CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8844
Tributi – Accertamento – Istanza di rimborso – Dichiarazione dei redditi – Crediti – Contenzioso tributario
Ritenuto in fatto
Credit S., filiale di Milano, ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi a seguito di presentazione di istanze di rimborso dei crediti Irpeg, Ilor relativi al periodo di imposta 1996, del credito Irpeg relativo al periodo di imposta 1997, nonché dei crediti Irpeg ed Irap relativi al periodo di imposta per l’anno 2000. In particolare, i crediti per quest’ultimo anno, risultavano dalla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2001 della Credit S. First Boston S.p.A. in liquidazione, successivamente acquistati, per atto per notaio Quagliata di Milano, dalla ricorrente Credit S..
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano (di seguito, per brevità, CTP), con sentenza n. 232 del 2009, accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo il diritto al rimborso di tutti i crediti, ma non il diritto al risarcimento del maggior danno da svalutazione pure richiesto dalla società contribuente.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito, per brevità, CTR) limitatamente alla parte riguardante il credito Irpeg chiesto a rimborso per il periodo di imposta dell’anno 2000. La Credit S. proponeva appello incidentale avverso il capo della sentenza in cui era stata rigettata la domanda di risarcimento da danno da svalutazione.
La CTR dichiarava inammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate, per novità delle eccezioni proposte; respingeva l’appello incidentale della società, confermando integralmente la sentenza della CTP. Avverso la decisione adottata dalla CTR, ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste con controricorso la società, che propone ricorso incidentale.
Considerato che
1. A sostegno del ricorso principale, l’Agenzia delle Entrate deduce i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza impugnata per inosservanza, dell’articolo 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la Commissione Regionale ha ritenuto l’inammissibilità di questioni, quali la non debenza dell’importo richiesto a rimborso per l’anno d’imposta 2000 perché afferenti a credito provvisorio, azionato da dichiarazione relativa a periodo intermedio, e non finale, di fase di liquidazione; 2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’articolo 360, n. 3, cod. proc. civ. nella parte in cui ha ritenuto l’inammissibilità di tali questioni, non costituenti eccezioni nuove ma mere difese.
2. La società contribuente ha resistito al gravame principale con controricorso nel quale ha proposto ricorso incidentale, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nella parte in cui ha rigettato la richiesta di maggior danno ritenendo non applicabili ai crediti di imposta le disposizioni di cui all’art. 1224 cod. civ..
3. Il ricorso principale è fondato.
4. Già da tempo, questa Corte ha chiarito che, nel processo tributario, quando come nella specie, «(…) il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, lo stesso deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto. L’amministrazione finanziaria, quindi, può difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto. Le eventuali “falle” del ricorso introduttivo, quindi, possono essere rilevate a prescindere dallo sbarramento di cui all’art. 57 d.lgs. n. 546 del 31/12/1992 in quanto, comunque, attengono all’originario thema decidendum (sussistenza/insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato.» (cfr. Cass. n. 31626 del 06/12/2018; Cass. n. 3388 del 11/02/2011; Cass. n. 21314 del 15/10/2010; Cass. n. 1133 del 11/01/2009; Cass. n. 11682 del 21/05/2007).
3.2. Che la questione rilevata dall’Amministrazione – secondo cui ai sensi art. 182 d.P.R. n. 917 del 1986, con la messa in liquidazione della società inizia un periodo d’imposta soggetto a regole particolari, ove, per gli esercizi intermedi tra l’inizio della liquidazione e la fine della medesima, la determinazione del reddito è fatta provvisoriamente e salvo conguaglio in base al bilancio finale e non secondo il reddito d’impresa – non costituisca questione nuova ma attiene all’originario “thema decidendum”, si ricava in primo luogo dal fatto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, la costituzione nel giudizio di primo grado dell’Agenzia delle Entrate v’è stata, seppur formalizzata con un unico foglio con il quale, tuttavia, l’Agenzia ha fatto quanto era suo onere di convenuto, deducendo l’infondatezza nel merito del ricorso e la mancanza di prove idonee a sostenere la domanda di rimborso. In altri termini, poiché con l’atto di costituzione l’Agenzia ha preso posizione rispetto alla domanda di rimborso, contestando la totale infondatezza della richiesta di rimborso, ciò, avrebbe dovuto portare la CTR, da un lato, a rimarcare l’onere della società contribuente di dimostrare i presupposti della domanda di rimborso, dall’altro, a consentire all’Amministrazione di specificare, seppur in sede di appello, le questioni oggetto di giudizio riguardanti la legittimità/illegittimità del rifiuto al rimborso.
