Corte di Cassazione, ordinanza n. 20322 depositata il 10 luglio 2023
si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento – nella ipotesi in cui una sentenza passata in giudicato abbia definito il giudizio su di un presupposto processuale e non sia entrata nel merito della causa, la statuizione sulla questione di rito, dando luogo soltanto al giudicato formale, ha effetto limitato al rapporto processuale nel quale è emanata e non è idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale
Rilevato che:
1. A.A., medico specialista presso la ASL di Cuneo 2, proponeva ricorso contro il silenzio rifiuto serbato dall’Agenzia delle Entrate sull’istanza di rimborso dell’Irpef trattenuta, per gli anni dal 2005 al 2014, sui rimborsi delle spese per l’utilizzo dell’auto personale.
La CTP di Cuneo dichiarava inammissibile il ricorso perchè la parte aveva già proposto altro ricorso contro lo stesso silenzio rifiuto notificandolo ma non iscrivendolo a ruolo.
2. La CTR adita dalla contribuente rigettava l’appello, confermando la pronuncia di inammissibilità del ricorso in quanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, prevede che il ricorso notificato debba essere depositato nella segreteria della Commissione tributaria entro 30 giorni pena la sua inammissibilità. Ove ciò non avvenga, come nel caso di specie, la parte non può presentare un nuovo ricorso contro il silenzio rifiuto, ciò violando il principio del ne bis in idem; evidenziava altresì che, anche volendo superare la dedotta inammissibilità, nel merito la domanda non era provata in quanto si trattava di spese sostenute per gli spostamenti all’interno del Comune ove aveva sede l’ASL. 3. Contro tale sentenza la contribuente propone ricorso, affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria.
L’Agenzia resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la Camera di consiglio del 14/06/2023, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis.1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 otto 2016, n. 197.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione o la omessa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e art. 132 c.p.c., dolendosi della motivazione meramente apparente della sentenza sia in relazione al vizio di inammissibilità che in relazione al merito del rimborso.
Con il secondo motivo deduce “falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992 art. 22, comma 1, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 3” e “illogicità della motivazione sulla violazione del ne bis in idem in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, lamentando che la presentazione del ricorso contro il silenzio rifiuto prevede, come termine ad quem, solo quello decennale previsto dal predetto art. 21, comma 2, irrilevante essendo che un precedente ricorso non sia stato poi iscritto a ruolo.
Con il terzo motivo deduce “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 271 del 2000, art. 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” e “erronea qualificazione della natura retributiva del rimborso spese di accesso D.P.R. n. 271 del 2000, ex art. 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, censurando la errata qualificazione della natura retributiva e non risarcitoria del rimborso spese previsto dalla prima disposizione.
2. Si premette che il primo motivo, sebbene faccia riferimento alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidentemente censura la nullità della sentenza per vizio di motivazione; giova precisare che in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata, nella rubrica del motivo, non determina ex se l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 23/05/2018, n. 12690).
Il motivo tuttavia è infondato.
2.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (e nel caso di specie del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, si configura quando la motivazione “manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626).
In particolare si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella “perplessa e incomprensibile”; in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate).
2.2. La motivazione della C.T.R. nel caso di specie, premesso in fatto che risultava pacifico che la contribuente avesse proposto altro ricorso non seguito da regolare costituzione in giudizio, individua la propria ratio decidendi nella conferma di quanto ritenuto dalla C.T.P. in merito all’inammissibilità di un secondo ricorso contro il medesimo silenzio rifiuto, dopo che un primo ricorso sia stato notificato ma non iscritto a ruolo, individuando una violazione del ne bis in idem non potendo esservi due atti contestanti il medesimo silenzio rifiuto, cui segue poi anche una motivazione sul merito del diritto al rimborso.
3. Il secondo motivo, con cui la ricorrente, in primo luogo, censura la decisione perchè, in caso di silenzio rifiuto, il ricorso potrebbe essere proposto entro il termine di prescrizione anche in presenza di un ricorso inammissibile e, in secondo luogo, lamenta una motivazione illogica, se è inammissibile sotto tale ultimo profilo, è invece fondato quanto al primo.
3.1. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è infatti inammissibile in primo luogo perchè essa è esposta solo nella rubrica del motivo ma non è in alcun modo esplicitata nel corpo del medesimo; in secondo luogo, perchè deduce una “motivazione illogica” mentre oggetto di impugnazione è una sentenza pubblicata in epoca successiva al 12/09/2012, data dalla quale è entrato in vigore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuovo testo, che consente l’impugnazione per la diversa ipotesi di “omesso esame” di un fatto, inteso in senso storico-naturalistico, decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
3.2. La prima censura, invece, è fondata.
Occorre premettere che in assenza di un esplicito provvedimento di diniego del rimborso, il contribuente, che intenda ottenere il rimborso di somme che assume indebitamente versate a titolo d’imposta, può solo proporre ricorso avverso il cd. silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, che si forma decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione in sede amministrativa, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2.
