’esito alterno delle sue varie fasi, ma va seguito il solo criterio di adeguare la pronuncia sulle spese del giudizio di appello al risultato dello stesso giudizio.
16. Sotto questo profilo, pertanto, non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 91 c.p.c. da parte dei giudici di seconde cure, vertendosi nel grado in una ipotesi di soccombenza totale; né può essere sindacata la mancata pronuncia sulla compensazione per le precarie condizioni economiche del ricorrente, essendo appunto la compensazione esercizio di una facoltà discrezionale e insindacabile del giudice del merito (Cass. n. 5390 del 2000; Cass. n. 1896 del 2002).
17. Non può assumere, infine, rilevanza neanche l’esenzione dall’imposta di bollo delle controversie in materia di lavoro che attiene al rapporto tributario e, essendo normativa di carattere eccezionale finalizzata ad agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, non è suscettibile di interpretazione analogica o estensiva, cosicché i benefici previsti non possono essere estesi alle determinazioni sulle spese processuali (cfr. Cass. n. 7294 del 2013) e, in particolare, sulla eventuale compensazione delle stesse.
18. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
19. Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
20. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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