4. In secondo luogo, per orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello posto dall’articolo 57 comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, riguarda l’eccezione in senso tecnico, ossia il mezzo con cui il contribuente, convenuto in senso sostanziale, frapponga un fatto avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale; tale divieto, quindi, non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già oggetto del giudizio perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza dell’eccezione non costituiscono a loro volta eccezioni in senso tecnico (cfr. Cass. n. 23587 del 21/11/2016; Cass. n. 11223 del 2016, Rv. 639912 – 01; Cass. n. 18602 del 2013 Rv. 627483 – 01; Cass. n. 11682 del 2007, Rv. 599460 – 01).
4.1 Nel caso in esame, dunque, l’Agenzia delle Entrate rilevando che solo al termine della chiusura della liquidazione si sarebbe potuto determinare il reddito d’imposta, mentre per gli esercizi intermedi il reddito si sarebbe dovuto determinare secondo le regole ordinarie relative al reddito di impresa, non fa altro che avanzare una difesa argomentativa sui fatti oggetto del giudizio e già contestati in sede di costituzione, prospettando le ragioni che avrebbero legittimato il rifiuto dell’Ufficio all’istanza di rimborso.
5. Per tutto quanto esposto, accolto il primo motivo del ricorso principale, per essere incorsa la CTR in error in procedendo, ed assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame nel merito.
6. Passando all’esame del ricorso incidentale, già da tempo, questa Corte, in tema di obbligazioni pecuniarie derivanti da crediti di imposta, ha affermato il principio secondo cui, non sono applicabili gli artt. 1224, comma 1, e 1284 c.c., stante la speciale disciplina di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, che impone un’interpretazione restrittiva dell’articolo 1224 cod. civ. secondo comma, nel senso, più rigoroso, che il danno da svalutazione monetaria può essere riconosciuto solo ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro dovutogli nell’investimento in titoli di Stato e che, nel periodo temporale di interesse, il relativo rendimento era stato superiore al saggio degli interessi moratori riconosciuti dal citato art. 44, quantificando l’entità della differenza Sez. 5 , Ordinanza n. 16087 del 28/06/2017 Rv. 644700-01; Cass. n. 11943 del 2016, Rv. 640142 – 01).
7. Non pare dunque che nel caso all’esame, il Giudice di appello sia incorso in violazione dell’art. 1224 cod. civ., in relazione all’articolo 360, cn. 3 cod. proc. civ., nella parte in cui ha non ha considerato, ai fini del danno da svalutazione, il calcolo del rendimento che la società avrebbe ottenuto, con la disponibilità della somme, dalla gestione degli impieghi mediante ROI. Ed invero, anche nel caso in cui si ipotizzasse l’esistenza di un danno da svalutazione a norma dell’articolo 1224 cod. civ., secondo comma, con riferimento al maggior rendimento ROI, rimarrebbe comunque applicabile la regola secondo cui in caso di ritardato adempimento dell’obbligazione pecuniaria, il danno da svalutazione monetaria non è mai “in re ipsa” ma può essere liquidato soltanto ove il creditore dimostri che un tempestivo investimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione. Tali principi non hanno ragione di non applicarsi nell’ipotesi – che qui occupa – di pretese al rimborso vantate dal contribuente, rispetto alle quali, peraltro, In considerazione della specialità della disciplina dell’obbligazione tributaria, la prova del danno da svalutazione non può non essere valutata con ancor maggior rigore (in termini, cfr. Cass. n. 16087 del 2017 cit., che richiama Sez. U. n.16871 del 31/07/2007, Rv. 598300-01).
8. Sul punto, non può mancarsi di rilevare, che il ricorrente incidentale reitera in sede di legittimità le allegazioni già proposte nel giudizio di merito sui tassi di rendimento ottenuto dalla gestione degli impieghi e misurato dal ROI (“Return Ori Investment”) – indice di bilancio che misura la redditività del capitale investito nella gestione d’impresa-, allegando la documentazione prodotta nel giudizio di merito, per sostenere la sufficienza di tali risultanze per il danno da svalutazione, nonostante tali deduzioni difensive, introducono evidenti profili di inammissibilità del motivo nella parte in cui tentano di rimettere a questo giudice di legittimità, una nuova e diversa valutazione delle risultanze probatorie, e ciò in disparte la considerazione che il ricorrente incidentale non censura, sotto il profilo del vizio di motivazione in fatto, con riguardo alla documentazione prodotta, la gravata sentenza.
9. Conclusivamente, il ricorso principale va accolto ed il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
10. In accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente grado di giudizio.
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