La mancata formazione di detto silenzio – rifiuto, che è il mezzo attraverso il quale pretese restitutorie fiscali sono rese azionabili nel giudizio tributario, che è tipico giudizio impugnatorio, comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto di un indefettibile presupposto processuale del giudizio tributario (rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio); fermo restando che, una volta formatosi il silenzio, il ricorso è, secondo espressa previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, sempre proponibile (diversamente dai ricorsi avverso gli altri “atti impugnabili” di cui al precedente art. 19, assoggettati al termine di decadenza sancito dall’art. 21, comma 1) “fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto“.
Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sul caso di un secondo ricorso proposto contro il medesimo silenzio-rifiuto già impugnato con ricorso dichiarato inammissibile perchè non preceduto dall’istanza di rimborso, ha ribadito che nella ipotesi in cui una sentenza passata in giudicato abbia definito il giudizio su di un presupposto processuale e non sia entrata nel merito della causa, la statuizione sulla questione di rito, dando luogo soltanto al giudicato formale, ha effetto limitato al rapporto processuale nel quale è emanata e non è idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale, non precludendo così la riproposizione della domanda in altro giudizio; nel processo tributario il contribuente può riproporre il ricorso per ottenere dall’Amministrazione il rimborso delle somme che assume indebitamente versate a titolo d’imposta fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto, se la precedente domanda giudiziale sia stata dichiarata inammissibile, anche con sentenza passata in giudicato, per mancata formazione del silenzio-rifiuto (Cass. 11/05/2012, n. 7303; Cass. 9/09/2021, n. 24260).
Il principio non è negato ma anzi confermato espressamente da Cass. 04/09/2020, n. 18382, che si riferisce all’impugnazione di atto impositivo e fa salvo il caso della lite da rimborso, la cui natura, di là dal meccanismo di formazione del silenzio – rifiuto e della relativa impugnazione, è propriamente quella di giudizio di accertamento negativo della non debenza di quanto versato, in cui il contribuente riveste la natura di attore in senso sostanziale.
Tale conclusione è del resto conforme alla consolidata opinione per cui nel processo tributario di primo grado non esiste il principio di consumazione dell’impugnazione, cui di fatto si riferisce la CTR laddove nel richiamare la regola del ne bis in idem; si tratta infatti di istituto proprio del diritto processuale, sia perchè il principio di consumazione fissato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 60, secondo cui l’appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto, è circoscritto a tale grado di giudizio, sia in ragione dell’assenza di una corrispondente previsione relativa al processo di primo grado (in tal senso la medesima Cass. n. 7303 del 2012; ed ancora Cass. 30/06/2010, n. 15441; Cass. 31/03/2008, n. 8234, che ha ritenuto ammissibile un secondo ricorso contro un atto impositivo, anche con motivi diversi e pur in presenza di un primo ricorso valido; Cass. 02/04/2007, n. 8182).
In applicazione di tali principi deve ritenersi quindi che abbia errato la CTR nel ritenere che l’inammissibilità del primo ricorso, notificato alla controparte ma non depositato nella segreteria della commissione tributaria, da essa stessa ritenuta, pregiudicasse, in una lite da rimborso, la possibilità di proporre altro e successivo ricorso contro il silenzio rifiuto, pur nel rispetto del termine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2.
4. Il terzo motivo, in entrambe le censure in cui si articola, è inammissibile, alla luce del principio che se il giudice d’appello che ritenga inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo, o lo stesso gravame, così spogliandosi della potestas iudicandi sul relativo merito, proceda poi all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto d’interesse, il motivo d’impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta ad abundantiam, su tale ultimo aspetto (Cass., Sez. U., 30/10/2013, n. 24469; Cass. 19/12/2017, n. 30393), applicabile anche al caso in cui il giudice di appello abbia confermato la decisione di inammissibilità del ricorso pronunciata in primo grado.
Nel caso di specie l’esame del merito da parte della CTR è avvenuto espressamente “per completezza di trattazione” il che ne dimostra la natura di argomentazione non rilevante.
4. Il ricorso va quindi accolto nel suo secondo motivo, con rigetto del primo motivo e declaratoria di inammissibilità del terzo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per regolare le spese del giudizio di legittimità.
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